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La modifica del rapporto di lavoro part-time negli enti locali, dall’incremento dell’orario al regime di tempo pieno: ammissibilità e limiti

del Dott. Pasquale Iorio, Abilitato all’esercizio della professione di Avvocato, Perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Responsabile del procedimento di Ente Locale.  

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Sommario: 1. Premessa. – 2. Il lavoro part-time negli enti locali, quadro normativo. – 3. Il diritto alla trasformazione del rapporto a tempo pieno. – 4. Ius receptum consolidatosi nelle procedure di trasformazione dei contratti a tempo parziale. – 5. L’istruttoria finalizzata alla trasformazione del contratto di lavoro. – 6. Conclusioni.

1.  Premessa

Gli Enti Locali, a fronte dei tantissimi pensionamenti degli ultimi anni, stanno registrando fortissime carenze[1]di organico che costituiscono dati allarmanti in ordine all’infungibilità di alcuni servizi e all’ efficienza ed efficacia della macchina amministrativa, anche in considerazione delle particolarità di territori morfologicamente differenziati.

Le Amministrazioni, per dare immediata risposta al problema, in relazione alle proprie capacità assunzionali, sono solite far ricorso a delle assunzioni di personale part-time che, purtroppo, oltre a non costituire una adeguata soluzione alla cronica carenza di personale rispetto ai parametri normativi[2], fanno emergere disfunzioni nella erogazione dei servizi.

Cosa succede dopo qualche anno? I dipendenti assunti a tempo parziale da un lato e le amministrazioni comunali dall’altro rimettono in moto l’apparato burocratico al fine di comprendere se la trasformazione del rapporto di lavoro (da part-time a full-time, o soltanto il mero aumento della percentauale oraria) sia compatibile con la normativa sulla spesa di personale su cui poggia la struttura della programmazione triennale del fabbisogno di personale[3] – oggi confluita nel P.I.A.O.[4], il Piano Integrato di Attività e Organizzazione della Pubblica Amministrazione, che le amministrazioni con più di cinquanta dipendenti sono tenute ad adottare entro il 31 gennaio di ogni anno. 

Stando al consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, l’incremento dell’orario di lavoro del personale assunto a tempo parziale è ammissibile purché sia tale da non determinare una trasformazione a tempo pieno e venga attuato nel rispetto di limiti e vincoli normativi relativi alla spesa del personale.

La grande attualità del tema stimola un rinnovato approfondimento della fattispecie. Operato un norm checking delle disposizioni applicabili, ampio spazio sarà dedicato allo ius receptum consolidatosi nelle procedure di trasformazione dei contratti part-time. L’obiettivo precipuo del presente contributo è quello di far luce sui margini di manovra degli enti locali e sulla corretta istruttoria finalizzata alla modificazione del contratto di lavoro.

2.  Il lavoro part-time negli enti locali, quadro normativo

Il contratto a tempo parziale inquadra, sostanzialmente, un rapporto di lavoro di natura subordinata in cui lo svolgimento delle attività viene effettuato per un orario prestabilito inferiore rispetto a quello normale, a tempo pieno, di trentasei ore settimanali.

A tenore dell’art. 92, comma 1, del D.Lgs. n. 267/2000 «gli enti locali possono costituire rapporti di lavoro a tempo parziale […], nel rispetto della disciplina vigente in materia. I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purchè autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa[5] presso altri enti». 

In caso di assunzione di personale a tempo parziale, il datore di lavoro è poi tenuto a darne tempestiva informazione al personale dipendente con rapporto a tempo pieno (anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell’Ente) e a prendere in considerazione le  domande di trasformazione a tempo parziale dei rapporti dei dipendenti a tempo pieno. Questa specifica previsione è contenuta nell’art. 8, comma 8, del D.Lgs. n. 81/2015. 

I  rapporti  di  lavoro[6]  dei  dipendenti  degli Enti Locali sono disciplinati, come stabilito dall’art. 2, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001, «dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a  categorie di essi, possono essere derogate nelle materie affidate alla contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi collettivi nazionali e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili». 

La normativa di dettaglio è poi affidata al D.Lgs. n. 81/2015[7] e al CCNL relativo al personale del comparto funzioni locali. Il menzionato D.Lgs., all’art. 7, tiene a chiarire che «il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di  pari inquadramento. […] ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in  caso  di  malattia  ed  infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro». 

Con riguardo al CCNL comparto funzioni locali sottoscritto il 16.11.2022, il primo riferimento si coglie all’art. 24, comma 4, secondo cui «l’assunzione può avvenire con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale[…]». 

È poi il CCNL del 21.05.2018 a disciplinare in maniera dettagliata la fattispecie. A rigore dell’art. 53, rubricato proprio «rapporto di lavoro a tempo parziale», gli enti possono costituire rapporti di lavoro a tempo parziale mediante specifiche assunzioni[8] o attraverso la trasformazione di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, su richiesta[9] dei dipendenti interessati. Il numero dei rapporti a tempo parziale non può superare il 25 per cento della dotazione organica complessiva di ciascuna categoria, rilevata al 31 dicembre di ogni anno. Il successivo art. 54 disciplina l’orario di lavoro del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale, le cui prestazioni non possono essere inferiori al 30% di quelle a tempo pieno. 

In relazione alla collocazione temporale della prestazione, il lavoro parttime può essere orizzontale (con orario giornaliero in misura ridotta rispetto al tempo pieno e con una articolazione che copre l’intera l’intera settimana lavorativa), verticale (con prestazione svolta a tempo pieno, ma liminatamente ad alcuni giorni della settimana, così da rispettare la percentuale di tempo parziale) o misto (che opera una combinazione delle due precedenti modalità). 

