spot_img
HomeGiurisprudenzaUn equivoco insoluto: tra appelli alla funzionalizzazione e ragioni di legge. La...

Un equivoco insoluto: tra appelli alla funzionalizzazione e ragioni di legge. La giustizia amministrativa (ancora) alla ricerca di un unico comune denominatore

del Prof. Avv. Adriano Tortora

Consiglio di Stato – Sezione IV – Sentenza del 18 gennaio 2023 n. 621 – Presidente Lopilato – Estensore D’Angelo

Accesso civico – interesse all’accesso – finalità individuali

L’accesso civico generalizzato è stato infatti introdotto nell’ordinamento al fine di superare, se del caso, le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso procedimentale e la cui fondatezza non viene meno per il fatto che il richiedente sia al contempo portatore di un interesse individuale alla conoscenza. Nell’accesso civico l’interesse del richiedente non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede.

Nell’accesso civico generalizzato la finalità è quella di garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, il diritto fondamentale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni queste ultime espresse dalle cosiddette eccezioni relative di cui al citato art. 5 -bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013.

Risulta, pertanto, che, anche nell’accesso civico generalizzato, l’interesse individuale alla conoscenza è protetto al pari di quello collettivo, con la conseguenza che, fuori dai casi marginali (istanze massive, vessatorie o emulative), non si può respingere un’istanza ostensiva civica generalizzata per il fatto che il richiedente ha anche un interesse personale alla conoscenza.

IL TESTO DELLA SENTENZA

[Omissis]

1, Con istanza di accesso, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, la società Rotfil ha chiesto al Comune di Follina l’ostensione dei documenti, degli atti e dei provvedimenti relativi alla procedura per il rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) attivata presso lo stesso Comune dalla Thermowatt Professional, ivi compresi gli studi connessi alla descrizione del ciclo produttivo dello stabilimento.

1.1. In particolare, la società richiedente ha evidenziato, in ordine al suo interesse all’accesso:

– di avere sottoscritto con la Ariston Thermo Group una “preliminare indicazione di interesse non vincolante” per la possibile acquisizione del 100% della Elmat, società partecipata per il 95% da Rotfil;

– di aver quindi sottoscritto unitamente a Elmat con Thermowatt e Ariston Thermo, società del Gruppo Ariston, un accordo di riservatezza in cui le parti si sono impegnate, per i successivi tre anni, a considerare quali informazioni riservate i rapporti intrattenuti da Rotfil e Elmat con i propri fornitori e a non utilizzare le informazioni riservate per qualunque scopo tranne che per la valutazione dell’operazione e comunque in modo da non recare danno o anche solo pregiudizio a Rotfil;

– di essere venuta a conoscenza che la Thermowatt Professional ha preso contatti con una società (R&D Components) i cui dati erano presenti nella data room messa a disposizione della ricorrente per la valutazione dell’acquisizione societaria, per valutare l’acquisto di componenti necessari per la realizzazione delle medesime resistenze elettriche prodotte da Elmat;

– di avere inoltre appreso che Thermowatt Professional ha presentato presso il Comune di Follina domanda di Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) per la realizzazione di uno stabilimento nel territorio comunale, avente per oggetto “valutazione del Progetto VVF dello stabilimento per la produzione di resistenze elettriche”;

– di avere quindi appreso della possibile utilizzazione da parte di Thermowatt Professional delle informazioni acquisite durante l’accesso alla data room contraria rispetto all’accordo di riservatezza, con conseguente interesse a conoscere il contenuto della domanda di AUA, al fine di tutelare il proprio diritto al rispetto degli accordi presi.

1.2. La Rotfil ha anche presentato la medesima istanza ai sensi delle norme sull’accesso civico di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 33/2013 e sull’accesso ambientale, ai sensi dell’articolo 3 del d.lgs. n. 195/2005.

1.3. Il Comune di Follina, dopo aver assunto le controdeduzioni delle società contro interessate, con il provvedimento prot. 9502 del 31 agosto 2021, ha respinto l’istanza di accesso.

1.4. La società Rotifil ha quindi impugnato il diniego al Tar di Venezia, che con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso.

1.5. Più nel dettaglio, il Tar ha ritenuto infondata l’istanza di accesso civico proposta ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 “la funzione dell’istituto (ossia “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” cfr. art. 5, comma 2, D.Lgs. 33/2013) ne definisce anche l’ambito di applicazione, sì che, ove non possa ravvisarsi nella conoscenza degli atti una finalità coerente con quelle che l’istituto è preordinato a perseguire, esso non può ritenersi ammissibile”.

1.6. Lo stesso Tribunale ha poi ritenuto non fondata anche la richiesta formulata ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 195/2005 ritenendo che: “l’accesso all’informazione ambientale può essere esercitato da chiunque, senza la necessità di dimostrare uno specifico interesse, ciò non toglie che la richiesta di accesso non può essere formulata in termini eccessivamente generici e deve essere specificamente formulata con riferimento alle matrici ambientali ovvero ai fattori o alle misure di cui all’art. 2 nn. 2 e 3, cit. d.lg. n. 195 del 2005”.

1.7. Il Tar ha respinto, infine, il ricorso anche relativamente al diniego opposto dal Comune sull’istanza di accesso ai sensi della legge n. 241/1990. In concreto, il giudice di primo grado ha condiviso la valutazione dell’Amministrazione nella parte in cui ha rilevato l’assenza di adeguata dimostrazione dei presupposti dell’accesso difensivo, anche tenuto conto della natura della documentazione oggetto dell’istanza che è astrattamente idonea a rivelare segreti industriali e commerciali. Inoltre, l’istanza sarebbe stata generica ed onnicomprensività nella richiesta di ostensione di tutti gli atti della domanda di autorizzazione ambientale proposta da Thermowatt (ciò non avrebbe consentito di apprezzare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’accesso difensivo, né sarebbero stati dimostrati i requisiti della necessità della conoscenza e del collegamento del documento con la situazione giuridica da tutelare).

