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Regionalismo e istruzione

di Pierpaolo Arganelli, dottorando di ricerca in “diritto dei servizi nell’ordinamento italiano ed europeo”, Università degli studi di Napoli Parthenope.

ABSTRACT: Il presente lavoro vuole affrontare il complesso rapporto fra regionalismo e istruzione. Dopo una breve ricostruzione storica, la prima parte del lavoro si concentra sull’analisi della normativa vigente in cui i tre “soggetti” principali del sistema d’Istruzione e cioè lo Stato, le regioni e gli istituti scolastici, interagiscono. Si affrontano i temi dell’autonomia regionale e scolastica così come prevista dalla normativa di settore. Una volta delineato il quadro normativo di riferimento si è ritenuto opportuno approfondire il diritto all’istruzione quale diritto sociale, diritto che si ritiene funzionale alla realizzazione del diritto all’uguaglianza sostanziale e al pieno sviluppo della persona, diritto che necessita di un’ “omogenea differenziazione” per accrescere le conoscenze e le competenze dei discenti. In una fase di ripresa, quale quella attuale, si ritiene importante assicurare un’omogeneità del sistema di istruzione primaria e secondaria su tutto il territorio nazionale senza tuttavia dimenticare di evidenziare le peculiarità tipiche di ciascuna regione e di ciascuna istituzione scolastica.

SOMMARIO: 1. Premessa e brevi cenni storici. – 2. Inquadramento generale. – 3. L’effetto del Sars-Cov-2. – 4. Riflessioni conclusive.

1. Premessa e brevi cenni storici.

Com’è noto prima dell’entrata in vigore della Costituzione[1] l’istruzione era una prerogativa statale sia in termini di competenza legislativa che di gestione operativa. Tale orientamento fu anche confermato, almeno inizialmente, dalla Costituzione[2] e dai decreti delegati del 1974[3] che qualificavano le scuole come organi dello Stato aventi un’autonomia amministrativa[4] e regolamentare limitata[5].

Successivamente, si è assunta consapevolezza che fosse necessario un cambio di paradigma, con il passaggio ad un modello basato sull’autonomia, che, come si avrà modo di sottolineare in seguito, ha coinvolto sia le regioni, quale livello legislativo di riferimento, sia i singoli istituti scolastici, ai quali si è riconosciuta l’autonomia di definire la didattica, le scelte organizzative e di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Infatti, in linea con quanto stava avvenendo a livello europeo e grazie al fenomeno della riemersione del territorio[6] a livello nazionale, tra gli anni ottanta e novanta è cresciuta la consapevolezza che un sistema scolastico accentrato, in cui lo Stato si trovava de facto ad essere l’unico attore, non fosse più in grado di rispondere ai “bisogni della produzione normativa oltre che alle nuove domande socio-culturali”[7].

La spinta autonomista invocata dalle regioni e dagli enti locali ha portato il legislatore all’emanazione durante gli anni ’90 di una serie di leggi volte ad ampliare e disciplinare l’autonomia dei singoli istituti. Si pensi alla l.n.537/1993, che ha introdotto l’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche, autonomia sviluppata poi nell’art. 21 della l.n.59/1997[8] che ha attribuito la personalità giuridica e una vera autonomia alle scuole riorganizzando il “servizio istruzione”, e ad ultimo al DPR 275 del 1999, che ha disciplinato l’autonomia scolastica come “garanzia di pluralismo culturale che si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti”.

Per ciò che concerne l’ampliamento dell’autonomia regionale in materia di istruzione, si rileva l’innovativa previsione del d.lgs. n.112/1998[9] che ha attribuito alle Regioni e agli enti locali competenze organizzative relative a programmazione dell’offerta formativa, rete scolastica, calendario scolastico, contributi alle scuole non statali. Non solo, il d.lgs. n.112/1998 ha riconosciuto anche a province e comuni, importanti funzioni quali la ripartizione delle scuole sul territorio.

Tuttavia si ritiene opportuno in questa sede portare all’attenzione anche il d.lgs. n.300/1999[10], il quale, nel riformare la pubblica amministrazione, ha sostituito i Provveditorati con gli Uffici Scolastici Regionali (in seguito USR).

Grazie a questi ultimi, in direzione opposta e contraria rispetto alle scelte precedenti, il legislatore statale ha conservato immutati poteri di controllo sia sulle iniziative regionali che su quelle scolastiche. Tale riforma apparentemente lontana da quelle prima citate si è rivelata fondamentale per consentire allo Stato, e in particolare al Ministero, di mantenere un forte controllo sul sistema scolastico. Negli anni, infatti, agli USR furono attribuiti numerosi compiti quali la gestione del personale scolastico da assegnare a ciascuna scuola, la gestione delle risorse finanziarie destinate alle istituzioni presenti sul territorio e così via.

L’attribuzione di questi compiti agli USR, dovuta alla riorganizzazione del sistema amministrativo, ha finito per ostacolare le funzioni programmatiche e di gestione previste dalla normativa introdotta nel corso degli ultimi anni.

Sebbene le riforme precedentemente citate abbiano rappresentato momenti importanti per ciò che concerne l’evoluzione normativa in tema di istruzione, la legge che ha cambiato il volto del sistema educativo italiano è stata la legge n.62/2000[11] con la quale è stato introdotto l’attuale sistema nazionale di istruzione ponendo fine alla “scuola di Stato”[12]

Il nuovo riparto di competenze è stato ridefinito dalla riforma costituzionale, l.n.3/2001[13], la quale introducendo un quadro normativo più chiaro, nel settore istruzione, ha  provato a risolvere le problematiche sorte, riforma sulla quale ci si soffermerà in seguito.

