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Il Parlamento come luogo di lavoro e di lavoratori

dell’Avv. Prof. Adriano Tortora

L’Associazione italiana collaboratori parlamentari qualche tempo fa ha organizzato un importante momento di riflessione sulla figura dei collaboratori a diverso titolo dei parlamentari, a quanto risulta il primo di una certa ampiezza dedicato ai differenti profili lavorativi che sono andati nel corso del tempo a caratterizzarsi in modo sempre più specifico e professionalizzante nell’ambito delle Camere[1].

La predetta iniziativa ha fatto quindi tornare in mente non a caso il convegno pionieristico che organizzò la Presidente Nilde Iotti nel 1984 alla Camera dei deputati, a quell’epoca per il vero dedicato solo alla burocrazia parlamentare[2], che allora deteneva una sorta di “monopolio lavorativo” nell’ambito dei palazzi Montecitorio e Madama. 

Come noto, è stato Pietro Scoppola a insegnarci che la storia delle amministrazioni degli organi apicali dello Stato ha sempre una rilevanza costituzionale. Ad esempio, se che negli anni Novanta nel dibattito politico e dottrinario la Consulta era già molto in auge, fu però l’illustre storico – che tra l’altro era stato in passato un vicedirettore del Senato della Repubblica – ad accorgersi che non c’era una storia dell’amministrazione della Corte costituzionale e a incaricare un suo giovane allievo di ricostruire la prima storia dell’amministrazione della Corte costituzionale[3].

Attualmente, per quanto riguarda le Camere, la problematica è evidentemente molto più complessa. Infatti, non appare più sufficiente soffermarsi solo sulla storia delle amministrazioni parlamentari al fine di tratteggiare un quadro completo delle professionalità complessivamente al servizio dei rappresentanti politici e di comprendere appieno ciò che avviene nei palazzi delle Camere.

Pertanto, motivi di correttezza metodologica, ma anche ragioni di buon senso dettate dall’esperienza, inducono a ritenere che, più correttamente, oggi come oggi occorrerebbe riferirsi alle Camere come luoghi di lavoro: vale a dire come luoghi di lavoro “al plurale”. Con tale dizione si vuole significare che si tratta di strutture che evidentemente coinvolgono diverse tipologie – per usare un termine forse rétro – di “lavoratori”.

Ad esempio, circa quaranta anni fa, nel 1982, i luoghi del Parlamento erano completamente diversi: qual era infatti la struttura aziendale di allora, sempre facendo riferimento alle Camere come luoghi di lavoro? In short: prevaleva un assetto molto semplificato, in cui avevano una parte di gran lunga prevalente se non quasi esclusivo i dipendenti di ruolo delle due amministrazioni parlamentari, che evidentemente avevano una posizione numericamente di gran lunga preponderante se non quasi totalizzante.

In secondo luogo, si notavano i giornalisti parlamentari[4], la cui presenza fisica all’epoca – sembrerà strano – nei luoghi parlamentari si avvertiva maggiormente rispetto a oggi[5], ancorché vi fosse solo la carta stampata a seguire i lavori parlamentari, mentre del tutto marginale era la programmazione televisiva dedicata a questo settore[6].

Inoltre, va ricordato un gruppo molto ristretto – usiamo pure tale definizione per intenderci – di “gabinettisti”, come si diceva all’epoca, perché gli uffici di diretta collaborazione erano riservati esclusivamente alle cariche apicali (Presidenti, Vicepresidenti, questori delle Camere). Si trattava di un numero molto esiguo, ma in ogni caso erano presenti nella loro particolare tipologia di personale fiduciario riservato ai titolari dei massimi incarichi di livello parlamentare.

