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Il nuovo patto di stabilità e crescita di cui alla proposta ecofin del 20 dicembre 2023: qualche riflessione sulla coerenza con l’ordinamento interno

di Clemente Forte, Consigliere emerito della Corte dei Conti 

Si intende qui mettere a fuoco qualche osservazione in merito agli eventuali risvolti istituzionali interni a seguito delle modifiche in atto, segnatamente alla luce della proposta Ecofin del dicembre scorso, al Patto di stabilità e crescita (Psc), ossia a quel complesso ordinamento eurounitario volto al controllo della situazione di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche tra i vari Stati membri, nonchè ad applicare la procedura d’intervento in caso di deficit eccessivi. Si tratta di un profilo – quello istituzionale – sinora coltivato nelle sedi ufficiali solo in qualche passaggio delle pronunce della Corte dei conti[1], in un contesto di sostanziale disinteresse da parte della dottrina giuspubblicistica. 

  1. La Comunicazione della Commissione europea del novembre 2022

Per esprimere qualche valutazione sulle ultime proposte del dicembre 2023 in merito alle nuove regole fiscali europee, appare utile prendere sinteticamente le mosse dalla Comunicazione del 9 novembre 2022 della Commissione europea[2], da cui – in estrema sintesi – emergeva l’intento di assumere l’indicatore della spesa primaria netta come unico obiettivo e strumento di sorveglianza ai fini del rispetto del Psc, fermi rimanendo i limiti di cui alla soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil e del 60% del rapporto debito/Pil. 

Un tale abbozzo di proposta poneva, sul piano meramente istituzionale, il problema della propria coerenza rispetto al quadro normativo di riferimento interno, anche di carattere costituzionale, alla luce della novella del 2012, avendo l’Italia (come la Spagna) modificato la legge fondamentale per adeguarsi alle decisioni eurounitarie adottate nel 2011 in materia (il cd. “Six Pack”), dopo la crisi determinatasi a partire dal 2009. Il problema di coerenza veniva a porsi in quanto la novella del 2012, nell’istituire un rinvio dinamico all’ordinamento europeo in materia, sanciva comunque il riferimento a parametri metodologici come l’equilibrio del bilancio, l’indebitamento (deficit) ed il debito delle pubbliche amministrazioni. A fronte di questo quadro la Commissione andava orientandosi, invece, con la Comunicazione del novembre 2022, verso la centralità dell’indicatore riferito alla spesa primaria strutturale. 

Le prime riflessioni intervenute al riguardo[3], sempre in un’ottica di diritto pubblico, segnalavano un’ipotesi di incoerenza, da parte di questo primo step di riforma del novembre 2022, per il fatto che, se il focus si spostava sulla variazione della spesa strutturale (parametro già vigente, peraltro, ma non centrale), con ciò si abbandonava la logica del riferimento al saldo di bilancio ed al debito di cui alla Carta costituzionale. La possibile discrasia veniva osservata, peraltro, anche dalla stessa Corte dei conti[4]. A questo si aggiungeva il fatto che si iniziava ad introdurre un modo di inquadrare le grandezze strumento-obiettivi in chiave primaria, ossia al netto degli oneri degli interessi sul debito pubblico, mentre la Carta non fa menzione di questa distinzione. Si poneva altresì il problema[5] delle possibili conseguenze sulle stesse procedure parlamentari in tema di parametri di cui tener conto all’interno della sessione di bilancio, nonché in vista dell’esame dei testi e dei relativi emendamenti di cui alle leggi ordinarie onerose e, quindi, quanto al tema (assolutamente centrale) delle stesse modalità di assolvimento degli obblighi di copertura di cui all’art. 81, comma terzo, Cost. 

In estrema sintesi, partendo dalla nuova centralità della spesa primaria strutturale, il quesito verteva sul fatto se assumere in futuro – quale parametro a legislazione vigente in base a cui dimensionare la quantificazione dei nuovi o maggiori oneri  e conseguentemente la relativa copertura finanziaria – il saldo o la variazione di spesa netta (in entrambi i casi come fissati dalla legge di bilancio in vigore).      