2. Inquadramento generale.

L’istruzione è disciplinata e tutelata dalla Costituzione sia nella parte dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, artt.30, 33 e 34. ,che stabiliscono rispettivamente la libertà di scelta educativa, la libertà d’insegnamento, il diritto allo studio e il diritto all’istruzione[14], sui quali ci si soffermerà brevemente in seguito, sia in relazione al riparto di competenza tra Stato e regioni.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto la richiamata riforma del Titolo V della Costituzione ha delineato nuovi equilibri tra Stato, Regioni ed Enti locali in materia di istruzione.

Considerata la normativa statale precedentemente delineata, con la riforma costituzionale il legislatore ha ripartito le competenze nel settore dell’istruzione rafforzando e nel contempo bilanciando le autonomie in materia d’istruzione.

In particolare, in base all’art.117 c.2 lett.n e lett.m lo Stato ha potestà legislativa esclusiva per quanto riguarda le “norme generali dell’istruzione”[15] e i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Per norme generali sull’istruzione si devono intendere quelle che riguardano le scelte ordinamentali e i diritti fondamentali dei docenti e degli alunni; la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni[16] garantisce, invece, l’unitarietà del sistema scolastico e il rispetto di quanto previsto dagli art. 33 c.2 (“La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”) e 34 c.1 Cost. (“la scuola è aperta a tutti”).

Gli organi a cui sono affidate queste competenze per lo Stato sono: il Ministero dell’istruzione[17] e il Ministero dell’Università e della Ricerca, che com’è noto talvolta riunisce in sé istruzione ed università, altre volte esclusivamente istruzione.

La potestà regionale viene rafforzata e si articola su tre punti chiave. In base all’art.117 c.3 e c.4 è materia di legislazione concorrente “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Rientra invece nella competenza residuale “l’istruzione e la formazione professionale”[18], senza dimenticare la possibilità data dall’art.116 c.3 Cost. di estendere la disciplina regionale anche alle “norme generali sull’istruzione”.

Si ritiene infine, ma certamente non da ultimo, importante sottolineare come il dettato dell’art.117 c.7[19] Cost. in materia di parità di genere si correli strettamente con l’art. 34 c. 3 Cost. nella misura in cui esso pone in capo alle regioni l’obbligo di eliminare ogni forma di discriminazione di genere nell’ambito scolastico per consentire pari dignità e tutela del diritto allo studio e di accesso alla professione sia ai discenti che al personale docente e non docente.

Si ritiene, pertanto, possibile affermare che all’interno dell’ambito dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato e con il vincolo dell’esame finale per il completamento del percorso di studi posto dall’art. 33 c. 5 come unico limite organizzativo, lo Stato eserciti in materia d’istruzione meri poteri di indirizzo generale e di controllo. Ne consegue che l’organizzazione del sistema dell’istruzione generale e professionale e di formazione professionale nonché il dovere di garantire il diritto allo studio così come previsto dall’art. 34 c. 3 Cost. ed in accordo con l’art. 117 c. 7, siano posti in capo alle Regioni in collaborazione e nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Per ciò che concerne invece la disciplina e la tutela costituzionale del diritto all’istruzione, si ritiene opportuno in questa sede una breve analisi di quella che viene definita come la “costituzione scolastica”[20].

La “costituzione scolastica” è composta innanzitutto dai principi stabiliti negli articoli 30 c. 1 che stabilisce il diritto alla libertà di scelta educativa operata dall’esercente responsabilità genitoriale sul minore; 33[21] che stabilisce il principio di libertà d’insegnamento in capo a ciascun docente e dal quale si potrebbe ricavare il principio di libertà dell’organizzazione dell’insegnamento per l’istituzione scolastica[22] e 34[23] che stabilisce sia il diritto all’istruzione per tutti anche ponendo l’obbligo scolastico sia il diritto allo studio che prevede il dovere a carico della Repubblica di sostenere i meritevoli e i meno abbienti.

A completamento della “costituzione scolastica”, si ritiene che i due articoli suddetti debbano essere letti in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 Cost. per ciò che concerne rispettivamente il principio di personalità e il principio di uguaglianza formale e sostanziale.

Da una parte, la lettura unitaria di questi quattro articoli fa sì che il diritto all’istruzione venga annoverato tra i diritti sociali e legato strettamente al principio di tutela dello sviluppo e formazione dell’individuo[24]; dall’altra, la personalità, il diritto all’istruzione, allo studio e all’accesso al sistema educativo devono essere garantiti dalla Repubblica a tutti senza discriminazioni o distinzioni.

Il dimostrato legame tra il diritto all’istruzione e i principi fondamentali della Costituzione consente di affermare come la tutela del diritto all’istruzione sia propedeutico alla realizzazione del diritto all’uguaglianza sostanziale e attraverso essa al pieno sviluppo della persona, rendendolo quindi necessariamente unitario[25].

In conclusione, si deve sottolineare come il riparto di competenze delineato dal legislatore costituzionale debba essere considerato ancora in evoluzione. Infatti, analizzando alcune importanti sentenze del Giudice delle Leggi appare evidente come dopo alcune sentenze orientate a riconoscere una maggior autonomia[26], la Consulta abbia mutato orientamento di fatto depotenziando il ruolo del legislatore regionale in materia[27].