Il tipo di articolazione della prestazione e la sua distribuzione sono concordati con il dipendente. Ovviamente al «al personale con rapporto a tempo parziale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di legge e contrattuali dettate per il rapporto a tempo pieno, tenendo conto della

ricezione della domanda, concede la trasformazione del rapporto, nel rispetto delle forme e delle modalità di cui al comma 11 oppure nega la stessa qualora: a) si determini il superamento del contingente massimo previsto dal comma 2; b) l’attività di lavoro autonomo o subordinato, che il lavoratore intende svolgere, comporti una situazione di conflitto di interesse con la specifica attività di servizio svolta dallo stesso ovvero sussista comunque una situazione di incompatibilità; c) in relazione alle mansioni ed alla posizione di lavoro ricoperta dal dipendente, si determini un pregiudizio alla funzionalità dell’ente»; (comma 6) «L’utilizzazione dei risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti da tempo pieno a tempo parziale avviene nel rispetto delle previsioni dell’art.1, comma 59, della legge n. 662/1996, come modificato dall’art. 73 del D.L. n. 112/2008»; (comma; (comma 8) «In presenza di gravi e documentate situazioni familiari, preventivamente individuate dagli enti in sede di contrattazione integrativa e tenendo conto delle esigenze organizzative, è possibile elevare il contingente di cui al comma 2 fino ad un ulteriore 10 %. In tali casi, in deroga alle procedure di cui al comma 4, le domande sono comunque presentate senza limiti temporali»; (comma 9) «Qualora il numero delle richieste ecceda il contingente fissato ai sensi dei commi 2 e 8, viene data la precedenza ai seguenti casi: a) dipendenti che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 8, commi 4 e 5, del D.Lgs. n. 81/2015; b) dipendenti portatori di handicap o in particolari condizioni psicofisiche; c) dipendenti che rientrano dal congedo di maternità o paternità; d) documentata necessità di sottoporsi a cure mediche incompatibili con la prestazione a tempo pieno; e) necessità di assistere i genitori, il coniuge o il convivente, i figli e gli altri familiari conviventi senza possibilità alternativa di assistenza, che accedano a programmi terapeutici e/o di riabilitazione per tossicodipendenti; f) genitori con figli minori, in relazione al loro numero; g) i lavoratori con rapporto di lavoro a tempo parziale stabilizzati ai sensi delle vigenti disposizioni di legge»; (comma 10) «I dipendenti hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale nelle ipotesi previste dall’art. 8, commi 3 e 7, del D. Lgs. n. 81/2015. Nelle suddette ipotesi, le domande sono presentate senza limiti temporali, l’ente dà luogo alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo parziale entro il termine di 15 giorni e le trasformazioni effettuate a tale titolo non sono considerate ai fini del raggiungimento del contingente fissato ai sensi dei commi 2 e 8»; (comma 12) «La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene mediante accordo tra le parti risultante da atto scritto, in cui vengono indicati i medesimi elementi di cui al comma 11. In tale accordo, le parti possono eventualmente concordare anche un termine di durata per il rapporto di lavoro a tempo parziale che si va a costituire»; (comma 13) «I dipendenti che hanno ottenuto la trasformazione del proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero, oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico. Tale disciplina non trova applicazione nelle ipotesi previste dal comma 10, che restano regolate dalla relativa disciplina legislativa».

ridotta durata della prestazione e della peculiarità del suo svolgimento», come previsto dall’art. 62, comma 1, del nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto funzioni locali sottoscritto il 16 novembre 2022. 

Cosa succede quando al personale part-time viene richiesta, entro il normale orario di lavoro di 36 ore, l’effettuazione di prestazioni supplementari, intendendosi per queste ultime quelle svolte oltre l’orario concordato tra le parti, ma nei limiti dell’orario ordinario[10] di lavoro?  Va premesso che il ricorso ad ulteriori ore[11] di lavoro è ammesso nella sola ipotesi di specifiche e comprovate esigenze organizzative, oppure in presenza di particolari situazioni di difficoltà organizzative derivanti da concomitanti assenze di personale non prevedibili ed improvvise[12]. Questa facoltà è contemplata nel secondo comma del citato art. 62 e la misura massima della percentuale di lavoro supplementare è pari al 25% della durata dell’orario di lavoro a tempo parziale concordata ed è calcolata con riferimento all’orario mensile. Nel caso di articolazione oraria di tipo verticale, con prestazione dell’attività lavorativa in alcuni mesi dell’anno, la misura del 25% è calcolata in relazione al numero delle ore annualmente concordate. 

Il comma 7 prevede, poi, che «nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, verticale e misto è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario intendendosi per tali le prestazioni aggiuntive del dipendente ulteriori rispetto all’orario concordato tra le parti e che superino anche la durata dell’orario normale di lavoro […]». 

Le ore di lavoro supplementare vengono retribuite con un compenso pari alla retribuzione oraria globale di fatto, maggiorata di una percentuale pari al 15%, con oneri a carico delle risorse destinate ai compensi per lavoro straordinario. Qualora le ore di lavoro supplementari siano eccedenti rispetto a quelle fissate come limite massimo dal comma 2, ma rientrino comunque entro l’orario ordinario di lavoro, la percentuale di maggiorazione è elevata al 25%. 