2. Contro la suddetta sentenza ha proposto appello la società Rotfil sulla base dei seguenti motivi di censura.

2.1. Il Tar erroneamente ha ritenuto non sussistente l’interesse all’accesso civico. La motivazione della sentenza sul punto non ha considerato che l’istanza di accesso dell’appellante è stata fondata su tre distinti ed autonomi titoli ad ognuno dei quali era sotteso una differente posizione legittimante: l’interesse alla tutela della violazione dell’accordo di riservatezza per quanto concerne l’accesso documentale, l’interesse al controllo sulle modalità di svolgimento delle funzioni istituzionali da parte del Comune quanto all’accesso civico e l’interesse ad ottenere informazioni ambientali quanto all’accesso ambientale.

2.2. Relativamente all’accesso “ambientale” parte appellante evidenzia come lo stesso debba essere consentito “a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse” ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 195/2005. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza, l’istanza di accesso non era preordinata a soddisfare interessi diversi da quello ambientale, aventi natura patrimoniale. L’interesse patrimoniale, infatti, sarebbe stato quello che sosteneva l’accesso documentale, mentre rispetto all’accesso ambientale, conformemente al dato normativo di riferimento, la ricorrente si sarebbe limitata a indicare la tipologia di informazioni richieste, senza esplicitare l’interesse veicolato.

2.3. La società appellante contesta poi la parte della sentenza che ha respinto il motivo di ricorso teso a censurare il diniego opposto dal Comune all’accesso documentale, in ragione dell’asserita “genericità ed omnicomprensività dell’istanza” non consentirebbe di “apprezzare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’accesso difensivo”. Il giudice di primo grado erroneamente ha sostenuto che non sarebbero stati dimostrati i requisiti della “necessità della conoscenza” e del “collegamento del documento con la situazione giuridica che s’intente tutelare”..

2.3.1. Il Tar tuttavia non ha considerato che l’appellante unitamente a Elmat aveva sottoscritto un accordo di riservatezza con Thermowatt e Ariston Thermo e l’impegno di considerare quali informazioni riservate i rapporti intrattenuti da Rotfil e Elmat con i propri fornitori, non utilizzando le informazioni riservate per qualunque scopo tranne che per la valutazione dell’operazione e comunque in modo da non recare danno o anche solo pregiudizio alla ricorrente. Cosicché, laddove dalla documentazione presentata con l’AUA emergesse che Thermowatt intenda intraprendere attività concorrenziale con quella dell’appellante, sfruttando informazioni e conoscenze di acquisite nel corso del processo di acquisizione societaria di Elmat, la violazione dell’accordo di riservatezza risulterebbe conclamata.

2.3.2. In sostanza, sussiste un interesse concreto ed attuale a conoscere la documentazione richiesta, con un collegamento immediato tra la conoscenza della documentazione e il profilo di lesione fatto valere con l’istanza.

2.4. Secondo parte appellante sarebbe poi illegittima la condotta del Comune che ha ritenuto prevalente l’interesse delle contro interessate alla tutela di non meglio precisate e del tutto indimostrate esigenze di tutela della riservatezza di know out industriale. In concreto, il Comune avrebbe violato l’art. 5-bis, d.lgs. n. 33/2013, poiché, in contrasto con il testo normativo, avrebbe fatto prevalere l’interesse alla riservatezza commerciale e industriale del controinteressato.

3. Le società intimate si sono costituite in giudizio l’8 giugno 2022, chiedendo il rigetto dell’appello, ed hanno depositato documenti il 28 settembre 2022 e due memorie rispettivamente il 9 giugno e il 3 ottobre 2022 cui ha replicato l’appellante il 7 ottobre 2022.

4. La causa è stata trattenuta in decisione nella camera di consiglio del 20 ottobre 2022.

5. L’istanza di accesso proposta dalla società ricorrente secondo la disciplina dell’accesso documentale (legge n. 241/1990), dell’accesso civico (d.lgs. n. 33/2013) e di quello ambientale (d.lgs. 195/2005), hanno avuto origine dalla necessità di conoscere se la società Thermowatt avesse rispettato un accordo di riservatezza relativo ai rapporti con i propri fornitori.

5.1. In particolare, la Rotfil, la Elmat (al 95% di Rotfil e al 5% di un socio di minoranza), la Thermowatt e l’Arsiton Thermo hanno sottoscritto un accordo di riservatezza per tre anni sulle informazioni relative ai rapporti intrattenuti dalla ricorrente e da Elmat con i propri fornitori.

5.2. La società appellante sostiene quindi di avere appreso che la Thermowatt avrebbe utilizzato tali informazioni nel corso della procedura relativa al rilascio di una autorizzazione unica ambientale presso il Comune di Follina, prendendo contatti con una società per l’acquisizione di componenti necessari alla realizzazione delle resistenze elettriche prodotte da Elmat (in concreto, la Thermowat avrebbe utilizzato per contattare il suo fornitore i dati coperti dall’accordo di riservatezza).

6. Il Comune di Follina ha respinto le istanze di accesso ritenendo essenzialmente prevalente l’interesse delle contro interessate alla riservatezza del proprio know out industriale.

7. Ciò premesso, l’appello è in parte fondato.

8. Innanzitutto, va rilevato che l’Amministrazione ha il dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo ampio o cumulativo, senza riferimenti ad una specifica disciplina, anche alla stregua della normativa dell’accesso civico generalizzato, ad eccezione del caso in cui l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2021, n. 2050 e Ad. plen. 2 aprile 2020, n. 10).