3. L’effetto del Sars-Cov-2.

In questo quadro normativo, nel quale da un lato l’autonomia degli istituti scolastici rappresenta un elemento ormai condiviso ma dove il riparto di competenza Stato-regioni in materia appare ancora lontano dall’individuazione di un punto di equilibrio, si è innestata la gestione del sistema scolastico durante il periodo di pandemia da Sars-Cov-2.

L’indebolimento dell’iniziativa legislativa regionale e degli enti locali in materia di istruzione, unitamente alle difficoltà statali di gestire un settore in cui le differenze socio-economiche fra regioni ricoprono un peso notevole ed insieme al decremento degli investimenti e delle risorse destinate al settore, ha portato ad un rallentamento dello sviluppo tecnologico. Rallentamento che ha visto un punto di svolta, nel senso di un nuovo rilancio, con l’inizio della pandemia da Sars-Cov-2.

La pandemia da Sars-Cov-2 ha rappresentato, almeno inizialmente, per il sistema scolastico italiano uno dei momenti più bui rendendo evidente sia la differenza socio-economica tra le regioni sia il divario tecnologico tra le stesse. La Scuola italiana ha scoperto che il suo processo di digitalizzazione non era stato sufficientemente portato avanti.

Lo Stato non ha dato inizialmente la possibilità alle scuole di comprare e distribuire tablet o altri dispositivi e solo dopo circa due mesi ha provveduto, almeno in parte, a colmare questo gap, che comunque ha di fatto accresciuto le disuguaglianze fra studenti non solo di ceti sociali diversi ma anche di regioni, città diverse. Per docenti e dirigenti scolastici, se il registro elettronico [28] era già stato adottato da tempo ed ormai diffuso sul tutto territorio nazionale, il discorso è stato ben diverso per l’utilizzo per la DAD delle c.d. “piattaforme di condivisione” (ad esempio Google Meet, Zoom, Microsoft Teams). Il processo di digitalizzazione, infatti, era cominciato da tempo; la legge n. 107/2015 [29], c.d. “Buona scuola”, aveva fornito un ulteriore impulso sbloccando dei fondi ad hoc per la digitalizzazione scolastica [30]. Tuttavia, il fatto di avere un personale docente tra i più anziani in Europa [31], la mancanza di una formazione specifica e continua nel tempo sull’uso dei device e delle piattaforme hanno fatto sì che l’introduzione della DAD in alcune scuole nella fase di lockdown totale subisse un forte rallentamento con il conseguente necessario ripensamento della didattica che ha evidenziato criticità nella formazione del personale docente.

Per questo in poco tempo la scuola ha dovuto creare ex novo piattaforme che consentissero non solo di caricare documenti e/o file ma di svolgere video-lezioni in modalità sincrona nel rispetto dei diritti alla privacy ed della riservatezza di docenti e discenti[32]. Non solo, in pochi giorni [33] le scuole italiane statali, paritarie e private, si sono dovute tutte adeguare ad un’ordinanza ministeriale che imponeva la DAD senza però specificare nulla riguardo alle modalità di erogazione del servizio né quale iter seguire.

In assenza di una programmazione di questo tipo di emergenza le scuole e i docenti hanno esercitato l’autonomia al fine di determinare la migliore soluzione possibile.

Tuttavia, se per i dirigenti scolastici l’art. 1, comma 1, lett. g), legge 5 marzo 2020, n. 13, imponeva l’attivazione di: «[…] modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità», per gli insegnanti non è valso lo stesso. Il personale docente, infatti, non era obbligato in termini contrattuali previsti dal CCNL ad alcuna attività didattica eccetto quelle programmate e sicuramente la DAD non rientrava nelle attività programmate [34]. In una fase iniziale, si sono confrontate due tesi diverse. Da un lato, alcuni teorizzavano la volontarietà del docente all’utilizzo della DAD richiamando l’art. 25 del d.lgs. n. 165/2001, la normativa prevista dalla “Buona scuola” in tema di libertà di insegnamento, l’art. 7 del Testo Unico della Scuola (d.lgs. n. 297/1994) e il CCNL. Dall’altro lato, altri la qualificavano da subito come obbligatoria richiamando sì l’art. 33 Cost. ma anche le ordinanze ministeriali. In conclusione, l’art. 2, comma 3, d.l. 8 aprile 2020, n. 22, “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato” (20G00042), ha sancito l’obbligatorietà dell’uso della DAD.

4. Riflessioni conclusive.

Alla luce di quanto sopra descritto e da quanto è emerso nel periodo di pandemia, appare evidente come sia necessario un ripensamento della distribuzione delle competenze e dei poteri di intervento all’interno del sistema scolastico italiano ai fini di garantire la medesima tutela del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale e di eliminare ogni forma di discriminazione.

L’attuale riparto di competenze Stato-Regioni ha valorizzato l’autonomia scolastica e la capacità amministrativa e progettuale dei singoli istituti ma ha anche evidenziato come questa dipenda da elementi esterni quali la dotazione economica ed infrastrutturale sia dell’istituto sia della regione in cui il primo è situato; regione alla quale, come ricordato, spetta il compito di garantire il diritto allo studio. L’assenza di intervento da parte del legislatore regionale per colmare questo gap, seppur nel rispetto della normativa attuale, ha portato a una forma di minor tutela, se non di discriminazione, della componente più debole della comunità scolastica, ovvero gli studenti. 