  • La proposta di riforma della Commissione europea dell’aprile 2023

Anche sulla base del dibattito sviluppatosi successivamente alla predetta Comunicazione del novembre 2022, nei primi mesi del 2023 si perveniva così al secondo atto dell’iter di riforma del Psc, concretizzatosi in una proposta formale avanzata dalla Commissione europea nell’aprile 2023[6]. Per i profili che qui interessano, va ricordato che all’interno di tale proposta si chiariva meglio, in merito al nuovo strumento di sorveglianza nonché alla grandezza-obiettivo di cui alla spesa primaria strutturale, che il relativo calcolo andava inteso al netto della manovra sulle entrate discrezionali. Contestualmente trovava un esplicito accoglimento l’esigenza di preservare la coerenza del nuovo quadro istituzionale eurounitario quale si andava delineando rispetto a quello costituzionale (e non) interno dei singoli Paesi, basato sul richiamo ai parametri di cui all’indebitamento (saldo) ed al debito delle pubbliche finanze. 

Con questi due passaggi (spese da calcolare al netto delle entrate discrezionali e rispetto comunque degli ordinamenti interni in vigore), forse per certi versi pensati unitariamente, la proposta della Commissione europea dell’aprile 2023 si poneva dunque su un sentiero di coerenza rispetto al quadro formale e sostanziale previgente: la nuova centralità dell’indicatore di cui al tasso di variazione delle spese al netto di quello delle entrate (queste ultime per la parte non legata agli stabilizzatori automatici) significava, infatti, indirettamente, la conferma dell’analoga centralità del risultato della differenza tra spese ed entrate, ossia, nella sostanza, del deficit. In parole più semplici, nettizzare le spese dalle entrate discrezionali significava aritmeticamente considerare la risultante, ossia il saldo (naturalmente, è da supporre che permanessero altre ragioni per modificare l’indicatore), con ciò pervenendosi allo stesso risultato partendo da prospettive diverse. 

Sul piano istituzionale, questi chiarimenti comportavano dunque, in estrema sintesi, che si ponevano così le premesse per ricomporre il paventato vulnus (costituzionale nel caso italiano ed ordinamentale negli altri casi) connesso all’ipotesi di sostituzione tout court dei parametri di cui al deficit ed al debito con quello della spesa primaria strutturale[7].

  • La proposta Ecofin del dicembre 2023 

Si perviene così al terzo atto dell’iter di riforma del Psc, essendo intervenuta – a dicembre 2023 – la formalizzazione di un’ulteriore proposta di riforma, questa volta da parte di Ecofin, il che consente di riprendere il filo delle riflessioni in merito ai relativi, possibili riflessi di coerenza istituzionale nel nostro Paese. Il riferimento è dunque alle tre proposte del 20 dicembre u.s.[8], con l’avvertenza, comunque, che, in ordine ad una decisione definitiva, occorrerà ancora che ne discuta almeno il Parlamento europeo, il che non ne esclude ulteriori modifiche.

In sintesi – come hanno rilevato, tra l’altro, i primi e tempestivi commenti del mondo economico[9] –  il nocciolo del nuovo elaborato si articola su due piani, di cui il primo sostanzialmente in linea con quello della Commissione europea dell’aprile scorso in termini di piano negoziato di aggiustamento fino a sette anni tra Commissione e singoli Stati, finalità ultima nel senso della diminuzione del debito pubblico e sorveglianza basata sull’evoluzione della spesa primaria strutturale. A tale primo piano, in qualche modo “consolidato”, se ne aggiunge ora, però, un secondo, frutto dell’accordo raggiunto in extremis a dicembre. A prescindere dagli aspetti tecnici e dalle relative modalità operative[10], ciò che interessa qui sottolineare è che questa seconda parte prevede nuovamente e comunque il rispetto di vincoli quantitativi collegati al debito ed al deficit (saldo). 

All’interno di questa seconda parte, oltre alla reintroduzione di parametri quantitativi, sussiste poi un’ulteriore differenza, che consiste nel fatto che i nuovi vincoli di medio-lungo periodo in termini di saldo e di debito pubblico (sul Pil) valgono per i Paesi con un deficitinferiore al 3% sul pil, mentre, per quelli che si collocano al di sopra di tale soglia (qual è il caso italiano), è prevista una fase di flessibilità nel breve-medio periodo (sino al 2027) per consentire di riportarsi entro il suddetto limite di deficit nominale. Si tratta, in sostanza, di un aggiustamento annuale alleggerito (essenzialmente, circa la voce relativa alla quota di interessi sul debito pubblico dovuta all’inflazione), ma comunque vincolato a parametri quantitativi e nell’intesa che, al termine della fase transitoria, a regime sono destinati subentrare i limiti quantitativi indicati in quanto clausole di salvaguardia. Questa è dunque la novità sostanziale di cui alla proposta Ecofin di dicembre[11].