8.1. Nel caso in esame, la società appellante ha anche richiesto, con la medesima istanza, gli atti dell’AUA ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2012. Da ciò ne consegue che la disciplina dell’accesso civico generalizzato è applicabile anche nella materia oggetto dell’istanza negata, ferma comunque restando la necessità di verificare la compatibilità dell’accesso con le eccezioni dell’art. 5-bis, comma 2, dello stesso decreto legislativo a tutela degli interessi-limite privati, ivi contemplati, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.

8.2. L’accesso civico generalizzato è stato infatti introdotto nell’ordinamento al fine di superare, se del caso, le restrizioni imposte dalla legittimazione all’accesso procedimentale e la cui fondatezza non viene meno per il fatto che il richiedente sia al contempo portatore di un interesse individuale alla conoscenza. Nell’accesso civico l’interesse del richiedente non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede.

8.3. Nell’accesso civico generalizzato la finalità è quella di garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, nel quale il c.d. right to know, il diritto fondamentale alla conoscenza, è protetto in sé, se e in quanto non vi siano contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni queste ultime espresse dalle cosiddette eccezioni relative di cui al citato art. 5 -bis, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013.

8.4. Risulta, pertanto, che, anche nell’accesso civico generalizzato, l’interesse individuale alla conoscenza è protetto al pari di quello collettivo, con la conseguenza che, fuori dai casi marginali (istanze massive, vessatorie o emulative), non si può respingere un’istanza ostensiva civica generalizzata per il fatto che il richiedente ha anche un interesse personale alla conoscenza.

8.5. D’altra parte, l’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2022, n. 3642).

9. Con riferimento al motivo di appello con il quale la ricorrente censura l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’istanza di accesso documentale fosse generica ed onnicomprensiva, oltre a non aver dimostrato l’esistenza di un collegamento tra i documenti richiesti e la situazione soggettiva vantata, sembra potersi ritenere, in via subordinata, che partendo dall’esame dell’istanza di accesso del 2 agosto 2021, vi sia una esplicitazione dell’interesse all’accesso e al suo collegamento con la posizione giuridica che l’appellante intendeva tutelare. Ciò può essere desunto dalla premessa della stessa richiesta che ricapitola i passaggi sull’accordo di riservatezza, cui poi è ricollegato, nel “considerato”, lo scopo di tutela.

9.1. Quanto alla genericità della richiesta di ostensione, va considerato che la società appellante non avrebbe potuto pervenire ad una specifica identificazione della documentazione in ipotesi ricompresa nell’accordo di riservatezza, ma solo la resa dei documenti avrebbe potuto delineare le caratteristiche del ciclo produttivo e consentire di verificare l’assenza o meno nel progetto presentato di un particolare tipo di resistenza elettrica di produzione Elmat.

10. Deve invece essere considerato infondato il motivo di appello concernente l’accesso ambientale. Dai documenti di causa emergere come l’interesse all’ambiente non fosse nella sostanza presente tra gli scopi dell’accesso della società ricorrente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2019, n. 1670.

10.1. Né il dato testuale dell’art. 3 del d.lgs. n. 195/2005, che non richiede nel caso di accesso ambientale una esplicita dichiarazione del proprio interesse può giustificare quanto sostenuto dalla parte appellante, tenuto conto che l’assenza di una giustificazione non può essere d’ostacolo alla necessaria sussistenza di un interesse all’ambiente, non potendo quindi la richiesta essere formulata in termini eccessivamente generici senza riferimenti alle matrici ambientali ovvero ai fattori o alle misure di cui all’art. 2, nn. 2 e 3, del citato d.lgs. n. 195 del 2005.

11. Quanto infine alla dedotta illegittimità della condotta del Comune che ha ritenuto prevalente l’interesse delle contro interessate alla tutela delle esigenze di tutela della riservatezza di know out industriale, la stessa appare effettivamente sussistente tenuto conto che l’accesso civico, nel caso di specie, non sembra contrastare con le eccezioni previste, a tutela degli interessi -limite, pubblici e privati previsti, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e della riservatezza.

12. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va in parte accolto e, per l’effetto, va in parte riformata la sentenza impugnata, con conseguente annullamento del diniego all’eccesso e obbligo per l’Amministrazione comunale di rendere ostensibili, con salvaguardia dei dati riservati, i documenti necessari alla comprensione del ciclo produttivo.

 [Omissis]

Il commento

del Prof. Avv. Adriano Tortora

Sommario:1. Il caso. 2. Una breve premessa: Dal segreto, al bisogno alla conoscenza, fino al diritto di conoscere. 3.La tesi della funzionalizzazione dell’interesse all’accesso civico: il tentativo, contra legem, di abrogare in via pretoria l’art. 5, comma 3, D. Lgs. n. 33 del 2013. 4. La tesi della funzionalizzazione resiste ai colpi della Plenaria. Persiste il continuo imbarazzo delle diverse sezioni del Consiglio di Stato. Notazioni conclusive.


1. Il caso

La vicenda sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato, da cui trae spunto il presente commento, è la seguente:

Con istanza di accesso cumulativo, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, dell’art. 5 D. Lgs. n. 33 del 2013 e ai sensi dell’art. 3 D. Lgs. n. 195 del 2005 la società Rotfil chiedeva al Comune di Follina l’ostensione dei documenti, degli atti e dei provvedimenti relativi alla procedura per il rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) attivata presso lo stesso Comune dalla Thermowatt Professional, ivi compresi gli studi connessi alla descrizione del ciclo produttivo dello stabilimento.