Al lavoratore è riconosciuta la facoltà di rifiutare lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare per comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale[13]

Con riguardo alle ferie[14], i dipendenti a tempo parziale orizzontale hanno diritto ad un numero di pari a quello dei lavoratori a tempo pieno, eccezion fatta per i lavoratori con un part-time verticale o misto che hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno. Analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia, ad eccezione dei permessi ex art. 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/1992 i quali si riproporzionano solo qualora l’orario teorico mensile sia pari o inferiore al 50% di quello del personale a tempo pieno. In presenza di rapporto a tempo parziale verticale o misto, è comunque riconosciuto per intero il periodo di congedo di maternità e paternità previsto dal D. Lgs. n. 151/2001, anche per la parte cadente in periodo non lavorativo. 

Il permesso per matrimonio[15], il congedo parentale[16], i riposi giornalieriper maternità[17] ed i permessi per lutto[18] spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi, fermo restando che il relativo trattamento economico è commisurato alla durata prevista per la prestazione giornaliera. 

In presenza di rapporto a tempo parziale verticale non si riducono i termini previsti per il periodo di prova e per il preavviso che vanno calcolati con riferimento ai periodi effettivamente lavorati. 

Il comma 10 del cennato art. 62 stabilisce, altresì, che «il trattamento economico del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è proporzionale alla prestazione lavorativa, con riferimento a tutte le competenze fisse e periodiche spettanti al personale con rapporto a tempo pieno appartenente alla stessa area o categoria e profilo professionale».  I trattamenti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti, nonché altri istituti non collegati alla durata della prestazione lavorativa, invece, a mente del successivo comma 11, «sono applicati ai dipendenti a tempo parziale anche in misura non frazionata o non direttamente proporzionale al regime orario adottato, secondo la disciplina prevista dai contratti integrativi». 

3.  Il diritto alla trasformazione del rapporto a tempo pieno

Preliminarmente s’impone, ai  fini del corretto inquadramento della fattispecie, una puntuale ricostruzione del quadro normativo di riferimento che vede il suo principale riferimento nell’art. 3, comma 101, della Legge n. 244/2007 secondo cui «per il personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale la trasformazione del rapporto a tempo pieno può avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. In caso di assunzione di personale a tempo pieno è data precedenza alla trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti assunti a tempo parziale che ne abbiano fatto richiesta». Sull’interpretazione della disciplina che qui viene in rilievo sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[19] affermando che «il diritto di precedenza alla trasformazione del rapporto da part-time a fulltime, non è stato configurato dal legislatore come un diritto assoluto, in quanto si è stabilito che esso “può” essere fatto valere dagli interessati se ricorrono entrambi i suddetti presupposti: a) sia stata avviata dalla P.A. una procedura di assunzione di personale a tempo pieno; b) la trasformazione avvenga nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. Ciò significa che il diritto soggettivo alla precedenza della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno non nasce automaticamente per il fatto che l’Amministrazione di appartenenza ha avviato una qualunque procedura di assunzione di personale a tempo pieno e l’interessato ha presentato la prevista domanda, ma nasce solo se ricorrono i suddetti presupposti». Alla luce di quanto detto in quale momento si delinea, in capo al dipendente, il diritto di avanzare istanza finalizzata alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro?

Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto funzioni locali – sottoscritto il 21 maggio 2018 – prevede, all’art. 53, comma 14, che «i dipendenti assunti con rapporto di lavoro a tempo parziale hanno diritto di chiedere la trasformazione del rapporto a tempo pieno decorso un triennio dalla data di assunzione, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico e nel rispetto dei vincoli di legge in materia di assunzioni».

Non è necessario, però, attendere un periodo così lungo: con salvezza del rispetto della normativa in materia e dei suoi riflessi contabili, l’Ente può procedere alla trasformazione di un rapporto di lavoro part-time anche prima dei tre anni dalla data di assunzione.

Sul punto l’A.R.A.N., Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, ha precisato che, «se il dipendente ha il diritto di chiedere la trasformazione del rapporto solo dopo un triennio dalla data di assunzione, nulla vieta all’Ente che abbia la disponibilità del posto in organico e che ritenga tale scelta rispondente alle sue esigenze organizzative e di servizio […]: di proporre al dipendente una trasformazione anticipata del rapporto; di accogliere analoga richiesta da questi formulata; il fatto che sia anticipata rispetto ai tre anni comporta solo che il dipendente non può pretendere la trasformazione, ma non vieta all’Ente di accoglierla se lo ritiene funzionale alle sue esigenze. Non è invece possibile trasformare il rapporto con decisione unilaterale dell’Ente: è sempre necessario l’accordo delle parti»[20];

Mette conto evidenziare, altresì, che i due presupposti dell’art. 3, comma 101, della Legge n. 244/2007, tesi a condizionare il nascere – a domanda dell’interessato – del diritto di precedenza alla trasformazione del rapporto da part-time a full-time devono essere letti non solo come coesistenti, ma anche in armonia con la disciplina complessiva della materia. 