Infine, vi erano i dipendenti dei gruppi parlamentari, ma a dire il vero anche per quanto riguarda i gruppi più numerosi agli inizi degli anni Ottanta si trattava di una burocrazia ancora molto ristretta. Tuttavia, sia alla Camera che al Senato operavano nell’ambito dei Gruppi delle “figure mitiche”[7], come potrebbero essere definite senza enfasi, in quanto erano dei consolidati punti di riferimento sia per i parlamentari che per gli stessi dipendenti delle Camere al fine di risolvere qualsiasi problema organizzativo, a cominciare dal favorire la sussistenza del numero legale nelle Commissioni o nel rintracciare un relatore di cui si erano perse le tracce. Questo tipo di collaborazione era quanto mai preziosa, in un tempo in cui evidentemente vi erano solo telefoni fissi e telegrammi al domicilio.

Va comunque precisato che all’epoca apparivano prevalenti nei pur esigui dipendenti dei gruppi parlamentari funzioni che si potrebbero definire di “alto segretariato”, più che di collaborazione legislativa in senso proprio. Questo può essere spiegato anche per il fatto che vi era un sistema dei partiti ben strutturato e completamente diverso rispetto all’attuale, per cui gli uffici legislativi erano più che altro all’interno dei partiti di cui i gruppi per lo più erano “cerniera” (come noto, Andrea Manzella ha usato questa incisiva espressione).

Tale assetto non ampio, da club ristretto, per quanto riguarda le persone e i lavoratori operanti nelle Camere, via via nel tempo è andato sempre più allargandosi. Quando si legge sui giornali – che ciclicamente ritornano su questo argomento – polemiche di vario tipo sul numero dei palazzi delle Camere all’interno del centro storico di Roma, a ben guardare ci sarebbe anche una più completa riflessione da svolgere, relativa cioè alle diverse tipologie di lavoratori che sono presenti all’interno di questi palazzi della politica, che non possono essere più ricondotti alla tradizionale triade: parlamentari, giornalisti e dipendenti di ruolo.

Sul finire della VIII legislatura – per esempio mi riferisco sempre al 1982 – nell’ambito delle amministrazioni parlamentari tutte le funzioni erano internalizzate, anche i servizi di pulizia venivano svolti da dipendenti delle Camere. Ancora non era iniziata la stagione della progressiva esternalizzazione di una certa quota di attività lavorative.

In sintesi: si è assistito nel corso degli anni a un “crescendo rossiniano” in questa espansione numerica dei lavoratori che a vario titolo operano nei palazzi parlamentari. Per comodità e velocità espositive si richiamerà l’attenzione su una serie di date, che sotto il profilo emblematico possono assumere un preciso significato.

Una prima ricorrenza “storica” è quella del 1° gennaio 1987, quando sia alla Camera che al Senato hanno iniziato ad operare i cosiddetti “assistenti” dei singoli deputati e dei singoli senatori[8]. Quindi si introduce una figura innovativa del collaboratore “attendente” – per usare una famosa espressione del linguaggio militare – che di per sé comportò un primo cambiamento notevole rispetto a quell’assetto da piccolo club ristretto prima descritto. Al riguardo si può considerare quell’innovazione organizzativa come un vero e proprio “punto di non ritorno” nella storia del Parlamento italiano, che ha segnato il passaggio dal “monolitismo” dei dipendenti di ruolo della burocrazie camerale al “pluriverso” dei lavoratori e delle figure professionali al servizio degli eletti.

Una seconda data significativa a questo proposito è risalente al 1993, quando con apposite delibere gli Uffici di Presidenza della Camera e del Senato[9] hanno fatto sì che, dalla XII legislatura in poi, vi fossero dei dipendenti dei gruppi – individuati e indicati nominativamente in elenchi contenuti in appositi decreti (per questo motivo nel gergo gestionale gli interessati sono spesso qualificati come i “decretati”), i quali possono considerarsi in qualche modo stabilizzati, attraverso appositi contributi ai gruppi (riservati alla loro assunzione) e specifici meccanismi contrattuali (come la previsione del residuale obbligo di assunzione da parte del Gruppo misto).