L’interesse all’esibizione degli atti nasceva da un accordo di riservatezza sottoscritto dalla ricorrente con Thermowatt e altre società, in cui le parti si erano impegnate, per i successivi tre anni, a considerare quali informazioni riservate taluni dati relativi ai rapporti commerciali intrattenuti dalle società firmatarie.

La società Rotfil, in particolare, venne a conoscenza che la Thermowatt stava utilizzando indebitamente dati inclusi nell’accordo di riservatezza nella procedura per il rilascio dell’AUA richiesto da Thermowatt per la realizzazione di uno stabilimento nel territorio comunale, avente per oggetto “valutazione del Progetto VVF dello stabilimento per la produzione di resistenze elettriche”.

Il Comune di Follina, ricevuta l’istanza di accesso, dopo aver assunto le controdeduzioni delle società contro interessate, con il provvedimento prot. 9502 del 31 agosto 2021 la respinse.

La società Rotifil ha quindi impugnato il diniego al Tar di Venezia che rigettò il ricorso. Per quanto qui d’interesse, con riguardo all’accesso civico, il collegio evidenziò: “la funzione dell’istituto (ossia “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” cfr. art. 5, comma 2, D.Lgs. 33/2013) ne definisce anche l’ambito di applicazione, sì che, ove non possa ravvisarsi nella conoscenza degli atti una finalità coerente con quelle che l’istituto è preordinato a perseguire, esso non può ritenersi ammissibile”.

La società Rotifil propose appello avverso la sentenza del TAR che venne accolto dal Consiglio di Stato il quale, smentendo alcuni precedenti di altre sezioni, ha evidenziato che l’interesse ex art. 5 D. Lgs. n. 33 del 2013 non necessariamente deve essere altruistico o sociale, né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza, purché non risulti pretestuoso o contrario a buona fede.

2. Una breve premessa: Dal segreto, al bisogno alla conoscenza, fino al diritto di conoscere.

Prima dell’intervento riformatore che ha dato i nasciti alla prima legge italiana sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990), in materia di accesso agli atti, la regola era il segreto.

Al di là di singole e specifiche previsioni di legge[1], non vi era una norma di riferimento che in via generale regolasse l’accesso agli atti amministrativi. Questa assenza era fonte di profonde opacità nel sistema, potendo l’amministrazione trincerarsi nel silenzio senza preoccuparsi delle conseguenze, stante anche il debole sindacato del G.A. limitato all’eccesso di potere e, quindi, a verificare che il rifiuto all’esibizione documentale non fosse palesemente illogico o irragionevole.

Con l’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990 e degli artt. 22 e ss, si iniziò a capovolgere il paradigma. L’accesso divenne tutelabile[2] in un sistema che accedeva al concetto del cd need to know condizionato dalla sussistenza di un interesse qualificato da parte del soggetto richiedente.

L’istituto delineato dalla legge sul procedimento era sicuramente in grado di colmare un vuoto importante nel sistema ma veniva ristretto a rigorosi limiti. Oltre ad essere il soggetto istante portatore di un interesse qualificato all’esibizione del documento, la richiesta ostensiva non poteva rivolgersi a dati e informazioni detenute dalla pa, non essendo ammessa un’attività volta all’elaborazione dei dati, e, più in generale, l’istanza di accesso non poteva mai tradursi in un “controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, L. n. 241 del 1990)”.

Dunque, seppur l’esibizione di documenti amministrativi a talune condizioni era ammessa non era consentita ai cittadini di verificare l’operato dell’amministrazione, come invece sarebbe auspicabile in un sistema democratico in cui gli eleggenti possono chiedere conto agli apparati serventi dell’attività svolta. In un’ottica concentrica di controllo diffuso.

Un primo scricchiolio del muro alzato a difesa della pubblica amministrazione, si ebbe in materia ambientale grazie alla Convenzione di Aarhus “Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale” che venne firmata nella cittadina di Aarhus, in Danimarca, nel 1998, a cui aderì sia l’Italia che la Comunità Europea.

All’art. 4 del Trattato veniva previsto che il cittadino poteva chiedere informazioni ambientali alla p.a. senza dover far valere un particolare interesse. Non solo quindi si ammetteva che la pubblica amministrazione fosse tenuta ad un’attività di raccolta dati (la cd. informazione ambientale) ma si superava il paradigma del need to know per accogliere nell’ordinamento una nuova forma di leggere i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione: il right to know.

La Convenzione di Aarhus diede la stura alla Direttiva 2003/4/CE al cui considerando 1 si prefiggeva “Un rafforzamento dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale e la diffusione di tale informazione contribuiscono a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico

al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente”.

All’art. 3 della Direttiva, coerentemente alla Convenzione di Aarhus, si escludeva che il soggetto che richiede l’informazione ambientale debba essere portatore di un interesse qualificato.

Questo impianto, infine, venne recepito in Italia con il D. Lgs. n. 195 del 2005[3].

Il percorso verso un pieno riconoscimento del diritto a conoscere gli atti della p.a., in una logica virtuosa di controllo diffuso, fece un’altra tappa nel 2013 con l’approvazione del D. Lgs. n. 33 del 2013 e l’introduzione del c.d. accesso civico semplice. Affianco alla possibilità riconosciuta, dalla legge sul procedimento, di ottenere copia degli atti di cui si è in grado di dimostrare un interesse, adesso, il legislatore si spinge più avanti obbligando le pubbliche amministrazioni a rendere pubblici determinati atti prevedendo, come forma di stimolo alla trasparenza, il diritto del cittadino di chiedere la pubblicazione di quelli omessi, in qualsiasi momento[4].