Come argomentato dalle Sezioni Unite della Cassazione, orientamento richiamato anche in recentissime pronunce della sezione lavoro[21], «a) l’ente pubblico datore di lavoro può prendere la decisione di avviare una procedura di assunzione di personale a tempo pieno […] soltanto dopo aver individuato nelle proprie dotazioni organiche […] vacanze relative alle categorie e ai profili propri di quei lavoratori part-time la cui eventuale trasformazione in rapporto a tempo pieno è compatibile […] con il principio del contenimento delle spese di personale […] nonché con la direttiva di non creare posizioni soprannumerarie; b) se l’ente datore di lavoro decide di avviare una simile procedura di assunzione di personale a tempo pieno – nel rispetto degli indicati presupposti – deve dare congrua comunicazione di tale iniziativa ai lavoratori part-time potenzialmente interessati e quindi prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale degli stessi; c) in particolare il datore di lavoro pubblico deve esercitare il suddetto potere – che condiziona il nascere del diritto di precedenza alla trasformazione in argomento – in modo non arbitrario, trattandosi di un potere necessariamente ancorato alla presenza oggettiva di esigenze di funzionalità dell’Amministrazione oltreché condizionato dal rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede ex art. 97[22] Cost. […]; d) di conseguenza l’ente, nel rispetto dei suddetti canoni, ha l’onere di fornire adeguata risposta alle istanze presentate dai lavoratori part-time, anche se, in ipotesi, negativa; e) d’altra parte, perché l’esercizio del diritto di cui si discute non dia luogo ad abusi, come regola generale, è necessario che la procedura assunzionale si riferisca all’espletamento di mansioni uguali oppure equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale, sia per ragioni organizzative sia perché questo speciale diritto non deve tradursi in un irragionevole privilegio esercitabile anche per procedure di assunzione relative a posizioni lavorative a tempo pieno non comparabili con quelle svolte dal lavoratore part-time, intendendosi per tali quelle che comportano un inquadramento nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di lavoro, differenziandosene solo per l’orario di lavoro […]; f) in altri termini, non si deve trattare dell’avvio di una qualunque procedura di assunzione, ma di una procedura di assunzione alla quale, in astratto, il dipendente che chiede la trasformazione abbia i requisiti per partecipare, anche con riferimento alla categoria e al profilo professionale posseduto rispetto a quelli contemplati nella procedura di assunzione […]»[23].

Il diritto soggettivo al transito dal regime di tempo parziale a quello pieno nasce, dunque, solo in caso di manzioni equiparabili.

Resta inteso che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto full-time non costituisce giustificato motivo di licenziamento: lo stabilisce l’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015.

I giudici di Piazza Cavour, in argomento, hanno sottolineato che «[…] la norma è chiara nel senso che la opposizione del lavoratore ad una […] trasformazione non può costituire in sè stessa ragione del suo licenziamento, salva la esistenza di altre ragioni obiettive. Detto divieto vale tanto per il licenziamento per giusta causa che per il licenziamento per giustificato motivo, in quanto il testuale riferimento della norma al “giustificato motivo di licenziamento” deve interpretarsi nel senso di

“valido motivo”, in conformità alla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro. Ciò consente immediatamente di escludere che il datore di lavoro pubblica amministrazione possa adottare la sanzione del licenziamento disciplinare […], per effetto del rifiuto del lavoratore ad ottemperare ad una disposizione unilaterale di modifica del regime dell’orario di lavoro da part time a tempo pieno, pur a voler solo ipotizzare la esistenza di una norma che attribuisca all’amministrazione una simile potestà […]»[24]. Diverso è il discorso per quanto rigarda la fattispecie contemplata al comma 13 dell’art. 53 del C.C.N.L. funzioni locali del 21 maggio 2018. In questo caso «i dipendenti che hanno ottenuto la trasformazione del proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero, oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico. Tale disciplina non trova applicazione nelle ipotesi previste dal comma 10, che restano regolate dalla relativa disciplina legislativa».

4.           Ius receptum consolidatosi nelle procedure di trasformazione dei contratti a tempo parziale

Al fine di avere cognizione degli effetti pratici delle norme concernenti la possibilità di modifica dei contratti part-time, anche laddove l’elemento novativo del rapporto afferisce al solo incremento dell’orario di lavoro, pare opportuno procedere ad un approfondimento della giurisprudenza contabile che si è consolidata in materia.

Diverse sezioni regionale del controllo della Corte dei Conti sono pervenute a stabili esiti ravvisando che «[…] il semplice incremento orario (fino a 32 ore) che non comporti una trasformazione in un contratto a tempo pieno, non rientra nella previsione dell’art. 3, comma 101, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e, quindi, non va computato quale nuova assunzione. Resta peraltro fermo che la facoltà di incremento di ore lavorative può essere esercitata solo nel rispetto di tutti i vincoli di spesa che il legislatore detta per l’amministrazione, previa intesa con il proprio dipendente[…]»[25].

In altri termini va considerata quale nuova assunzione la sola trasformazione del contratto da tempo parziale a full time la quale «[…] deve avvenire “nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in tema di assunzione”. Esula, viceversa, dall’ambito di applicazione della citata disposizione normativa, e dunque non può essere considerata una nuova assunzione, l’incremento orario di un contratto di part-time, purché non si determini una trasformazione del contratto a tempo pieno e purché l’incremento avvenga nel rispetto dei limiti e dei vincoli stabiliti in tema di contenimento della spesa di personale […]. L’operazione […] ammissibile purché l’incremento delle ore di part-time sia tale da non determinare una trasformazione del contratto in tempo pieno […] e purché siano rispettati i limiti e i vincoli di cui alla normativa richiamata […] La verifica circa il rispetto dei predetti limiti e vincoli è rimessa all’ente che dovrà compierla prima di porre in essere la predeta modifica […]»[26].

Unicamente la modifica del rapporto lavorativo «[…] costituito originariamente a tempo parziale in un rapporto a tempo pieno (36 ore settimanali) deve considerarsi una nuova assunzione. Infatti, l’art. 3, comma 101, della L. n. 244/2007 stabilisce che per il personale assunto con contratto di lavoro a tempo parziale la trasformazione del rapporto a tempo pieno può avvenire solo nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni […] non è consentita l’elusione della normativa vincolistica in materia di turn over quale potrebbe apparire l’incremento orario fino a 35 ore settimanali della prestazione lavorativa di un dipendente assunto a tempo parziale […]»[27].  «[…] L’elevazione dell’impegno orario a 35 ore […] contrasterebbe pertanto, in modo evidente, con il vincolo fissato dalla normativa vigente, con conseguente elusione dei divieti vigenti in materia di contenimento della spesa di personale […]»[28][29].