In tal modo si è voluto garantire la stabilità del posto di lavoro (in una prospettiva futura) per l’insieme dei collaboratori dei Gruppi parlamentari in servizio nel 1993. Volendo riflettere su questo pur specifico e limitato episodio, relativo all’organizzazione dei Gruppi, e cercando di interpretarlo (per così dire) con “le lenti dello storico”, si potrebbe concludere che al tramonto del tradizionale sistema dei partiti (definibile come “regime”, secondo le precisazioni di Lanchester) – vale a dire le strutture politiche che ci avevano governato dalla Liberazione al 1994 – quella stessa classe politica che si andava sgretolando volle, in un certo qual modo, “salvare” i collaboratori dei Gruppi in servizio nel 1993, poiché si ipotizzava che, nell’imminente futuro, vi sarebbero stati Gruppi parlamentari completamente diversi rispetto ai partiti che da quarant’anni erano presenti.

Anche questa fattispecie può essere considerata una svolta non marginale nei tradizionali assetti operativi delle due Camere, pure in questa circostanza operanti sinergicamente fra loro (in una sorta di bicameralismo coordinato per questi profili).

Attualmente, sotto il profilo funzionale, si può affermare che, in linea generale, le attività dei dipendenti e dei collaboratori dei Gruppi parlamentari ricomprendono una gamma complessa di attività, che possono essere ricondotte sinteticamente al supporto nell’attività legislativa, a mansioni riconducibili alla segreteria generale e non da ultimo a prestazioni di vario genere legate alla comunicazione politica.

Va poi ricordato che un’altra data importante è quella del 1994[10], ancora una volta sia alla Camera che al Senato. Infatti, proprio a partire da quell’anno hanno cominciato a proliferare i cosiddetti “gabinettisti”, nel senso che hanno cominciato ad avere un certo peso, anche di consistenza numerica, gli uffici di diretta collaborazione. Infatti, da un lato sono state aumentate le dotazioni tradizionali degli organi di vertice parlamentare. Dall’altro lato tali strutture di collaborazione sono state estese anche ai presidenti delle Commissioni permanenti e speciali, ai presidenti delle Giunte, ai presidenti delle commissioni bicamerali e degli organi di inchiesta. Quindi, si è diffusa a raggiera la possibilità di avere piccoli gabinetti per quanto riguarda i vari titolari di cariche: non solo i membri dell’Ufficio di Presidenza ma anche i presidenti di Commissioni permanenti e assimilati[11]. E anche questa è una tappa significativa del descritto work in progress.

In quarto luogo, va richiamata l’attenzione su un’importante modifica relativa all’articolo 12 del regolamento generale della Camera, approvata il 7 luglio 2009, laddove è stato prevista espressamente – al comma 3, lettera e), tra le competenze deliberative dell’Ufficio di Presidenza della Camera – la facoltà di stabilire«i criteri per l’affidamento a soggetti estranei alla Camera di attività non direttamente strumentali all’esercizio delle funzioni parlamentari».

Questa specificazione, che è in tutta evidenza testuale, ha un significato (si potrebbe affermare) quanto mai dirompente perché viene certificato nella fonte suprema – il regolamento generale della Camera – la possibilità di avvalersi di personale esterno, seppure per funzioni non direttamente strumentali, vale a dire viene codificata una prassi –  ormai corrente da anni e nel corso del tempo sempre più incrementata – di esternalizzare un certo numero di svariate attività, soprattutto di livello .

Occorre infine considerare un’ultima tappa, passata finora sotto traccia ma che a nostro avviso si presenta come tutt’altro che trascurabile. Infatti, anche in questo caso sempre alla Camera dei deputati, vi sono state dapprima una pronuncia della Giunta per il regolamento nell’aprile del 2016, poi una deliberazione dell’Ufficio di Presidenza dell’8 febbraio 2017 riguardanti i rappresentanti degli interessi (i cosiddetti “lobbisti”). In particolare, si è previsto un apposito registro e si sono stabiliti determinati criteri, specifici requisiti e anche particolari obblighi (come quello di una relazione sull’attività svolta)[12].