Studenti che hanno assistito ad una compressione dei propri diritti. Una compressione dei diritti giustificata formalmente dallo Stato di emergenza e informalmente dalla necessità di tutelare la salute della cittadinanza in zone d’Italia con una sanità inefficiente o deficitaria. La conseguenza diretta di queste politiche è stata che gli studenti frequentanti istituti scolastici in regioni aventi un sistema sanitario efficiente sono potuti rientrare prima in presenza e beneficiare di tutto ciò che questo concerne mentre studenti di regioni con una sanità meno efficiente sono dovuti rimanere in didattica a distanza per un maggior periodo di tempo.

Studenti ai quali per una lunga fase della pandemia dal Sars-Cov-2 non è stato assicurato il diritto allo studio e non per un dovere di solidarietà sociale ma piuttosto per conflitti tra politiche statali, regionali e locali.

A conclusione di quanto premesso appare pacifico affermare che l’istruzione per uno Stato rappresenti da sempre un punto fondamentale se si mira alla crescita economica e allo sviluppo culturale e sociale[35]. Il ruolo dell’istruzione quale fattore di crescita e sviluppo è divenuto sempre più evidente nell’era della globalizzazione; dovrebbe perciò essere accompagnato da investimenti costanti, cospicui, duraturi e uniformi da parte dello Stato. Per tali motivi è stato oggetto di molteplici riforme dalla nascita dello Stato italiano ad oggi, anche se negli ultimi anni si è assistito ad una rilevante riduzione[36] dell’investimento da parte dello Stato nel settore istruzione con conseguenze dirette e indirette[37]. In particolare, si è visto come la mancanza di politiche uniformi su tutto il territorio abbia portato alcune Regioni a sopperire a tale riduzione in modi differenti e spesso diametralmente opposti con risultati poco confortanti[38].

Tutto ciò ha avuto effetti sulla qualità del servizio erogato dalle scuole, evidentemente difforme da regione a regione, e sul rispetto del principio di uguaglianza sostanziale per quanto concerne il diritto all’istruzione.

Una delle opportunità che ci ha lasciato la pandemia da Sars-Cov-2 è relativa alle risorse europee e nazionali messe in campo per la ripresa (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[39], di seguito PNRR).

L’attuale PNRR, infatti, prevede investimenti per circa trenta miliardi di euro per la “Missione 4: Istruzione e Ricerca”. La Missione pone come obiettivi principali il “miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione”, il “miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti”, “l’ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture scolastiche”, la “riforma e ampliamento dei dottorati”, il “rafforzamento della ricerca e diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra università e imprese”, il “sostegno ai processi di innovazione e trasferimento tecnologico”, il “potenziamento delle condizioni di supporto alla ricerca e all’innovazione”[40].

In particolare, per quanto interessa il presente lavoro, il PNRR alloca circa diciannove dei trenta miliardi per la “M4C1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università”.  Le risorse mirano principalmente a colmare le “carenze strutturali nell’offerta di servizi di educazione e istruzione primarie”, a ridurre il gap “nelle competenze di base” e “l’alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali”, ad incrementare il numero di adulti con un titolo di studio terziario, a potenziare la ricerca sia dal lato degli investimenti sia da quello delle risorse umane puntando a ridurre “la perdita di talenti”, a ridurre la “skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro”[41].

Si consenta di sottolineare come dei circa diciannove miliardi di euro previsti per tutti questi sub-obiettivi l’investimento 1.4, “intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado”, si attesti ad appena un miliardo e mezzo. Il dato è ancora più rilevante se paragonato a quanto investito nel “piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per prima infanzia”: quattro miliardi e seicento milioni di euro (investimento 1.1) ovvero tre volte di più. Sembra quindi che il legislatore nazionale abbia optato per investire significativamente sulle scuole meno colpite dalla pandemia (infanzia e primaria) e in minor misura sulla scuola secondaria (media e superiori).   

Si auspica che gli investimenti provenienti dal PNRR, uniti alla maggior consapevolezza da parte della classe politica relativamente all’importanza di avere localmente un sistema scolastico efficiente e finanziato, possano evitare per il futuro la compressione dei diritti di chi rappresenta il futuro del paese. Non fa, tuttavia, ben sperare la previsione di riportare entro il 2026 la percentuale di PIL destinata al settore istruzione ai livelli del 2010. Sarebbe lecito aspettarsi di più data l’importanza del sistema educativo nella formazione e nello sviluppo degli individui e dell’opportunità derivante dalla fine della situazione pandemica.


[1] La nascita del Ministero della Pubblica Istruzione è datata 1847, nel 1848 la legge Boncompagni (n. 818/1848) e nel 1859 la legge Casati (n. 3725/1859), leggi che fino all’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 erano basate  “sull’idea che l’istruzione sia un servizio che spetta allo Stato non soltanto promuovere, ma anche impartire direttamente”, cfr. Pototschnig, Un nuovo rapporto tra Amministrazione e scuola, in Riv. giur. scuola, 1975, p.248. Per un’analisi del rapporto fra regioni, Stato, enti locali ed Unione Europea si rinvia ad autorevole dottrina: Le Regioni italiane nella multilevel governance europea, in A. Papa (a cura di), Le regioni nella multilevel governance europea. Sussidiarietà, partecipazione, prossimità, Torino, 2016.