Risulta, poi, «[…] evidente come detta disposizione di legge riconducesse la trasformazione, a tempo pieno, di un rapporto di lavoro, originariamente sorto come a tempo parziale, nell’alveo della totale ed assorbente novazione oggettiva del rapporto stesso, sì da considerarla, in quanto nuova assunzione, espressamente astretta ai limiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di assunzioni […]»[30].

«[…] In tema di trasformazione del rapporto di lavoro part-time, si è evidenziata la differenza dell’ipotesi di ripristino del rapporto di lavoro nel suo status originario, a tempo pieno, da quella di conservazione dello status di part-time, con un semplice incremento delle ore lavorative. […] in quest’ultimo caso, non essendo configurabile un diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro – come espressamente riconosciuto, invece, nell’ipotesi di ritorno a tempo pieno […] – l’incremento del monte ore richiesto dal dipendente dovrà avvenire nel rispetto di tutti i vincoli di contenimento della spesa per il personale che il legislatore detta per l’amministrazione. Con riferimento, invece, alla possibilità di considerare tale maggiorazione della percentuale di part–time come nuova assunzione, […] costituisce […] consolidato orientamento della giurisprudenza consultiva della Corte dei conti […] ritenere che il semplice incremento orario (che non comporti la trasformazione di un contratto da part-time a tempo pieno) di un dipendente originariamente assunto con contratto a tempo pieno, non vada computato come nuova assunzione […]»[31]. «[…] Non potendo essere considerato una nuova assunzione il mero  incremento orario, purchè non determini una trasformazione del contratto a tempo pieno, appare plausibile la […] limitazione del disposto di cui all’art. 3 comma 101 della Legge n. 244/2007 al solo caso, specificamente previsto dalla norma, della traformazione del rapporta da lavoro parziale a tempo pieno. Posta suddetta regola generale, devono comunque farsi salvi i casi di fattispecie potenzialmente elusive della lettera e dello spirito della legge finanziaria per il 2008 in materia di limiti alle assunzioni […]»[32]. Per quanto detto si «[…] reputa, in via ri principio, che per realizzare il prospettato aumento dell’orario lavorativo, sia necessario il rispetto dei limiti generali in materia di spesa per il personale (che si traducono in divieti assunzionali a qualsiasi titolo quando l’ente non rispetta il patto di stabilità interno e quando non è in linea con l’obbligo di ridurre la spesa per il personale. […] La verifica circa il rispetto dei predetti limiti e vincoli è rimessa all’ente che dovrà compierla prima di porre in essere la prospettata modifica al contratto part-time […]»[33].

«[…] Se l’aumento delle ore lavorative non determina la del rapporto da part time a tempo pieno, non troveranno applicazione i limiti assunzionali previsti per tale trasformazione. Resta, tuttavia, fermo il limite complessivo di spesa di personale che rappresenta l’obiettivo cogente di finanza pubblica, che non potrà essere superato. Ciò in quanto, come detto, la spesa per il personale part time è comunque contabilizzata nel più ampio aggregato di “spesa di personale” e partecipa del limite di spesa complessiva fissata dal legislatore[…]»[34].

«[…] Quanto al quesito specifico – fino a quale percentuale di incremento orario si può arrivare senza incorrere nel “rischio” di configurare una nuova assunzione – allo stato della normativa vigente e in assenza di previsione normativa, resta affidato alla discrezionalità dell’ente, e conseguentemente alla sua responsabilità, non porre in essere fattispecie potenzialmente elusive della lettera e dello spirito della norma, sia mediante fattispecie “quantitativamente” contenute per numero di ore (numero minimo) e numero di dipendenti coinvolti e, necessariamente, in considerazione sia della pianta organica e delle relative scoperture sia soprattutto in considerazione delle ripercussioni e dei disagi che tale mancato incremento potrebbe provocare all’Ente e alla collettività locale di riferimento, i cui bisogni devono sempre costituire obiettivo primario dell’Ente[…]»[35].

«[…] Alla luce di quanto indicato, anche quando l’aumento delle ore lavorative relative ad un rapporto a tempo parziale non determina la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale in un rapporto di lavoro a tempo pieno, fattispecie assimilata dal legislatore ad una nuova assunzione, considerato che la spesa per il personale part time rientra nel più ampio aggregato della spesa del personale, il mero incremento orario risulta ammissibile a condizione che sia rispettata la disciplina in tema di spesa per il personale e, in particolare, gli obblighi di contenimento della stessa. L’aumento dell’orario lavorativo di un contratto a tempo parziale è, quindi, consentito solo se il conseguente aumento della spesa trovi capienza nei limiti generali previsti per la spesa del personale […]»[36]

«[…] È orientamento consolidato che la norma non trova applicazione nel caso di un rapporto originariamente stipulato a tempo pieno e, successivamente, trasformato a tempo parziale nonché, dopo iniziali incertezze interpretative, nell’ipotesi di incrementi di orario tali da non raggiungere il limite del tempo pieno […]»[37].

Spetta quindi alle amministrazioni, alla luce delle norme e dei principi enunciati, la valutazione della compatibilità dell’eventuale incremento delle ore lavorative del dipendente part-time con i limiti assunzionali previsti dalla normativa vigente.

5.           L’istruttoria finalizzata alla trasformazione del contratto di lavoro

In caso di transito dal regime orario parziale a quello full time è necessario stipulare un nuovo contratto di lavoro? Con quali atti l’Ente attua tali modificazioni? 