Allo stato attuale, quanto meno sotto il profilo formale, va annoverata la presenza a questo titolo di circa altre trecento persone, che hanno la facoltà di fare ingresso a palazzo Montecitorio, seppure con delle limitazioni, per svolgere la propria attività di rappresentanti di interessi.

In sintesi e in conclusione. Sulla base di questa pur breve ricostruzione cronistorica, nell’ anno domini 2023 vi è un panorama estremamente variegato di operatori che “lavorano” in ambito parlamentare.

Innanzitutto, vanno ricordati i dipendenti di ruolo delle Camere, anche se si è avuto negli ultimi anni un dimezzamento del loro numero: in particolare, attualmente al Senato si è raggiunta la soglia limite delle 600 unità, mentre anche alla Camera vi è stata un’analoga contrazione degli organici, ora intorno al migliaio (960 per l’esattezza), in coerenza del resto con una tradizione che ha sempre fatto registrare a Montecitorio una somma di dipendenti di ruolo più o meno pari al doppio di quella del Senato.

Vanno poi segnalati: le centinaia di unità di personale negli uffici di diretta collaborazione dei titolari di incarichi parlamentari (sopra ricordati); gli assistenti dei singoli parlamentari (fino a un massimo di due a deputato o a senatore); le centinaia di dipendenti e consulenti a vario titolo dei Gruppi parlamentari; i cosiddetti “rappresentanti di interesse” (solo alla Camera dei deputati in modo formalizzato e strutturato, mentre al Senato in via di fatto mediante il sistema degli ingressi giornalieri); infine, la tradizionale e storica presenza dei giornalisti parlamentari (in esito ad un controllo effettuato nel novembre del 2023 risultano iscritti all’Associazione stampa parlamentare 396 giornalisti).

Sullo sfondo resta la nota questione annosa della insufficiente formalizzazione, sotto il profilo normativo e gestionale, delle varie figure dei collaboratori, a diverso titolo, dei parlamentari e dei Gruppi[13].

Un notevole passo in avanti è stato compiuto con la deliberazione n. 184 del 4 ottobre 2022 – nell’ultima riunione della XVIII legislatura -, volta a risolvere l’annosa questione della gestione degli adempimenti amministrativi  riguardanti i collaboratori dei singoli parlamentari, che è stata affidata all’amministrazione della Camera, come già da tempo avviene ad esempio nel Parlamento europeo. Fermo restando che il rapporto di lavoro de quo, ha carattere fiduciario e intercorre esclusivamente e direttamente tra deputato e collaboratore, l’amministrazione della Camera provvede al pagamento del trattamento economico spettante al collaboratore, gestendo anche gli adempimenti fiscali e previdenziali connessi ai rapporti di lavoro in questione[14].

Tale incertezza si è riverberata in una difficoltosa actio finium regundorum ai fini di un riparto di competenza giurisdizionale fra gli organi di autodichia delle Camere e la stessa magistratura ordinaria.

Da una parte, le controversie tra Gruppi parlamentari e loro dipendenti – come specificato varie volte dalla Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione[15] – sono attribuite alla competenza del giudice civile. Parimenti ad analoga conclusione è pervenuta la Suprema Corte anche con riferimento ai collaboratori dei singoli parlamentari. In proposito va citato il famoso “caso Indirli”, che meriterebbe di non restare nell’oblio[16].

Dall’altra parte, circa i componenti degli uffici di diretta collaborazione dei titolari di cariche parlamentari (i c.d. “gabinettisti”), può rammentarsi una sentenza della Corte d’appello di Roma nel 2009[17], poi diventata definitiva, in cui il giudice ha denegato la propria competenza ritenendo invece che spettasse agli organi di autodichia delle Camere. A loro volta però, la Commissione contenziosa e il Consiglio di garanzia del Senato avevano affermato il proprio difetto di giurisidizione[18].

In tutta evidenza – nonostante il trascorrere degli anni e in conseguenza del moltiplicarsi delle diverse tipologie di “lavoratori” operanti nei luoghi parlamentari -, le problematiche aperte, in primis giuslavoristiche ma non solo, sono ancora molteplici.