Per il profilo qui considerato (coerenza istituzionale interna da parte del nuovo quadro di regole europee), va rilevato, a prima vista, che il fatto di riportare le finanze pubbliche nella gabbia di parametri quantitativi massimi prefissati (anche nella descritta fase transitoria) in fin dei conti non fa emergere aspetti problematici di particolare rilievo, ma anzi fissa una precisa linea di continuità. Infatti, come già ricordato, la novella costituzionale del 2012 risulta formalmente incentrata sulla logica degli obiettivi (ancorché non saggiamente quantificati) di indebitamento (deficit) e di debito, con un rinvio dinamico alla normativa eurounitaria: lo attestano i primi due commi dell’art. 81,  nonché l’art. 97, primo comma, Cost., laddove quest’ultimo aggiunge all’obiettivo dell’equilibrio quello della sostenibilità del debito per tutte le pubbliche amministrazioni (ivi compreso lo Stato, naturalmente). La riproposizione dunque di soglie quantitative predeterminate vale a riportare ad una coerenza di fondo tra il nostro ordinamento interno ed il nuovo Psc, almeno per il secondo piano della proposta Ecofin di dicembre, nei termini prima descritti.

Quanto poi al primo piano “consolidato” di tale proposta (percorso di aggiustamento fino a sette anni, fine ultimo in termini di diminuzione del debito pubblico, utilizzo per la sorveglianza dell’evoluzione della spesa primaria strutturale), va osservato – anche se in termini meno netti – che neanche per questo aspetto la proposta Ecofin risulta in fin dei conti incoerente rispetto alla novella costituzionale del 2012. Della sostanziale equivalenza tra calcolo delle spese nette e il saldo si è già prima discorso. Rimarrebbe formalmente il vulnus costituito dal fatto che le nostre disposizioni costituzionali si riferiscono a grandezze di finanza pubblica calcolate al lordo della spesa per gli interessi, mentre le varie proposte di riforma europee fanno riferimento al risultato netto: non sembra però trattarsi di un’obiezione insuperabile, in quanto, come già osservato, la novella del 2012 risulta caratterizzata da un rinvio dinamico all’ordinamento europeo, per cui, modificandosi quest’ultimo, appare ragionevole sostenere che ne consegue la possibilità di interpretare le prescrizioni costituzionali in conformità a tali modifiche, almeno per l’aspetto tecnico riferito alle modalità di calcolo dei parametri.

Quanto poi alle altre fonti normative interne, non può non essere rilevato che il nuovo Psc potrebbe implicare un qualche aggiustamento formale della legge “rinforzata” n. 243 del 2012: ciò eventualmente in riferimento alla prima parte, quella “consolidata”, della proposta Ecofin. Può essere il caso, ad es., dei risvolti connnessi al piano settennale di aggiustamento e, con maggior certezza, per quanto concerne il nuovo ruolo dell’indicatore della spesa primaria strutturale. Sul piano più generale però, a proposito della legge n. 243, indubbiamente sarà solo in riferimento al peso effettivo – anche sul piano formale – che finirà con il rivestire l’indicatore di cui alla spesa primaria strutturale, che sarà possibile valutare se occorrerà trarne le conseguenze su quelle disposizioni di tale legge che richiamano il saldo strutturale. Può essere il caso, in particolare (ma non solo), degli artt. 6 ed 8, relativi, rispettivamente, alla fattispecie dello scostamento dal saldo strutturale programmatico per eventi eccezionali e del rientro da disavanzi eccessivi verificati a consuntivo. 

Vale la pena, poi, di ricordare – quanto agli aspetti di coerenza con la legge ordinaria di contabilità (n. 196 del 2009) – che sembrerebbe continuino a permanere riflessi solo indiretti, in ordine,  eventualmente, al contenuto dei documenti programmatici.

