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Sull’impatto del fallimento dell’appaltatore nei confronti dei crediti dei subappaltatori e della società consortile verso il fallito

dell’Avv. Chiara Bruni, Avvocato, cultore della materia diritto amministrativo nell’Università di Bologna

  1. Il fallimento dell’appaltatore ostacola l’operatività dell’art. 103 d. lgs 50

Come è stato affermato da Giurisprudenza univoca, il fallimento dell’appaltatore stante la par condicio creditorum non consente – almeno senza l’assenso del fallimento – di procedere al pagamento diretto dei subappaltatori.

Lo stesso accade in caso di risoluzione dell’appalto, non essendoci più l’interesse pubblico a garantire l’attività dei subappaltatori di esecuzione del medesimo: per cui anche in caso di risoluzione le somme richieste dai subappaltatori non risultano dovute (questo afferma la Giurisprudenza v. sotto).

In questo senso:

  • Tribunale Verona, Sez. II, Sent., 18/05/2022, n. 942) <<La norma ora applicabile – o, più precisamente, quella applicabile ai contratti per i quali i bandi di gara o gli avvisi di avvio della procedura di scelta del contraente siano stati pubblicati successivamente alla data dell’entrata in vigore del nuovo Codice (così l’art. 216, comma 1) – è quella contenuta nell’art. 105, comma 13, del D.Lgs. n. 50 del 2016, a mente del quale “La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori, l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi: a) quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa; b) in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore; c) su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente”.

  E’ dunque venuta meno l’alternativa fra pagamento diretto dei subappaltatori e sospensione dei pagamenti disposta dalla stazione appaltante, e la tutela riconosciuta ai subappaltatori – anche in attuazione della Direttiva Europea 2014/24/UE – è affidata esclusivamente al pagamento diretto.

Tuttavia, come osservato dalle Sezioni Unite, il nesso intrinseco e non occasionale tra l’interesse pubblico alla regolare e tempestiva esecuzione dell’opera e la tutela dei subappaltatori non può comportare “deroghe, in via giurisprudenziale, al principio della par condicio creditorum, restando il subappaltatore che abbia adempiuto le sue prestazioni in favore del debitore in bonis pur sempre un creditore concorsuale come gli altri”.

            La speciale disciplina valevole per gli appalti pubblici era e resta operante, pertanto, soltanto nel caso in cui il contratto di appalto sia in corso, cosa che, nel caso di apertura di una procedura concorsuale a carico dell’appaltatore, è possibile, ove si tratti di procedura fallimentare, solo ove sia stato autorizzato l’esercizio provvisorio, e, nel caso di concordato preventivo, alle condizioni stabilite dagli artt. 186 bis l. fall. e 110 del D.Lgs. n. 50 del 2016 – mutate nel corso del tempo per effetto delle modifiche apportate al secondo di tali articoli, tutte applicabili alle procedure bandite successivamente alla loro entrata in vigore. >>

  • Trib. Genova sentenza 11.7.2023 in causa RG 5041/2023: <<l’intervenuto fallimento della Pigeco esclude l’applicabilità dell’art. 105, perché questa disposizione presuppone l’esistenza attuale del contratto di appalto originario, che invece nel caso in esame è stato risolto dalla Fondazione prima della richiesta di pagamento di Steel alla stessa, ed è comunque venuto meno per la mancata dichiarazione di sua prosecuzione da parte della Curatela del fallimento Pigeco. Quanto sopra comporta che la sede in cui l’odierna opposta avrebbe dovuto far valere il proprio credito è quella del passivo fallimentare della Pigeco, in concorso con gli altri creditori>>
  • Corte di Cassazione, SS. UU., 2 marzo 2020, n. 5685 <<in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddi-sfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione>>.