Fra l’altro tali problematiche forse potrebbero aggravarsi nello svolgersi della XIX legislatura, laddove sono ancora imperscrutabili gli scenari anche organizzativi che si andranno a definire a causa della riduzione del numero dei parlamentari. In termini matematici si tratta della percentuale del 36,5% in meno di rappresentanza politica, nello specifico ciò si traduce in una riduzione del numero dei parlamentari e in una contrazione dei membri dei gruppi. E questo “velo di ignoranza” coinvolge anche gli eventuali effetti conseguenti alle modifiche relative alla legge elettorale e agli stessi regolamenti parlamentari, soprattutto in termini di efficacia nella capacità a gestire questo difficile momento di transizione nel funzionamento complessivo della rappresentanza parlamentare.


[1] L’evento si è svolto presso la sala Zuccari del Senato in data 5 luglio 2022 ed è stato trasmesso dalla web tv sul sito istituzionale del Senato stesso. scritta dell’intervento svolto al convegno sul tema: ”Attività politica e ruolo degli staff”, organizzato dall’AICP (

[2] V. poi. AA. VV., L’Amministrazione della Camera de deputati (atti della conferenza organizzata dal Presidente della Camera il 2-3 luglio 1985), Roma 1985. In precedenza v. anche gli atti del convegno organizzato dal sindacato unitario funzionari della Camera dei deputati il 5-6 giugno 1981 a Roma, in AA. VV., La burocrazia parlamentare. Funzioni garanzie e limiti, Roma 1983. Più di recente v. AA. VV., Il ruolo degli apparati serventi delle assemblee legislative tra tradizione e linee di sviluppo, atti del convegno organizzato dall’ARS a Palermo il 20 gennaio 2012, Napoli 2013.

[3] V. F. Bonini, Storia della Corte costituzionale, Roma 1996; volume che a quanto sembra tuttora rappresenta l’unico testo monografico sulla storia amministrativa della Corte costituzionale.

[4] Sulla nascita e lo sviluppo della stampa parlamentare si rinvia a M. Furno,  A duello con la politica, Soveria Mannelli 2008.Più in generale v. il volume collettaneo, AA.VV., L’informazione politica e il giornalismo parlamentare, Trento 1992.

[5] Su tale fenomeno riduttivo cfr. G. Giovannetti, La crisi del Parlamento nella sua percezione. Sequenze a confronto, in AA. VV., La crisi del Parlamento nelle regole della sua percezione a c. di G. Conti e di P. Milazzo, Pisa 2018, pp. 89 ss.  

[6] Su cui v. G. Pesante, Onorevole TV: la televisione parlamentare e i canali istituzionali nel mondo (ma non in Italia), Soveria Mannelli 2012.

[7] Sia consentito citare qualche nome di collaboratori particolarmente attivi in Senato: Baisi (DC), Simula (PCI), signora Della Santa (PSI). signora Crollalanza (MSI), Spicacci (PLI), Milanese (PSDI), signora Amato (Sinistra indipendente). Ovviamente ci si scusa se difetti nella memoria delle persone consultate impediscono di potersi ricordare di tutti.

[8] Si tratta della deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 21 ottobre 1986 e di quella del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica del 19 febbraio 1987, entrambe con decorrenza 1° gennaio 1987.

[9] In questa caso per l’esattezza si tratta della deliberazione n. 79 dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 7 dicembre 1993 (con l’elenco poi c.d “allegato A”) e di quella n. 58 del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica del 16 dicembre 1993. A ciò si aggiunga un’ulteriore aliquota di collaboratori dei Gruppi, inseriti in ulteriori elenchi, di cui alle delibere del (solo) Ufficio di Presidenza della Camera n. 299 del 2001, n. 294 del 2006 e 37 del 2008, nei cui riguardi pure sono state previste forme di incentivazione all’assunzione (elenchi facenti parte del c.d. “allegato B”. v. delibera n. 227 del 2012).