[2] Cfr. M. Troisi, L’istruzione, una materia contesa tra Stato e Regioni, Rivista giuridica on-line – ISSiRFA – CNR, 2021 secondo cui: “All’indomani della promulgazione della Costituzione, infatti, si era optato per un modello organizzativo fortemente ispirato ad un ‘governo ministeriale’ della scuola, che aveva rappresentato un elemento di continuità  nella storia dell’amministrazione scolastica con il periodo statutario”. Concorde autorevole dottrina: S.Cassese, La scuola italiana tra Stato e società: servizio pubblico statale e non statale, in Foro.it, 1991, 214.

[3] Legge delega n.477/1973, (in GU 16 agosto 1973, n. 211), Delega al Governo per l’emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria e artistica dello Stato; DPR n.416/1974: “Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria e artistica” (in GU 13 settembre 1974, n.239) ; DPR n.417/1974: “Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato” (in GU 13 settembre 1974, n.239); DPR n.418/1974: “Corresponsione di un compenso per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica” (in GU 13 settembre 1974, n.239) ; DPR n.419/1974: “Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti” (in GU 13 settembre 1974, n.239); DPR n.420/1974: “Norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche” (in GU 13 settembre 1974, n.239).

[4] In riferimento alla gestione dei fondi assegnati per il funzionamento dell’amministrazione didattica era previsto un controllo preventivo e successivo dei bilanci da parte del Provveditore, così come tutti gli atti di significativo rilievo patrimoniale. 

[5] Così come previsto dall’art.6 c.2 lett.a del DPR 416/1974.

[6] La crescente necessità di autonomia da parte delle Regioni spinse il legislatore ad intervenire nel campo delle competenze legislative. Sul ruolo delle spinte autonomistiche del territorio si rimanda al dibattito: Tra territorio e spazio: un invito alla riflessione sulle prospettive dell’ordinamento costituzionale, in Diritti Regionali, n. 3, 2018.

[7] Cfr. E. Longo, Fine di una materia. Spunti ricostruttivi e note critiche sul fragile decentramento dell’istruzione, in www.issirfa.cnr.it, 2018, 1; G. Franchi e T. Segantini, La scuola che non ho. Per una politica della piena scolarità, Firenze, 1994, 31; M. Troisi, L’istruzione, una materia contesa tra Stato e Regioni, Rivista giuridica on-line – ISSiRFA – CNR, 2021.

[8] La c.d. legge Bassanini. Le cui norme di attuazione furono poi introdotte con il d.P.R. n. 275/1999, (in GU 10 agosto 1999, n.186), riguardante il regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e con il Decreto Interministeriale n. 44/2001, relativo al regolamento concernente le “Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche” in regime di autonomia.

[9] Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, (G.U. n. 92 del 21 aprile 1998, s.o. n. 77/L).

[10] D.lgs. del 30 luglio 1999, n. 300: Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. GU Serie Generale n.203 del 30-08-1999 – Suppl. Ordinario n. 163, entrato in vigore il 14/09/1999.

[11] Si può essere concordi con il fatto che tale leggi rappresenti: “centro gravitazionale della riforma scolastica, dal momento che la frammentazione della struttura statale di tipo monolitico ha consentito di affiancare alle scuole statali quelle istituite da enti locali e da soggetti privati, dando luogo ad un sistema dominato dai principi costituzionali di sussidiariet , differenziazione ed adeguatezza” Sandulli, Il sistema nazionale, p.154. Secondo alcuni inoltre la legge in questione portò ad una “de-statalizzazione del servizio dell’istruzione” cfr. G.C. De Martin, La parabola dell’autonomia scolastica, in www.amministrazioneincammino.it, 2005, 2, ora anche in M. Bombardelli e M. Cosulich (a cura di), L’autonomia scolastica nel sistema delle autonomie, Padova, 2005, 94. Concorde sul punto anche: M. Troisi, L’istruzione, una materia contesa tra Stato e Regioni, Rivista giuridica on-line – ISSiRFA – CNR, 2021. Per disamina e commento delle riforme che hanno investito il settore dell’istruzione a partire dagli anni ’90 si rimanda ad autorevole dottrina: A.Papa, Autonomia didattica e libertà di pensiero nell’ambito della scuola pubblica, in Dirigenti e Scuola, 1995, n.6.; A. Pajno, Autonomia delle scuole e riforme istituzionali, in “Rapporto sulla scuola dell’autonomia 2002”, Armando editore, 2002, p. 15 ss.

[12] Si rinvia ad autorevole dottrina A. Sandulli, il sistema nazionale di istruzione, Bologna, 2003

[13] Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione. GU Serie Generale n.248 del 24/10/2001

[14] Per un approfondimento sul tema diritto all’istruzione quale diritto sociale e sui temi strettamente correlati si rinvia ad autorevole dottrina: A. Papa, La libertà di insegnamento del docente nella “scuola della autonomia”, in Dirigenti scuola, 33, 2013; A.Papa, Autonomia didattica e libertà di pensiero nell’ambito della scuola pubblica, in Dirigenti e Scuola, 1995, n.6.

[15] Art.117 c.2 lett.n: Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: “norme generali sull’istruzione”.