Non è possibile sostenere che debbano essere pagati direttamente i creditori ex lege come i lavoratori (e come anche i subappaltatori): <<potendo ritenersi – con valutazione sommaria propria della presente fase cautelare, fatta salva ogni diversa valutazione da parte degli organi fallimentari e del giudice del merito del presente giudizio – essere venuto meno per la stazione appaltante il rischio di doversi sostituire all’appaltatore fallito nell’adempimento delle obbligazioni assunte a tutela dei lavoratori addetti all’esecuzione dell’appalto , con azione diretta da parte di questi (e/o enti previdenziali) nei suoi confronti .>> (ord Trib. Genova 21.5.2020)

Un pagamento diretto del subappaltatore comporterebbe che la stazione appaltante che paga sia esposta al rischio di pagare due volte, potendo il fallimento esigere l’importo corrisposto al ricorrente, e comunque dovendo controparte insinuarsi nel fallimento.

Non occorre ricordare che <<in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito dal debitor debitoris al creditore che abbia ottenuto l’assegnazione del credito pignorato ex art. 553 c.p.c., è inefficace, ai sensi dell’art. 44 citato, qualora intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento>> (Cass. 3850/2021).

Per cui la stazione appaltante, debitor debitoris (debitore al più del debitore in fallimento) non può pagare.

  • La società consortile che si occupa dell’esecuzione non è creditrice verso la committente, e dunque lo stesso può ritenersi anche per i contraenti subappaltatori della società consortile, che sono creditori nei confronti di tale società consortile.

La società consortile che spesso esegue l’appalto non è la società appaltatrice.

Tale società è semplicemente lo strumento operativo che l’ATI interpone tra sé e i subappaltatori, previsto dalla legge, perché è spesso difficile capire se le attività dei subappaltatori siano imputabili a uno o all’altro componente dell’ATI. Essa dunque subentra all’ATI solo nell’esecuzione, e cioè nei rapporti con i subappaltatori, mentre non subentra affatto nel contratto con l’Amministrazione, contratto che resta in capo all’ATI.

A ciò si aggiunga che anche sul piano fiscale la fatturazione da parte della società consortile nei confronti della stazione appaltante è proibita.

Si riporta dall’ordinanza Cass 09 giugno 2020, n. 10983, per chiarire il funzionamento della società consortile anche sul piano fiscale: <<Inoltre, si è ritenuto che, in tema d’IVA, la società consortile, costituita per l’esecuzione dei lavori dalle imprese riunite in associazione temporanea, aggiudicatane di un appalto pubblico, non può detrarre dall’imposta dovuta quella relativa ai costi del contenzioso legale con la stazione appaltante, difettando il requisito dell’inerenza, atteso che tale società non subentra nella titolarità del contratto di appalto e delle relative posizioni giuridiche, la cui gestione è devoluta per legge esclusivamente all’impresa capogruppo e mandataria, che ha la rappresentanza processuale esclusiva dell’ATI nei confronti della stazione appaltante (Cass., sez. 5, 24 febbraio 2015, n. 3651). 2.4. I profili fiscali sono stati nel tempo scolpiti da questa Corte, sicché si è ritenuto che, con riferimento alla società consortile, essa deve sostenere i costi per l’esecuzione dell’opera aggiudicata all’ATI, ma riceve da ciascuna delle società consorziate la quota parte delle spese sostenute. In tal modo, la società consortile avrà un bilancio chiuso in pareggio, proprio per la sua natura mutualistica e non meramente speculativa. Pertanto, la società consortile deve “ribaltare” i costi sostenuti per l’esecuzione delle opere alle società consorziate, emettendo le relative fatture attive (in tal senso anche risoluzione ministeriale Min.Fin.Dir.Gen. Tasse e Imposte indirette sugli affari 4 agosto 1987, n. 460437). La società consortile non deve conseguire l’utile dell’opera da dividere tra le imprese riunite né correre l’alea dell’opera stessa, in quanto il risultato finale dell’operazione, in utile o in perdita, si produce direttamente in capo alle imprese riunite (o in associazione). Le società consorziate, invece, hanno come ricavi il compenso che proviene dalla stazione appaltante come corrispettivo delle opere realizzate dalla società consortile (Cass., sez. 5, 24 febbraio 2015, n. 3651; Cass., sez.5, 29 ottobre 2008, n. 25944; Cass., sez. 5, 2 novembre 2001, n. 13582), e deducono i costi relativi ai pagamenti effettuati in favore della società consortile per le opere da essa realizzate, potendo anche dedurre i costi sostenuti per ripianare le perdite della società consortile se e nella misura in cui siano correttamente imputati al conto profitti e perdite, sempre che ne sia certa l’esistenza e comprovata l’inerenza (Cass., 29 ottobre 2008, n. 25944, citata); sicché il conto economico della società consortile viene inciso nel “dare”, dai costi dei beni e servizi acquisiti per eseguire l’oggetto dell’appalto e, nell’ “avere”, dai contributi o compensi periodici versati dalle imprese a copertura di tali costi sostenuti dalla società (in tal senso anche circolare ministerale Min.Finf.Dir. Gen. Imposte dirette 6-4-1998, n. 10/9/277; risoluzione 30 maggio 1986, n. 9/888; risoluzione 14 marzo 1979, n. 9/492).>>