Sono questi gli interrogativi che, spesso, i funzionari delle amministrazioni interessate si pongono all’atto della predisposizione dell’istruttoria d’interesse.

In limine va da subito chiarito che, a mente dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 «i rapporti individuali di lavoro […] sono regolati contrattualmente». Appare, quindi, evidenteche la fonte di disciplina del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione risiede unicamente nel contratto[38].

Del resto anche il C.C.N.L. relativo al personale del comparto funzioni locali del 16.11.2022, all’art. 24, comma 1, prevede che «il rapporto di lavoro […] è costituito e regolato da contratti individuali e dal presente contratto collettivo, nel rispetto delle disposizioni di legge e della normativa comunitaria […]». Non solo. L’art. 53, comma 11, del C.C.N.L. sottoscritto il 21 maggio 2018 stabilisce che la costituzione del rapporto a tempo parziale avvenga con contratto stipulato in forma scritta e con l’indicazione della data di inizio del rapporto di lavoro, della durata della prestazione lavorativa, nonché della collocazione temporale dell’orario e del relativo trattamento economico. 

In argomento è dirimente il richiamo all’art. 1321 del codice civile[39], a rigore del quale «il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale».

Il transito dal regime part-time a quello a tempo pieno o, più semplicemente, l’incremento dell’orario settimanale, altro non è che una diversa regolazione del contratto originario[40] la cui modifica deve avvenire, necessariamente, con stipula di un nuovo contratto di lavoro finalizzato a regolare, in modo diverso, il tempo della prestazione.  

A chiarire tale assunto è, poi, il comma 12 del citato art. 53 secondo cui

«la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene mediante accordo tra le parti risultante da atto scritto, in cui vengono indicati i medesimi elementi di cui al comma 11. […]».

Quindi il contratto non solo costituisce il rapporto di lavoro, ma è teso anche alla sua regolazione.

Questa scelta assunzionale trova il suo indispensabile presupposto nella programmazione triennale del fabbisogno di personale[41] – oggi confluita nel P.I.A.O.[42], il Piano Integrato di Attività e Organizzazione della Pubblica Amministrazione, che le amministrazioni con più di cinquanta dipendenti sono tenute ad adottare entro il 31 gennaio di ogni anno –  e deve essere attuata in coerenza con quanto nello stesso stabilito, anche in riferimento alla copertura finanziaria. 

Tale programmazione costituisce l’unico atto che, nell’ambito dell’iter finalizzato alla trasformazione del contratto di lavoro, spetta alla parte politica, come stabilito dall’art. 4 del D.Lgs. 165/2001: «gli  organi  di  governo  esercitano  le  funzioni di indirizzo politico-amministrativo,  definendo  gli  obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la  rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: […] c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale […]».

È il successivo comma 2 del citato articolo a stabire che «ai  dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso  l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa  di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via  esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati».

In tale contesto sono illuminanti le previsioni dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 «nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi […], le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro […]».

L’art.107 del D.Lgs. n. 267/2000, nel definire funzioni e responsabiltà della dirigenza tra cui i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai  medesimi organi, al comma 3, lettera c), prevede proprio la stipulazione dei contratti. Dal punto di vista operativo, avuto riguardo per l’epressa previsione dell’incremento delle ore al personale part-time (o la completa trasformazione del contratto a tempo pieno) nella programmazione triennale del fabbisogno di personale, l’attuazione di tale trasformazione è prerogativa del dirigente dell’area risorse umane. Quest’ultimo, con proprio atto determinativo, approverà il nuovo schema di contratto di lavoro e, successivamente, procederà alla stipula con il lavoratore.

La citata determinazione è immediatamente efficace[43] dalla data della sua adozione, cui seguirà la pubblicazione all’albo pretorio on line dell’ente locale ai sensi dell’art. 15, comma 6-bis, del D.P.R. n. 487/1994. Ai sensi del comma 6 del citato D.P.R. «dalla data di pubblicazione […] decorre il termine per le eventuali impugnative». 

6.  Conclusioni

L’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa è legata in gran parte all’utilizzo del personale e all’assetto organizzativo e gestionale dell’Ente il quale deve, necessariamente, orientarsi alla ottimizzazione e valorizzazione delle risorse umane disponibili per il raggiungimento degli obiettivi che l’amministrazione intende realizzare.  Per tale motivo il processo di attuazione dei programmi è strettamente connesso alla disponibilità oraria del personale dipendente, fermo restando il rispetto dei limiti consentiti dalla normativa e la disponibilità finanziaria prevista in bilancio.

Alla luce di quanto detto, gli Enti Locali sono chiamati a valutare ogni possibilità normativa al fine  di predisporre gli atti necessari per la trasformazione full-time dei contratti a tempo parziale o, in alternativa, finalizzati all’incremento dell’orario fino al massimo di 30 ore settimanali, tenuto conto che l’innalzamento della soglia oraria del personale è ammissibile quando non determina una trasformazione in un contratto a tempo pieno – che, ai sensi della normativa vigente, costituisce nuova assunzione – e purché siano rispettati i vincoli di legge, soprattutto con riferimento al limite massimo per la spesa del personale.

Sebbene alcune amministrazioni, in luogo degli incrementi orari, optino al ricorso ad ulteriori contratti a tempo determinato va da subito evidenziato che tale scelta politica genera, nel medio-lungo termine, vigorose inefficienze nei servizi erogati dall’ente.

Appare ultroneo sottolineare che tale, apparente, soluzione costituirà solo una boccata di ossigeno alla cronica carenza di personale cui gli Enti locali sono esposti proprio perché, dopo qualche anno, riaffiorerà la necessità di comprendere se la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full-time – o il solo aumento delle ore – sia compatibile con la normativa sulla spesa di personale. 