Con il D. Lgs. n. 97 del 2016 che ha modificato il D. Lgs. n. 33 del 2013, il legislatore è intervenuto in maniera più radicale. Riprendendo il modello anglosassone del Freedom of Information Act, si è consacrato il diritto di “chiunque” a richiedere atti dati o informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, a qualunque fine e senza necessità di motivazione.

Pertanto, ai fini dell’ostensione documentale, il cittadino non dovrà più essere titolare di una situazione qualificata – il noto interesse diretto concreto e attuale – collegata al documento di cui si richiede l’ostensione e viene generalizzata anche la possibilità di chiedere all’amministrazione un’attività di reperimento e elaborazione di dati o informazioni.

Mediante il riconoscimento di un vero e proprio right to know all’accesso agli atti amministrativi, si aprì definitivamente la porta a quel controllo generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni che è (e resta) invece espressamente escluso dalla previsione ex art. 24 c. 3 della L. 241/1990.

Ciò in attuazione del principio di trasparenza che il novellato articolo 1, comma 1, del Decreto trasparenza ridefinisce come “accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni” e che si pone come strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa.

Il D. Lgs. n. 97 del 2016, come modificato dal D. Lgs. n. 33 del 2013, ha segnato, quindi il passaggio “dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere” e rappresenta, come affermato dal Consiglio di Stato[5]  “per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana[6]”.

3. La tesi della funzionalizzazione dell’interesse all’accesso civico: il tentativo, contra legem, di abrogare in via pretoria l’art. 5, comma 3, D. Lgs. n. 33 del 2013.

Uno dei primi problemi applicativi della riforma delineata dal Decreto Trasparenza era la sua forza espansiva. Consentendo a chiunque, senza motivazione, di accedere a dati, informazioni e atti della pubblica amministrazione si dava la stura anche a richieste ostensive palesemente sproporzionate e massive che frustravano l’istituto e determinavano soprattutto un aggravio alle amministrazioni spesso non sopportabile con la dotazione di uomini e mezzi a disposizione.

Un problema che vide sensibili le Corti Amministrative che iniziarono a cercare, nell’ordinamento, strumenti per limitare l’accesso civico ovviamente attingendo al bagaglio di esperienza proprio del giudice amministrativo poco incline, storicamente, ad arrestarsi di fronte ad un diritto reso indisponibile dallo stesso legislatore; senza la possibilità di sindacarne la sua conformità applicativa ai più disparati interessi pubblici che, di volta in volta, emergevano dalla prassi.

Seguendo le logiche proprie del sindacato amministrativo, iniziarono ad emergere, dunque, spinte tese a “funzionalizzare” l’istituto dell’accesso civico accogliendo il concetto che “i fini preesistono all’accesso[7]”. E se i fini preesistono, quasi fossero un’entità metafisica, allora il cittadino che voglia azionare lo strumento dell’accesso civico dovrà dimostrare che la sua domanda risponde ad un interesse collettivo al controllo diffuso[8].

Poste queste premesse logiche, iniziò a delinearsi presso le Corti una marcata differenziazione tra l’interesse pubblicistico/collettivo e l’interesse “egoistico[9]”: solo il primo era tutelabile con l’ordine di esibizione. L’egoismo, invece, aggettivo dispregiativo che indica l’”atteggiamento di chi vede nel proprio io, immediatamente inteso, la realtà assoluta o il valore esclusivo e predominante[10]” ovviamente viene messo all’angolo. Confondendosi con l’individualità, intesa come fine immediato dell’essere, la sommerge al (non) dichiarato scopo di giustificare l’egida della vocazione pubblicistica dell’accesso civico.

In questa cornice, in uno dei primi arresti in materia, il TAR Lazio, sede di Roma, sposò la delineata categorizzazione dichiarando “[per quanto] la legge non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto[11]”.

Di contrario avviso era il TAR Emilia-Romagna, sede di Parma[12],secondo cui reintrodurre, senza alcun fondamento normativo, «un limite costituito dal controllo della finalità esercitata dal cittadino implica, da un lato, la creazione di un’importante barriera di natura soggettiva all’esercizio del diritto stesso (in aperto contrasto con la voluntas legis, secondo cui la regola è la conoscibilità dei documenti pubblici), dall’altro, la rimessione della valutazione di tale finalità all’esercizio di un’ampia discrezionalità da parte della stessa amministrazione procedente, in ragione della natura apertissima della formula di controllo operata, con sostanziale vanificazione del diritto accordato dal legislatore».

Il Consiglio di Stato, riprendendo le argomentazioni svolte dal TAR Lazio, sede di Roma, parve prendere posizione nel senso della sindacabilità dei fini nell’istanza di accesso civico[13].

I diversi orientamenti che si erano formati sul punto, trovarono sintesi nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2020[14].

In particolare, il Supremo Consesso premesso che l’accesso civico è un diritto fondamentale e non è strumentale ad una situazione giuridica pregressa ma è esso stesso “precondizione…per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi” ha puntualizzato che essendo l’istituto civico “finalizzato a garantire, con il diritto all’informazione…ha un impronta essenzialmente personalistica, quale esercizio di un diritto fondamentale…(e) non si deve confondere da questo punto di vista la ratio dell’istituto con l’interesse del richiedente, che non necessariamente deve essere altruistico o sociale né deve sottostare ad un giudizio di meritevolezza”.

In questa prospettiva, per l’Adunanza Plenaria, rigettata ogni tendenza finalistica dell’istituto, lo strumento per valutare istanze di accesso emulative o massive è la buona fede, intesa come clausola generale che presiede al comportamento dei consociati conformandone il comportamento a correttezza e lealtà in virtù del dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.