In altri termini:

  • la stazione appaltante paga e può pagare solo le imprese in ATI, e non la consortile
  • le imprese in ATI pagano a loro volta la consortile per i costi che essa sostiene verso i subappaltatori: solo loro  sono debitrici della consortile
  • la consortile paga i subappaltatori, per risolvere il problema di quale sia delle imprese in ATI quella che ha in essere il contratto di subappalto
  • in sintesi, l’unico appaltatore è l’ATI, con la mandataria in fallimento: non certo la società consortile di esecuzione che non ha alcun rapporto diretto o indiretto con il committente

La tesi di crediti diretti della società consortile verso la stazione appaltante è dunque manifestamente infondata:

– Cass. Civ., Sez. I, 26 novembre 2008, n. 28220 << la società consortile, eseguendo l’opera appaltata alla imprese consorziate, non acquista alcun diritto nei confronti della committente, e non è sua creditrice>>

– Cass Sez. 5, Sentenza n. 3651 del 24/02/2015 <<… la società consortile, costituita per l’esecuzione dei lavori dalle imprese riunite in associazione temporanea, aggiudicatarie di un appalto pubblico, … non subentra nella titolarità del contratto di appalto e delle relative posizioni giuridiche, la cui gestione è devoluta per legge esclusivamente all’impresa capogruppo e mandataria.>>

– Tribunale di Ravenna, ordinanza 7 ottobre 2019 RG 2719/2019, in cui si rileva quale ragione più liquida il <<mancato riscontro in capo alla società Z  della ‘veste’ di terza debitrice di AUSA soc. cons. a r.l. Quest’ultima, infatti, quale autonomo soggetto di diritto, distinto dai propri soci, non risulta avere alcun diretto rapporto con la appaltante …….(Cass. 21280/2008 “La circostanza secondo cui, per il disposto dell’art. 23-bis della legge 8 agosto 1977, n. 584 (aggiunto dall’art. 12 della legge 8 ottobre 1984, n. 687), la società consortile costituita tra le imprese riunite in associazione temporanea subentra nell’esecuzione del contratto stipulato dalle imprese consorziate, non implica la sussistenza di un subappalto o di una cessione del contratto in capo alla prima, come è palesato dal fatto che non è prescritta alcuna autorizzazione o approvazione e restano ferme le responsabilità delle imprese riunite; pertanto, la società consortile, eseguendo l’opera appaltata alle imprese consorziate, non acquista alcun diritto nei confronti della committente e non è sua creditrice), e poiché la domanda di cautela conservativa ha invece ad oggetto il credito che, secondo la rappresentazione allegatoria del ricorrente, scaturirebbe dal preteso rapporto di appalto in essere tra …… e AUSA soc. cons. a r.l., appare da ciò evidente l’infondatezza – ad una delibazione sommaria – del ricorso.>>

– Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 12/01/2015) 24-02-2015, n. 3651 <<Pertanto, la società consortile, eseguendo l’opera appaltata alle imprese riunite in ATI e poi consorziate, non acquista alcun diritto nei confronti della committente e non è sua creditrice (Sez. 1, Sentenza n. 28220 del 26/11/2008, Rv. 605869). Ne deriva che l’art. 22 cit., u.c., siccome prevede che l’autonomia delle imprese associate è conservata ai fini della gestione e degli adempimenti fiscali, non deroga alla regola (comma 2) in base alla quale alla mandataria spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei confronti del soggetto appaltante (Sez. 1, Sentenza n. 12732 del 20/07/2012, Rv. 623957; conf. D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 23, commi 9-10, e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 95, commi 6 e 7). 8. Le disposizioni della L. n. 584 dei 1977, e quella della similare normativa sopravvenuta (D.Lgs. n. 401 del 1991, artt. 22 e 26; D.P.R. n. 554 del 1999, artt. 9395 e 96) non pongono in capo alla società consortile alcuna attribuzione circa il contenzioso generato dal contratto di appalto. Infatti, alle singole socie delle attività svolte per suo tramite restano imputabili, tra i ricavi, i corrispettivi dovuti dalla stazione committente, essendo invece riferibili alla società consortile, tra i costi, le spese sostenute per l’esecuzione unitaria dei lavori, e, tra i ricavi, i contributi versati “prò quota” dalle società socie a copertura di tali spese, null’altro di più (puntualmente in termini Sez. 5, Sentenza n. 13582 del 02/11/2001, Rv. 549968; conf. cit. Sez. 1, n. 28220 del 2008). Se, come ritiene la giurisprudenza di legittimità confortata da gran parte della dottrina, la disposizione dell’art. 23 bis cit. (conf.D.Lgs. n. 406 dei 1991, art. 26, comma 2, e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 96, comma 2) ha “la esclusiva portata di legittimare la società consortile nei confronti dell’ente appaltante nella esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto a carico dell’Ati, ma non ne comporta la sostituzione”, titolare del contratto continua a essere il raggruppamento, rimanendo la società un mero strumento di esecuzione dei lavori e, quindi, semplice struttura operativa a servizio del raggruppamento medesimo. Ciò comporta che, anche dopo il subentro della società nella esecuzione delle opere, tutti i rapporti scaturenti dal contratto di appalto continuano a intercorrere direttamente tra l’associazione temporanea e l’ente committente restando a essi estranea la società subentrante. 9. Dunque, nonostante la costituzione della società consortile, resta pur sempre centrale ed esclusivo il ruolo dell’impresa capogruppo quale mandataria delle imprese riunite nel rapporto di appalto. Ne deriva che all’esecuzione di esso provvede il nuovo soggetto consortile mentre all’amministrazione dello stesso rapporto (es. riscossione dei crediti, gestione del contenzioso) è preposta solo la società mandataria...>>      

Questa è dunque l’interpretazione dell’art. 276 dPR 207 del 2010 (regolamento appalti pubblici) che si riporta per comodità <<1. I concorrenti riuniti o consorziati indicati dal consorzio come esecutori delle prestazioni, dopo l’aggiudicazione possono costituire tra loro una società anche consortile, ai sensi del libro V del titolo V, capi 3 e seguenti del codice civile, per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, delle prestazioni affidate. 2. La società subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del contratto, ferme restando le responsabilità dei concorrenti riuniti o consorziati ai sensi del codice.>>, intendendosi per esecuzione appunto in Giurisprudenza le attività con gli esecutori/subappaltatori e non le attività rispetto alla stazione appaltante.

Poiché la società consortile non ha alcun rapporto con la committente, e non può esigere denaro dalla medesima, parimenti non possono avanzare tali pretese i subappaltatori della consortile, che sono creditori non dell’ATI, ma appunto della consortile: Tribunale Napoli, Sez. V, Sent., 20/04/2023, n. 4069 <<non sussiste alcun credito della società consortile nei confronti della stazione appaltante, spettando tali crediti direttamente (ed unicamente) all’Ati ed alle società alla stessa facenti capo; con l’ulteriore conseguenza che terzi subappaltatori del consorzio, come nel caso di specie la E., non possono pignorare crediti della società consortile verso la stazione appaltante, per la semplice ragione che tali crediti non sussistono.>>


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