Tirando le fila del discorso, può essere notato, in definitiva, che quelli descritti costituiscono un ambito di problemi che si inquadra in una questione ancora più ampia: ci sarà in sostanza da sciogliere il nodo della potenziale, scarsa collimanza tra il primo piano di cui alla proposta Ecofin in riferimento alla “contrattazione” tra Commissione UE e singoli Stati, da un lato, e, dall’altro, il rispetto comunque dei parametri e dei vincoli quantitativi di cui al secondo piano della proposta. Ciò potrebbe implicare la ricerca di un difficile equilibrio tra forma e sostanza in riferimento alle varie normative: la sensazione, al momento, è che non appare del tutto azzardato sostenere una prevalenza delle cifre sull’aspetto negoziale, del secondo piano sul primo, in altre parole.


[1] Cfr. audizione informale presso la Commissione bilancio della Camera dei Deputati del 14 febbraio 2023, nonché Memoria trasmessa alle Commissioni bilancio ed a quelle per le politiche europee del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati in sede congiunta il 18 ottobre 2023.

[2] Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE-Bruxelles, 9.11.2022 com(2022) 583 final.

[3] Cfr. ad es. C. Forte, La nuova governance fiscale europea: quali possibili riflessi sull’ordinamento interno?, in Rivista AICOsservatorio costituzionale, fasc. 1/2023.

[4] Essa notava infatti, nella citata audizione, che “per quel che attiene invece all’ordinamento contabile il punto è che nella nuova architettura scompare, sostanzialmente, la nozione dell’equilibrio del saldo strutturale di bilancio che nel Fiscal Compact del 2012 costituiva l’architrave dell’ordinamento europeo in materia. La normativa nazionale recepì puntualmente il quadro di regole comunitario, a partire dal testo della Costituzione. Bisogna ora chiedersi se il nuovo scenario, nell’ipotesi che il disegno si traduca nei prossimi mesi in decisioni legislative, non apra prospettive di ripensamento anche dell’ordinamento interno”.

[5] Cfr., per i riferimenti, le precedenti note 3 e 4.

[6] Commissione Europea, Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale e che abroga il regolamento (ce) n.1466/97 del Consiglio (COM (2023) 240 def)); Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento CE 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (COM(2023) 241 final 2023/0137 (CNS); Proposta di direttiva del consiglio recante modifica della direttiva 2011/85//UE del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio del stati membri (COM(2023) 242 final 2023/0136(NLE)). 

[7] Cfr. in questo senso la citata memoria delle Corte dei conti, laddove si faceva conclusivamente notare che” si tratterebbe dunque di un’interpretazione – quella orientata alla continuità – in qualche modo “a rime obbligate”, in quanto sorretta ed indotta dalla descritta sinergia tra le variabili finanziarie in gioco”, in riferimento al saldo quale differenza tra spese ed entrate. Cfr. altresì, ad es., C. Forte, La governance economica europea- Il nuovo quadro di regole europee in materia di finanza pubblica: possibili riflessi sull’ordinamento interno, in Rivista AIC, Osservatorio, 7/2023-La Governance economica europea.

[8]Council of the European Union, Proposal for a regulation of the european parliament and of the council on the effective coordination of economic policies and multilateral budgetary surveillance and repealing council regulation (ec) No 1466/97 (2023/0138(COD)); Proposal for a council regulation amending regulation (ec) no 1467/97 on speeding up and clarifying the implementation of the excessive deficit procedure (2023/0137(CNS)); Proposal for a council directive amending directive 2011/85/eu on requirements for budgetary frameworks of the member states – agreement in principle with a view to consulting the european parliament – Bruxelles, 20 dicembre 2023 (2023/0136(NLE)).

[9] Cfr. ad esempio M. Bordignon, Nasce il nuovo Patto di stabilità e crescita, su Lavoce.info, 22 dicembre 2023 e M. Buti, M. Messori, Nuovo Patto di stabilità-cosa cambia per l’Italia, Il Sole 24-ore, 24 dicembre 2023, nonché C. Bastasin, Conceptually flawed and politically risky after the transitory period -The new proposed European economic governance reform, Policy Brief 19/2023, Luiss, 31 dicembre 2023.

[10] Per le quali si rinvia ai testi citati nonché alle richiamate sintesi del mondo economico.

[11] Per una valutazione degli effetti sulle finanze pubbliche dei singoli Paesi cfr. Bruegel, Assessing the Ecofin compromise on fiscal rules reform, 21 dicembre 2023.

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