Le istanze della dottrina[15] che unanimemente sollevava dubbi e perplessità sulla funzionalizzazione dell’istituto dell’accesso civico, vennero dunque accolte. Non si può non evidenziare, ad avviso di chi scrive e ha letto le note di diversi colleghi che hanno preso posizione sul problema, un certo imbarazzo degli interpreti nei confronti di un orientamento definibile “estroverso” , privo di sostrato giuridico, e autoreferenziale .

Pareva che il dibattito, a seguito dell’arresto della Plenaria, dovesse sopirsi. E invece.

4. La tesi della funzionalizzazione resiste ai colpi della Plenaria. Persiste il continuo imbarazzo delle diverse sezioni del Consiglio di Stato. Notazioni conclusive

Desta incredulità all’interprete constatare, a distanza di tre anni dalla sentenza n. 10 del 2020 della Adunanza Plenaria, quanto il Consiglio di Stato ancora, in dispregio ad ogni buona regola di certezza del diritto, non riesca a mettersi d’accordo sull’istituto dell’accesso civico dondolando, incoerentemente, tra uno o l’altro degli orientamenti sopra richiamati.

Con una pronuncia di marzo 2022 della III sezione del Consiglio di Stato[16], il Consesso amministrativo torna a parlare di interesse individuale contrapposto alla vocazione collettiva/pubblicistica dell’istituto dell’accesso. Segnatamente, il Collegio osserva che l’accesso civico “conosce una chiara quanto qualificante connotazione teleologica, laddove, come si è visto, è finalisticamente orientato dal legislatore “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico[17]“.

A distanza di quasi un anno, la IV sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza qui annotata, ritorna liturgicamente a far proprie le considerazioni espresse dalla Plenaria. Negando ogni funzionalizzazione dell’istituto e aprendo le porte, come valvola di sicurezza, al principio di buona fede come declinato dal Supremo Consesso Amministrativo.

Lapidariamente osserva il Consiglio di Stato “Risulta, pertanto, che, anche nell’accesso civico generalizzato, l’interesse individuale alla conoscenza è protetto al pari di quello collettivo, con la conseguenza che, fuori dai casi marginali (istanze massive, vessatorie o emulative), non si può respingere un’istanza ostensiva civica generalizzata per il fatto che il richiedente ha anche un interesse personale alla conoscenza”.

Insieme ai numerosi autori che si sono espressi sul tema, non si può non convergere per la soluzione prospettata dalla Adunanza Plenaria e da ultimo dalla IV sezione.

Non si concorda con alcune teorie volte a cercare di smaterializzare l’approccio finalistico secondo logiche complesse e piramidali. Dando ad un problema semplice una soluzione difficile.

Prendendo spunto dalle prolusioni di Cartesio qui si abbraccia il concetto che l’evidenza è tale e non giustifica lunghi esercizi di stile per essere snidata[18].

Non si concorda con chi afferma che la funzionalizzazione abbia diretto precipitato nel testo della legge. Cosicché in assenza di una previsione espressa, non può avere addentato teleologico un istituto. Questa ci appare una soluzione semplicistica. La finalizzazione di un concetto giuridico, ovvero un suo controllo intrinseco secondo determinati parametri, può essere desunta da dati sistematici e storici non solo nella lettera della legge. Così è stato per la clausola di buona fede ritenuta, fino agli anni 90, un precetto etico/morale ma dopo la storica sentenza Fiuggi[19] si è tramutata nel grimaldello della discrezionalità contrattuale parallelamente all’eccesso di potere.

Fatta questa doverosa puntualizzazione, ammesso che la funzionalizzazione di un istituto dipende da numerosi variabili interpretative, sicuramente non si può discorrere di un fine preesistente con riguardo all’accesso civico semplicemente perché la lettera della legge è di segno contrario negando expressis verbis che l’istanza debba essere supportata da motivazione o da un interesse qualificato.

Quindi i termini del problema non possono dissolversi all’interno di pur serie meditazioni dottrinarie, ma debbono essere ricondotti esclusivamente sul piano della interpretazione letterale e sul principio, conquista dai regimi assoluti, che il giudice è bocca della loi.

Né appaiono a chi scrive così serie le pur giustificate remore su un utilizzo abusivo dell’istituto. Per le istanze emulative non serve nemmeno il richiamo alla buona fede, essendo un principio generale il divieto di atti emulativi, ovviamente valevole pure nell’ambito del diritto amministrativo.

Lo spazio per richiamare la buona fede allora è circoscritto alle istanze massive e sproporzionate e, sul punto, non si può negare come osservato in dottrina[20] che il G.A. abbia confidenza con il limite dell’abuso del diritto per cui non appare giustificabile sul piano interpretativo una sua mancata valorizzazione.

Dunque, riflettendo cum grano salis, è lecito ipotizzare che nella insistente ricerca di funzionalizzare l’istituto dell’accesso civico, oltre a delle ragioni pratiche, vi siano delle logiche più squisitamente politiche – giudiziarie dettate dal timore che le amministrazioni possano avere più di un problema, in Italia, a ragionare secondo il paradigma della “casa di vetro” o forse si riflette dietro i banchi delle aule giudiziarie che ancora è troppo acerbo il nostro apparato amministrativo per vestirsi come un “potere visibile”.

E se non fosse questo il problema, allora dov’è? O meglio: cui prodest?


[1] Ad esempio le disposizioni contenute negli art. 111 e 112 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che assicuravano per la generalità dei pubblici dipendenti posti sotto accusa l’accesso agli atti del procedimento disciplinare.