[16] In merito al diritto all’istruzione quale diritto sociale, si rinvia ad autorevole dottrina: A.Papa, La tutela della salute nella dimensione multilivello europea, in P. Bilancia (a cura di), La dimensione europea dei diritti sociali, Torino, 2019; si consenta il rinvio anche a: P. Arganelli, La scuola pubblica italiana ai tempi del Covid-19. Un’opportunità da non perdere. De Iustitia, n.2, 2020 ed a P. Arganelli, Giovani, Istruzione e Sars-Cov-2, in C. Schepisi (a cura di), Le risposte del diritto in situazioni di emergenza tra ordinamento italiano e dell’Unione europea, Torino, 2021.

[17] Il Ministero dell’istruzione è responsabile dell’amministrazione generale a livello centrale dell’istruzione scolastica e dell’istruzione tecnica superiore. Il Ministero dell’università e della ricerca è responsabile per le aree dell’istruzione superiore (università e AFAM) e della ricerca.

Entrambi i Ministeri si avvalgono di organismi e agenzie che operano a livello nazionale con funzioni di rappresentanza, consulenza, monitoraggio e valutazione. Per approfondire il tema si rimanda a: eacea.ec.europa.eu.

[18] Art.117 c.3 e 4: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;[…] Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

[19]Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

[20] Per un approfondimento del tema si rinvia ad autorevole dottrina: F. Cortese, La Costituzione scolastica: radici, temi e risultati, Riv.Trim.Dir. Pub., n.1, 2018, R. Calvano, Scuola e Costituzione, tra autonomie e mercato, Roma, 2019, p. 17.  M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, in F. Angelini, M. Benvenuti (a cura di), Le dimensioni costituzionali dell’istruzione, Napoli, 2014, 147 ss.

[21] L’art. 33 in particolare prevede: “il principio di libertà dell’insegnamento, il dovere della Repubblica di dettare le norme generali sull’istruzione e l’obbligo a suo carico di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi.  Gli enti e i privati abbiano il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. la nostra costituzione richiamando il principio di libertà di scelta educativa ricavabile dagli articoli sulla famiglia si impegna a non discriminare e a legiferare al fine di assicurare agli istituti non statali ma che vogliono far parte del sistema pubblico d’istruzione una parità reale. È prescritto un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato.”

[22] Sebbene si è consapevoli che un’interpretazione estensiva sul punto debba ritemersi quantomeno dubbia, si ritiene importante sottolineare come nel momento più drammatico dal 1948 per il settore istruzione, ovvero l’inizio della pandemia, a carico del dirigente scolastico gravasse l’onere di organizzare la DAD per assicurare il diritto allo studio degli studenti mentre per i docenti l’obbligo di adottare la DAD non vi era, proprio per il principio della libertà d’insegnamento. Da questo si potrebbe desumere che senza la libera organizzazione dell’insegnamento ovvero l’organizzare l’istituto alla possibilità di svolgere la DAD in modalità sincrona e asincrona nè la libertà d’insegnamento né il diritto allo studio sarebbero stati garantiti, si ritiene quindi in questa sede senza pretesa alcuna di proporre una riflessione sul punto.

[23] L’art. 34 prevede: c. 1 principio della scuola aperta secondo cui “la scuola è aperta a tutti”; c. 2 c.d. obbligo scolastico.: “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.”; c. 3 e c. 4 principio della tutela del merito: “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” “la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

[24] Considerato che è pacifico ritenere che la scuola quale ambiente in cui l’individuo forma e sviluppa la propria personalità.

[25] Sul piano della normativa ordinaria e regolamentare, già analizzata, nel nostro sistema scolastico hanno avuto un ruolo importante, come visto in parte in premessa, anche: il Testo Unico in materia di istruzione (Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, in GU 19 maggio 1994 n. 115, testo coordinato ed aggiornato con le modifiche introdotte dalla legge 28 marzo 2003, n. 53 (c.d. “riforma Moratti”, in GU 2 aprile 2003, n. 77, e dai d.p.r. 30 marzo 2004, n. 121 e d.p.r. 30 marzo 2004, n. 122, nonché recentemente dalla l. n. 12/2020) che prevede le regole generali di governo della scuola e dei suoi organi; l’art 21 della legge Bassanini n. 59/1997  che stabilisce la personalità giuridica e l’autonomia alla istituzione scolastica (autonomia che si traduce in autonomia didattica, di sperimentazione ed innovazione); gli artt. 138,139, 140 e 147 del D.lgs. 112/1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile 1998 – Supplemento Ordinario n. 77, in cui gli artt. 138 e 139 riguardano il sistema dell’istruzione e gli artt. 140 e 147 la formazione professionale cfr. www.archivio.pubblica.istruzione.it e ad ultimo D.P.R. n.275/1999 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59., GU Serie Generale n.186 del 10-08-1999 – Suppl. Ordinario n. 152,  entrato in vigore il  25/8/1999), regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, sull’autonomia scolastica consente l’attuazione dell’art.21 della precedente legge.

[26] Cfr sentenze n. 282/2002, n. 13/2004, 423/2004 in cui la Consulta era favorevole all’agire del legislatore regionale in materia di istruzione.

[27] Cfr. sentenze n. 120/2005, 34/2005, 200/2009, 213/2009, 76/2013, e ad ultimo la sent. n.284/2016 le quali hanno di fatto depotenziato il ruolo del legislatore regionale nella materia istruzione. Per un’analisi relativa al regionalismo differenziato si consenta il rinvio ad attenta dottrina: A. Napolitano, Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni.Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata, in Federalismi.it, 2018.