Del resto, a norma dell’art. 24, comma 1, del CCNL funzioni locali del 16.11.2022 il solo «[…] rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno costituisce la forma ordinaria di rapporto di lavoro per tutte le amministrazioni del comparto».

È per questo motivo che una seria e puntuale programmazione triennale del fabbisogno di personale, oggi parte integrante del P.I.A.O. per le amministrazioni con più di cinquanta dipendenti, gioca un ruolo determinante negli Enti Locali. 

Come ampiamente analizzato nelle pagine che precedono i margini di manovra degli enti locali appaiono ampi: lo ius receptum relativo alla trasformazione dei contratti part-time fa registrare un favor per l’ammissibilità dell’incremento dell’orario di lavoro del personale assunto a tempo parziale a condizione che sia tale da non determinare una trasformazione a tempo pieno e venga attuato nel rispetto dei limiti e dei vincoli normativi. Va ribadito, infine, che l’incremento orario è potenzialmente consentito fino ad un massimo di 32 ore settimanali e va esclusa ogni altra ipotesi configurabile come una evidente elusione della normativa vincolistica, quale potrebbe apparire un incremento orario fino a 35 ore della prestazione lavorativa di un dipendente assunto a tempo parziale.


[1] Tali carenze, sovente, sono ascrivibili ai numerosi collocamenti a riposo registrati negli utlimi anni e alle difficoltà assunzionali degli Enti, sia di natura formale (in ragione dei vincoli sulle assunzioni di personale introdotti dal legislatore), che di natura economica (legate dello stato di finanziario dell’Amministrazione).

[2] A mero titolo di esempio si riporta la previsione del Decreto del Ministero dell’Interno 18 novembre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 297 de 30.11.2022, recante «Rapporti medi dipendenti-popolazione validi per gli enti in condizioni di dissesto per il triennio 2020-2022». A tenore dell’art. 1, per il triennio di riferimento, i rapporti medi dipendenti-popolazione validi per gli enti che  hanno dichiarato il dissesto finanziario e per quelli che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, con  richiesta di accesso al fondo di rotazione, sono i seguenti: nei comuni con fascia demografica fino a 499 abitanti, il rapporto medio dipendentipopolazione è di 1 dipendente per ogni 83 abitanti; da 500 a 999 abitanti = 1/112, da 1.000 a 1.999 abitanti = 1/132, da 2.000 a 2.999 abitanti = 1/151; da 3.000 a 4.999 abitanti = 1/159; da 5.000 a 9.999 abitanti = 1/169; da 10.000 a 19.999 abitanti = 1/166; da 20.000 a 59.999 abitanti = 1/152; da 60.000 a 99.999 abitanti = 1/134; da 100.000 a 249.999 abitanti = 1/120; da 250.000 a 499.999 = 1/91 e, infine, da 500.000 abitanti e oltre = 1/85. Per i servizi di Polizia Locale il parametro di riferimento è dato dalle Leggi Regionali di riferimento che indicano di norma, con riferimento alla dotazione organica dei corpi, la presenza di addetto ogni determinato numero di abitanti nei comuni a scarsa densità turistica, commerciale ed industriale. Ove alla inversione della suddetta densità si aggiungono, anche in parte fenomeni di stanzialità della criminalità diffusa o organizzata, il numero di abitanti previsto si abbassa notevolmente.

[3] Ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2000.

[4] Introdotto dall’art. 6 del decreto-legge n. 80/2021, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 113/2021.

[5] Questa dispozione è stata recepita anche dal comma 7 dell’art. 53 del CCNL funzioni locali, sottoscritto il 21.05.2018: «I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, qualora la prestazione non sia superiore al 50 % di quella a tempo pieno, possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, nel rispetto delle vigenti norme in materia di incompatibilità e di conflitto di interessi. I suddetti dipendenti sono tenuti a comunicare, entro quindici giorni, all’ente nel quale prestano servizio l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorativa esterna».

[6] Per approfondimenti sul tema si rimanda a: BUSICO L. e TENORE V., La disciplina giuridica dei concorsi nel pubblico impiego, Giuffrè, Milano, 2006 – TENORE V. (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, EPC Editore, Roma, 2020 – FIORILLO L., Il diritto del lavoro nel pubblico impiego, Piccin, Padova, 2019 – GALANTINO L. (continuato da M. La Notte), Diritto del lavoro pubblico, Giappichelli, Torino, 2019.

[7] L’art. 12 stabilisce che «ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le  disposizioni della presente sezione si applicano, ove non diversamente disposto, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con esclusione di quelle contenute negli articoli 6, commi 2 e 6, e 10, e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia». 

[8] Per un approfonimento sul tema dello scorrimento di graduatorie si rimanda a: IORIO P., Lo scorrimento delle graduatorie quale eccezionale all’indizione di nuovi concorsi pubblici. Norme afferenti e interpretazione del c.d. diritto vivente, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2022 e IORIO P., La vexata quaestio della compatibilità dei profili part-time per le assunzioni a tempo pieno attraverso l’attingimento da graduatorie, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli Enti pubblici, pubblicato in data 30.12.2022.

[9] Sul punto si rimanda alle disposizioni contenute in diversi commi dell’art. 53 del CCNL funzioni locali, sottoscritto il 21.05.2018: (comma 4) «ai fini della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, i dipendenti già in servizio presentano apposita domanda, con cadenza semestrale (giugnodicembre). Nelle domande deve essere indicata l’eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere ai fini del comma 7»; (comma 5) «L’ente, entro il termine di 60 giorni dalla

[10] Come previsto dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 ai sensi del quale «nel rispetto di quanto previsto  dai  contratti  collettivi,  il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n.  66 del 2003, lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi».