[2] In realtà non fu così pacifico l’inquadramento dogmatico dell’istituto in parola. Ci fu un periodo in cui si discusse in seno alle Corti se la posizione del soggetto richiedente fosse qualificabile in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo (ammettendo in questo modo una sorta di giurisdizione esclusiva del G.A.). La questione, in termini pratici, si poneva per la reiterabilità dell’istanza di accesso che ove fosse stata considerata espressione di un diritto soggettivo doveva acconsentirsi stante l’applicazione del regime della prescrizione e non di quello più severo della decadenza. Con la decisione n. 6 del 18 aprile 2006 (in Dir. proc. amm. 2007, 1, 156 con nota di: Bertonazzi), l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non ritenne utile (né opportuno), ai fini della quaestio sottoposta al suo esame, pronunciarsi in ordine alla natura giuridica del cd. diritto di accesso agli atti amministrativi. Che sia interesse legittimo o diritto soggettivo, l’azione deputata al suo esercizio soggiace al termine decadenziale previsto dalla legge sul procedimento (l. 241/1990, art. 25). Seppur i termini del discorso non siano più mutati, la giurisprudenza recentemente, con meno timidezza, qualifica l’accesso procedimentale alla stregua di un diritto soggettivo: “L’accesso agli atti costituisce un vero e proprio diritto soggettivo, precipuamente volto a rendere effettivi e concreti i principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 06/11/2017, n.11029, in Redazione Giuffrè amm. 2017)”.

[3] Per un approfondimento sulla tematica si rinvia a Titomanlio, Il diritto all’ambiente come diritto fondamentale dell’individuo. Il nuovo regolamento europeo sulla Convenzione di Aarhus e alcuni contrastanti esiti giurisprudenziali in materia di accesso agli atti e di “atto amministrativo nell’ambito del diritto ambientale, in dirittifondamentali.it, 3/2021, pp. 590-607; Di Giovanni, Il diritto di accesso in materia ambientale tra normativa nazionale e sovranazionale in il diritto dell’economia, 3/2015, pp. 667-713; Boscolo, Accesso alle informazioni ambientali e urbanistica ambientale, in Urbanistica e appalti, 5/2013, pp. 513-514; Sciancalepore, I limiti al diritto di accesso all’informazione ambientale interpretazione della Corte di Giustizia ed ordinamento interno, in il Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, 11/2012, pp. 684-691;  Bonomo, Informazione ambientale, amministrazione e principio democratico, Riv. it. dir. pubbl. comunit., fasc.6, 2009, pag. 1475: Ciammola, Il diritto di accesso all’informazione ambientale: dalla legge istitutiva del ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, in Foro amm. CDS, fasc.2, 2007, pag. 657

[4] L’intento riformatore è stato spinto dalla necessità di adeguarci agli standard e alle norme internazionali. Ci si riferisce in particolare agli artt. 7 e 10 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, resa esecutiva in Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116. In particolare l’art. 10 recita “Tenuto conto della necessità di lottare contro la corruzione, ciascuno Stato Parte adotta, conformemente ai principi fondamentali del proprio diritto interno, le misure necessarie al fine di accrescere la trasparenza della propria pubblica amministrazione, anche per quanto concerne, se del caso, la propria organizzazione, il proprio funzionamento ed i propri processi decisionali. Tali misure possono includere, in particolare: a) l’adozione di procedure e regolamenti che permettano agli utenti di ottenere, se del caso, informazioni sull’organizzazione, il funzionamento ed i processi decisionali della propria amministrazione nonché, tenuto debito conto della protezione della vita privata e dei dati personali, sulle decisioni e atti giuridici che li riguardano; b) la semplificazione, se del caso, delle procedure amministrative al fine di facilitare l’accesso degli utenti alle autorità decisionali competenti; e c) la pubblicazione d’informazioni, comprese eventuali relazioni periodiche sui rischi di corruzione nella propria pubblica amministrazione”.

[5] Consiglio di Stato – Sezione Consultiva per gli Atti Normativi – Adunanza di Sezione del 18 febbraio 2016.

[6] Numerosa la letteratura sul tema dell’accesso civico. Si richiama in questa sede Pulizzi, Tendenze e controtendenze in materia di accesso civico generalizzato: riflessioni a margine della sentenza T.A.R. Lombardia, 17 agosto 2021, n. 1939, in federalismi.it, 15/2022, pp. 173-190; Gallone, Orofino, L’accesso civico: morfologia e tutela, in Giurisprudenza italiana, 3/2021, pp. 725-731; Sergio, Il diritto d’accesso procedimentale e il diritto d’accesso civico, fra differenze e analogie. In particolare, la legittimazione ad esercitare il diritto di accesso, in federalismi.it, 20/2020, pp. 314-358; Bellini, L’accesso civico generalizzato in materia di appalti alla luce della Plenaria n. 10/2020, in Rassegna Avvocatura dello Stato, 2/2020, pp. 80-91 Dolcimele, La Circolare n. 1/2019 del Ministero della Pubblica Amministrazione: attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (FOIA), in Lo Stato Civile Italiano, 9/2019, pp. 75-78   Filice, I limiti all’accesso civico generalizzato: tecniche e problemi applicativi, in Diritto Amministrativo, fasc.4, 1 Dicembre 2019, pag. 861; Neri, De Rosa, Profili procedimentali dell’accesso generalizzato, in Diritto Amministrativo, fasc.4, 1 Dicembre 2019, pag. 793; Carloni, Il nuovo diritto di accesso generalizzato e la persistente centralità degli obblighi di pubblicazione, Diritto Amministrativo, fasc.4, 1 Dicembre 2016, pag. 579

[7] Così efficacemente, Guarnieri, Accesso civico generalizzato: àrbitri e arbìtri, in federalismi.it, 10/2020, pag. 7

[8] Come sottolineato in dottrina (Vettori, Valori giuridici in conflitto nel regime delle forme di accesso civico, in Diritto Amministrativo, fasc.3, 1° Settembre 2019, pag. 539) la giurisprudenza si trovò di fronte due soluzioni: “pretendere una ‘finalità di interesse generale’ della richiesta d’accesso, oppure valorizzare la strumentalità dell’interesse conoscitivo rispetto ad un’ulteriore posizione giuridica di cui il richiedente sia titolare”. Tenuto conto che “Entrambe le impostazioni arrivano a negare un tratto caratterizzante di uno strumento a legittimazione civica: la neutralità, ma con implicazioni molto diverse sul piano sistematico”.