[10] Per quanto concerne il Senato v. la delibera n. 23 del Consiglio di Presidenza del 4/5 agosto 1994. A quanto sembra l’Ufficio di Presidenza della Camera aveva già deliberato in tal senso qualche tempo prima (v. in particolare le delibere del 19 aprile 1989 e del 18 gennaio 1990).

[11] Compresi non solo i presidenti delle Giunte, ma anche quelli degli organi giurisdizionali e delle delegazioni parlamentari internazionali.

[12] A parte questa prima forma di regolamentazione – che previlegia le questioni interne degli accessi e degli obblighi di trasparenza – vi è stato il tentativo di introdurre per via legislativa una disciplina più compiuta, mediante l’approvazione di un progetto di legge sempre da parte della Camera dei deputati (v. seduta del 12 gennaio 2022), che poi però non ha avuto seguito in Senato (v. XVIII Leg., ddl n. 2495). 

[13] L’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati – nella riunione del 5 ottobre 2022 (l’ultima della XVIII legislatura) – ha adottato una deliberazione volto a risolvere l’annosa questione della gestione degli adempimenti amministrativi riguardanti i collaboratori dei singoli parlamentari, che è stata affidata all’amministrazione della Camera, come già da tempo avviene ad esempio nel Parlamento europeo.

Tuttavia

[14] Tuttavia, la disciplina è stata resa molto più flessibile, quanto alle tipologie contrattuali utilizzabili nei rapporti tra deputati e collaboratori, dallo stesso Ufficio di Presidenza della Camera nella seduta del 22 febbraio 2023 (v. Atti Camera, XIX legislatura, Bollettino degli organi collegiali, n. 5, febbraio 2023)

[15]  A partire dalla ordinanza 19 febbraio 2004, n. 3335 delle SS.UU.CC della Corte di Cassazione, la quale – distinguendo tra attività` “squisitamente parlamentari di un Gruppo” e non parlamentari – ha dichiarato che “non possono ritenersi incluse nell’ambito dell’autodichia tutte quelle attività che, fuoriuscendo dal campo applicativo del diritto parlamentare, non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari”, per cui appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie legate all’attività dei Gruppi parlamentari iure privatorum (nel caso di specie, contratti di consulenza con professionisti). V. poi ex pluribus Cass., SS.UU.CC, ordinanze n. 27863 del 2008 relativamente ad un Gruppo della Camera e n. 27396 del 2014 riguardo ad un Gruppo del Senato.

[16] Al riguardo, la Corte di Cassazione (SS.UU.CC., 26 maggio 1998, n. 5234) ha dichiarato che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario l’impugnativa del licenziamento intimato da un deputato al suo assistente personale, esulando pertanto dall’autodichia della Camera, in quanto il rapporto di lavoro è instaurato direttamente dal parlamentare in nome e per conto proprio, secondo gli schemi contrattuali di cui all’art. 2222 c.c. (di diverso avviso era stato il Pretore di Roma, 6 novembre 1993). Piero Indirli riprese quindi la sua battaglia in sede civile, venendo a mancare ultranovantenne, ma senza che il suo caso – di rinvio in rinvio – avesse ottenuto nel merito almeno una pronuncia di primo grado.

[17] Si tratta della sentenza della Corte di appello di Roma n. 1548 del 2008, depositata il 2 gennaio 2009. La Corte di Cassazione ha poi dichiarato inammissibile il relativo ricorso di legittimità per motivi formali (v. ordinanza n. 7188 del 30 marzo 2011).  

[18] Presso il Senato della Repubblica la decisione della Commissione contenziosa n. 465 del 12 settembre 2012 e la pronuncia del Consiglio di Garanzia n. 180 del 15 aprile 2014 hanno entrambe dichiarato inammissibile il ricorso, affermando il difetto di giurisdizione degli organi di autodichia e la conseguente sussistenza della giurisdizione ordinaria. Pertanto allo stato appare profilarsi una sorta di conflitto negativo di giurisdizione, ancorché in assenza di una pronuncia sul punto delle sezioni unite della Corte di Cassazione.

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