[28] Il registro elettronico nella scuola è previsto all’art. 7, comma 31, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 convertita nella legge n. 135/2012 (in GU 14 agosto 2012 , n.189).

[29] Cfr. supra.

[30] Ci si riferisce in particolare al «Piano Nazionale Scuola Digitale» introdotto con la riforma c.d. “Buona Scuola” e consultabile al link www.miur.gov.it/scuola-digitale.

[31] Si vedano i dati EUROSTAT disponibili ai link www.ec.europa.eu/eurostat.

[32]Sul punto cfr. Provvedimento del 26 marzo 2020 [9300784] – “Didattica a distanza: prime indicazioni”, Garante Privacy, consultabile sul sito www.garanteprivacy.it.  Per ulteriore approfondimento storico su privacy e scuola si rinvia ad autorevole dottrina: A. Papa, La navigazione in Internet degli studenti tra libertà di informazione e responsabilità di tutela delle istituzioni scolastiche, in Le nuove frontiere della scuola, n. 23, 2010; A. Papa, La tutela della privacy in ambito scolastico, in Dirigenti scuola, 2004, 7. Per un focus sul bilanciamento tra diritto all’istruzione e diritto alla salute in tempi di pandemia e la relativa ricostruzione si rinvia ad attenta dottrina:P. Arganelli, Giovani, Istruzione e SARS-CoV-2, in Le risposte del diritto in situazioni di emergenza tra ordinamento italiano ed europeo (a cura di) C. Schepisi, Giappichelli, 2021.

[33] La norma che ha previsto la sospensione dell’attività didattica è entrata in vigore il 5 marzo 2020. Infatti, se è vero che il decreto è del 23 febbraio 2020 esso stabiliva solo la «sospensione delle visite d’istruzione sul territorio nazional ed internazionale», solo con la conversione in legge con modificazioni all’art. 1, comma 2, lett. d) ha portato alla «sospensione dell’attività didattica su tutto il territorio nazionale» legge 5 marzo 2020, n. 13, “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19” (in GU  9 marzo 2020, n.61).

[34]  Durante la prima estate dall’inizio della pandemia, il Ministero dell’Istruzione ha adottato diverse misure per preparare gli istituti alla riapertura. In particolare il MIUR ha anche stanziato fondi per l’acquisto di nuovi banchi e dei dispositivi di protezione individuali per studenti e docenti. Tuttavia, dopo alcune settimane di didattica in presenza si è reso necessario il ritorno alla DAD, seppur in maniera diversificata in base al “colore” delle regioni. Durante la didattica in presenza si è potuto riscontrare come gli studenti della primaria e della secondaria di I grado non fossero quasi più abituati a stare in classe e le conoscenze trasmesse nel periodo di chiusura fossero state quasi completamente dimenticate. Gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado invece sono tornati in classe con gravi lacune formative ma probabilmente vista l’età l’impatto sulla scolarizzazione è stato minore. Si consulti il d.P.C.M. 3 novembre 2020, Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19» (20A06109). Tale misura non è stata determinata in via principale dal verificarsi di un numero elevato di contagi all’interno dei singoli istituti, quanto piuttosto dalle difficoltà riscontrate a livello locale e regionale di organizzare in modo sistemico le attività di trasporto garantendo la mobilità in sicurezza degli studenti. Appare evidente che, in questa prima fase, gli studenti hanno subìto queste limitazioni non tanto a causa delle criticità organizzative delle scuole, che durante l’estate avevano fortemente organizzato le attività in sicurezza quanto da elementi esterni al sistema scolastico primo fra tutti, come ricordato, il sistema dei trasporti. Sarebbe stato utile se il Ministero dell’Istruzione si fosse premunito di concordare con il Ministero dei Trasporti una soluzione per l’arrivo ed il ritorno degli studenti presso le sedi scolastiche. La conseguenza diretta di questo mancato accordo tra ministeri è stata la sospensione della didattica in presenza della scuola secondaria di II grado dal 3 novembre fino al 3 dicembre 2020. Questa volta, tuttavia, le scuole hanno avuto più tempo di prepararsi e di formare i propri docenti e discenti sull’utilizzo delle piattaforme digitali. Tuttavia, anche in questo caso si deve notare come l’incremento del contagio abbia portato il Ministero ad emanare in dieci giorni due norme diverse: la pri¬ma che stabiliva la didattica digitale integrata solo per il 75%   degli studenti della scuola secondaria di secondo grado e dopo 5 giorni è arrivata al 100%. Cfr. D.P.C.M. 24 ottobre 2020 e D.P.C.M. 3 novembre 2020. Ovviamente, questo ha creato molta confusione ed incertezza nel personale della scuola, nelle famiglie e negli studenti. Ultima, in ordine cronologico, la nota del 9 novembre 2020 n. 1990 che facendo seguito al d.P.C.M. del 3 novembre 2020, poneva l’obbligo di indossare la mascherina in classe a tutti gli studenti in didattica in presenza e al personale della scuola. Nuove sospensioni della didattica in presenza si sono poi verificate durante il resto dell’anno scolastico in base all’andamento dei contagi all’interno del territorio sia regionale che provinciale e locale. Al d.P.C.M. del 03 Novembre 2020 susseguì quello del 03 Dicembre 2020, che riprense la normativa precedente per quanto concerneva la classificazione delle Regioni in tre aree corrispondenti a differenti livelli di criticità in base all’andamento dei contagi che determinava sia la possibilità per le famiglie di optare per la DAD su richiesta, sia l’obbligo per le istituzioni scolastiche di comunicare alla ASL territoriale eventuali casi positivi e di porre la classe e/o i contatti stretti in DAD unitamente al positivo e indipendentemente dal numero di positivi per classe. Fortunatamente dal gennaio 2021 per i medici e personale sanitario e successivamente per i docenti partì la campagna di vaccinazione, inizialmente organizzata dalle singole Regioni, che vide coinvolti solo molto più tardi gli studenti, con notevoli ed evidenti contraddizioni e contrasti. In seguito furono emanati altri due d.P.C.M.: quello del 14 gennaio 2021 e del 02 Marzo 2021. Nel d.P.C.M. del 14 gennaio furono confermate le misure precedenti e come riportato all’ art. 1 c. 10 lett.s le scuole secondarie di secondo grado continuarono ad adottare il sistema della parziale presenza in classe, fino ad un massimo del 75%, attuando procedure d’ingresso differenziate, ciascuna classe entrava ed usciva in orari diverso rispetto alle altre, e ad ultimo rimase in vigore la sospensione delle visite di istruzione. Nel d.P.C.M. del 02 Marzo 202, influenzato dalla campagna vaccinale e nell’ottica di aumentare sempre di più il numero di persone vaccinate, modificò in parte la precedente normativa. In particolare, le Regioni vennero classificate in quattro aree invece di tre sempre corrispondenti a differenti livelli di criticità. Se per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo continuò ad esserci l’opportunità della presenza (gli esercenti responsabilità genitoriale potevano comunque chiedere la DAD) per il secondo ciclo di istruzione si aprì la possibilità di tornare in presenza al 100% seppur con alcuni obblighi. La maturità 2021 si svolse in presenza, senza le prove scritte così come in precedenza fatto nel 2020, tuttavia, gli studenti delle scuole superiori avevano ricominciato ad assaporare la “normalità”. Normalità che grazie alla campagna vaccinale si sta ritrovando. Le scuole hanno ricominciato l’anno in presenza, alla maturità sono stati re-introdotti gli scritti e tutto procede. L’importante è aver imparato dagli errori del passato per non commetterli nuovamente.