[9] La prima sentenza che inizia ad utilizzare questo aggettivo è T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 19/06/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 19/06/2018), n.6875, in www.giustiziamministrativa.it

[10] Cosi la Treccani (in www.treccani.it).

[11] Così T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 02/07/2018, n.7326, in Redazione Giuffrè amm. 2018. A stretto giro, anche la I sezione del TAR del Lazio concludeva nel senso della necessità che la motivazione rispondesse a un interesse rivestito di una «valenza pubblica»: “[…] per quanto il testo normativo non richieda l’esplicitazione della motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita la rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse che presenti una “valenza pubblica” e non resti confinato ad un bisogno conoscitivo esclusivamente privato e individuale, che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, rischierebbe di compromettere le stesse istanze alla base dell’introduzione dell’istituto, facendone un mero “doppione” di quello ex l n. 241/90» (TAR Lazio, Roma, sez. I, 23 luglio 2018, n. 8302, in www.giustiziaamministrativa.it); sempre sulla stessa linea di pensiero cfr. anche T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. III, 01/10/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 01/10/2018), n.2020, in www.giustiziamministrativa.it” TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 22 novembre 2018, n. 347, TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 6 marzo 2019, n. 219 entrambe in www.giustiziamministrativa.it

[12] sez. I, 28 novembre 2018, n. 325; così anche TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 13 gennaio 2020, n. 10 (tutte le sentenze citate sono rinvenibili in www.giustiziamministrativa.it)

[13] Consiglio di Stato sez. VI, 13/08/2019, n.5702, in Diritto & Giustizia 2019, 22 agosto (nota di Milizia); cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 12 febbraio 2020, n. 1121, in www.giustiziamministrativa.it

[14] In Foro Amministrativo (Il) 2020, 4, 722. Per un commento cfr. Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in federalismi.it, n. 8/2020.

[15] Raramente gli interpreti si sono trovati con tale amalgama d’accordo sulla incongruità dell’interpretazione pretoria di un istituto. Si richiama ex multis tra gli autori che si sono espressi contro la funzionalizzazione dell’accesso civico Lopilato, Manuale di Diritto Amministrativo, 2021, Torino, 698; Caringella, Manuale Maior di Diritto Amministrativo, Napoli, 2022, pp. 999 e ss.;2; Pulizzi, Tendenze e controtendenze in materia di accesso civico generalizzato: riflessioni a margine della sentenza T.A.R. Lombardia, 17 agosto 2021, n. 1939, in federalismi, n. 1/2022; Leotta, Accesso civico generalizzato: sono sindacabili le finalità di una istanza? in www.agendadigitale.ue; Manganaro, La funzione nomofilattica dell’Adunanza plenaria in materia di accesso agli atti amministrativi, in federalismi.it, 8/2021; Guarnieri, Accesso civico generalizzato: àrbitri e arbìtri, in federalismi.it, 29/2020.

[16] Consiglio di Stato sez. III, 21/03/2022, (ud. 03/03/2022, dep. 21/03/2022), n.2019, in www.giustiziamministrativa.it

[17] Persino nella pronuncia riportata si evidenzia, contro ogni evidenza di legge, l’importanza della motivazione nell’istanza di accesso civico “Quanto, poi, ai criteri di emersione in concreto dell’interesse (generale) legittimante l’esercizio del diritto di cd. accesso civico, non può che farsi leva, come posto in evidenza dalla sentenza appena citata, su tutti gli elementi caratterizzanti la concreta fattispecie, senza trascurare nemmeno quelli che, come la motivazione della domanda di accesso, secondo la definizione legislativa dell’istituto non devono necessariamente sussistere, ma dei quali l’interessato abbia nondimeno ritenuto di corredare l’istanza ostensiva: essa, infatti, sebbene irrilevante ai fini della individuazione di una posizione legittimante di carattere individuale (che, come si è detto, è estranea ai presupposti applicativi del cd. accesso civico), può utilmente concorrere alla verifica della (necessaria) tensione generale della domanda ostensiva, evitando che si possa dare tutela ingiustificata ad interessi di carattere egoistico”.

[18] Ci si riferisce alle 4 regole del metodo cartesiano. Cfr Renè Descartes, discorso sul metodo, Mondadori, 1993

[19] Cassazione civile sez. I, 20/04/1994, n.3775, in Foro Amm. 1997, 414 secondo cui la buona fede costituisce “regola di governo della discrezionalità…. “Il principio di correttezza (art. 1175, c.c.) costituisce il limite interno di qualunque posizione giuridica di origine contrattuale e contribuisce alla conformazione (in senso ampliativo o restrittivo) delle stesse posizioni, in modo di assicurare l’ossequio alla giustizia sostanziale del rapporto. Il principio suindicato (buona fede oggettiva) concorre a creare la regula iuris del caso concreto”.

[20] Guarnieri, Accesso civico generalizzato: àrbitri e arbìtri, in federalismi.it, 29/2020.

Previous article
Next article
Articoli simili

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

News

Commenti