[11] L’art. 62, comma 4, del CCNL funzioni locali del 16.11.2022 stabilisce che «Nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale o misto, le ore di lavoro supplementare possono essere effettuate entro il limite massimo dell’orario di lavoro settimanale del corrispondente lavoratore a tempo pieno e nelle giornate nelle quali non sia prevista la prestazione lavorativa. In presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, le ore di lavoro supplementare possono essere effettuate entro il limite massimo settimanale, mensile o annuale previsto per il corrispondente lavoratore a tempo pieno e nelle giornate nelle quali non sia prevista la prestazione lavorativa».

[12] Art. 62, comma 3, del CCNL funzioni locali, sottoscritto in data 16.11.2022.

[13] Art. 62, comma 8, del CCNL funzioni locali, sottoscritto in data 16.11.2022.

[14] Art. 62, comma 9, del CCNL funzioni locali, sottoscritto in data 16.11.2022.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19]  Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20 novembre 2017, sentenza n. 27440.

[20] Cfr. nota Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni n. 900-4CB1.

[21] Cfr. ex multis Corte di Cassazione, sezione lavoro, 20 ottobre 2022, ordinanza n. 31036.

[22] Per un approfondimento sul tema si rimanda a: ROMANO S., Principi di diritto amministrativo, Società Ed. Libraria, Milano, 1912 – ROSSI G.P., Diritto amministrativo – Principi, vol. I, Giuffrè, Milano, 2005.

[23] Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20 novembre 2017, sentenza n. 27440.

[24] Cfr. Corte di Cassazione, sezione lavoro, 18 maggio 2022, sentenza n. 15999.

[25] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Toscana, 13 settembre 2011, deliberazione n. 198/2011/PAR.

[26] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale del controllo per l’Emilia Romagna, 13 febbraio 2012, deliberazione n. 8/2012/PAR.

[27] Cfr. Corte dei Conti, sezione del controllo per la Regione Sardegna, 23 luglio 2012, deliberazione n. 67/2012/PAR.

[28] Cfr. Corte dei Conti, sezioni riunite per la Regione Siciliana, 30 novembre 2012, deliberazione n. 

[29] /2012/SS.RR./PAR.

[30] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 13 giugno 2013, parere n. 225/2013.

[31] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, 18 marzo 2014, deliberazione n. 168/2013/PAR.

[32] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, 13 febbraio 2014, deliberazione n. 35/2014/SRCPIE/PAR.

[33] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 20 maggio 2016, parere n. 144/2016.

[34] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, 14 dicembre 2016, deliberazione n. 51/2016/PAR.

[35] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 9 novembre 2016, parere n. 338/2016.

[36] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Puglia, 11 dicembre 2017, deliberazione n. 159/2017/PAR.

[37] Cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, 6 giugno 2019, deliberazione n. 93/2019/PAR.

[38] In argomento appare utile richiamare la previsione dell’art. 35, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001 a tenore della quale «L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro […]».

[39] Approvato con Regio Decreto n. 262/1942.

[40] Ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 81/2015 «Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in  turni, l’indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite». 

[41] Ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2000.

[42] Introdotto dall’art. 6 del decreto-legge n. 80/2021, convertito – con modificazioni – dalla Legge n. 113/2021.

[43] Sul punto si cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 agosto 2004, sentenza 5636, nella parte in cui si specifica che «[…] Pur se le determinazioni dirigenziali rientrano nella nozione più vasta di deliberazione come riportata dall’art. 124 del T.u.e.l., non si può affermare lo stesso circa l’estensione a queste circa i limiti all’esecutività previsti dal seguente art. 134; […] se la necessaria pubblicità dell’azione degli enti locali richiede di applicare ai provvedimenti monocratici le stesse fondamentali regole di pubblicità degli atti degli organi collegiali, ciò non vuol dire che per gli stessi valgano anche le disposizioni che riguardano il conseguimento dell’efficacia dei provvedimenti. […] Sotto tale profilo, va rimarcato che – per il principio di legalità – solo agli atti emanati dagli organi individuati dall’art. 134 del T.u.e.l. si applicano le sue relative disposizioni, e non anche agli atti disciplinati dal precedente art. 124. L’art. 42 del T.u.e.l. definisce il consiglio comunale quale organo di controllo politico-amministrativo e conseguentemente rimette alle sue competenze una serie di atti programmatori, organizzatori ed in senso lato normativi ed una limitatissima serie di provvedimenti di gestione di notevole rilevanza, mentre la giunta è chiamata ad attuare gli indirizzi generali del consiglio ed a collaborare con il Sindaco – art. 48. I dirigenti invece hanno le competenze di carattere generale per l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno e che non siano ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente. Dunque, è comprensibile che l’esecutività degli atti degli organi di governo sia subordinata ai tempi della loro pubblicazione, dato il carattere interesse collettivo da questi rivestito; le determinazioni dirigenziali costituiscono in genere la figura del provvedimento, ossia di quell’atto tipico denominato chiamato a realizzare gli interessi specifici affidati alle cure dell’amministrazione e consistenti in decisioni destinate a generare, modificare distinguere situazioni giuridiche specifiche o quanto meno a negarne la nascita, la modificazione o l’estinzione. Quindi se gli atti generali rimessi alla competenza degli organi di governo sono regolati nella loro efficacia e vigenza dall’art. 134, si comprende allora che le determinazioni dirigenziali comunali vadano anch’esse pubblicate per soddisfare le esigenze di trasparenza dell’attività amministrativa, ma non vi è alcuna regola legislativa che ne comporti l’inefficacia in pendenza di pubblicazione».

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