[35] Sul punto si rimanda alle parole di Aldo Moro, nella Relazione sui Principi dei rapporti sociali culturali presentata nella Commissione per la Costituzione, I sottocommissione.

[36] Come mostra la Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2021 punto 4 “Investire nell’istruzione e nella formazione” (consultabile al link: www.op.europa.eu) possiamo notare che dal 2010 al 2020 gli investimenti nel settore sono scesi di circa lo 0,4% del PIL. Secondo tale relazione però l’Italia grazie al PNRR dovrebbe incrementare entro il 2026 gli investimenti nel settore istruzione dello 0,5% , tornando praticamente alla stessa percentuale del 2010. 

[37] Tra le conseguenze indirette si ritiene importante ricordare l’altissimo numero di abbandoni scolastici che seppur diminuito costantemente negli ultimi 10 anni non è paragonabile rispetto alla media UE e si sta rivelando difficile da colmare. Cfr la Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2021 punti 1 e 2 (consultabile al link: www.op.europa.eu)

[38] Come dimostrano i dati del rapporto Istat: “Livelli di istruzione e partecipazione alla formazione, anno 2020”, pubblicato in data 08 Ottobre 2021 e consultabile sul sito: www.istat.it alla voce Report Livelli di Istruzione 2020, pag.3: “La popolazione residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella nel Centro-nord: il 38,5% degli adulti ha il diploma di scuola secondaria superiore e solo il 16,2% ha raggiunto un titolo terziario. Nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato e più di uno su cinque è laureato (21,3% e 24,2% rispettivamente nel Nord e nel Centro). Il divario territoriale nei livelli di istruzione è indipendente dal genere, sebbene più marcato per la componente femminile. Nel 2020 le differenze territoriali nei livelli di istruzione sono del tutto simili a quelle dei due anni precedenti, sia per gli uomini che per le donne. Il divario territoriale resta dunque pressoché immutato per due anni consecutivi, mentre nel decennio 2008-2018 aveva registrato un aumento, in particolare tra la popolazione con titolo terziario. I livelli di istruzione crescono in misura piuttosto simile nelle ripartizioni geografiche: la popolazione con almeno il diploma aumenta di +0,8 punti nel Nord, di +0,4 nel Centro e di +0,7 punti nel Mezzogiorno; stessa dinamica per la popolazione laureata che cresce rispettivamente di +0,6, +0,5 e +0,4 punti”.

[39] Si fa riferimento in particolare al PNRR che fotografando la situazione attuale e il gap con gli altri paesi europei mette in campo fondi destinati a rilanciare il nostro sistema educativo da più punti di vista: formazione docenti, infrastrutture scolastiche ecc, consultabile al link: www.pnrr.istruzione.it/ pp. 175 e ss.

[40] Per un approfondimento sul punto si rimanda a: www.pnrr.istruzione.it/ pag.177

[41] Per un approfondimento sul punto si rimanda a: www.pnrr.istruzione.it/ pp. 176 e 177.

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