di Massimiano Sciascia *
Sommario: 1. Retrospettiva storica dell’insorgenza di una responsabilità erariale. – 2. La natura ambigua della responsabilità erariale. – 3. Giudizio contabile, discrezionalità amministrativa ed espansione incontrollata della responsabilità gestoria – 4. Espansione concettuale del danno erariale. – 5. Nebulosità della colpevolezza. – 6. Riflessione conclusiva.
1. Retrospettiva storica dell’insorgenza di una responsabilità erariale.
La responsabilità erariale negli ultimi anni è stata oggetto di interesse da parte dei vertici politici, che cercano di circoscriverla e di ridimensionarla con vari interventi legislativi, in linea con l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio, in ragione della sua genericità.
In ultimo va considerato il progetto di legge A.C. 1621 a prima firma Foti, che, nell’ambito di una riforma più generale della Corte dei conti, tenta di riformulare, tra l’altro, proprio la responsabilità erariale, costituente il nervo scoperto nei rapporti con la classe politica.
Si pone il problema se si tratti di una insofferenza della politica nei confronti di un istituto ritenuto pericoloso per i suoi esponenti ovvero se sussistano legittimi motivi di perplessità sull’essenza stessa di questo tipo di responsabilità.
Per sciogliere questo fondamentale dubbio risulta necessario ripercorrere la storia dello sviluppo di tale istituto e quindi analizzarne i profili nel diritto vivente.
Orbene va ricordato che la responsabilità erariale di tipo amministrativo nasce come genus autonomo nell’ambito delle c.d. “responsabilità contabili” affidate alla giurisdizione della Corte dei conti dall’art. 61 della legge di contabilità di Stato del 1869, riprodotto dall’art. 67 della legge di contabilità del 1884, secondo cui “gli ufficiali pubblici stipendiati dallo Stato, e specialmente quelli ai quali è commesso il riscontro e la verificazione della casse e dei magazzini, dovranno rispondere dei valori che fossero per loro colpa o negligenza perduti dallo Stato. A tale effetto essi sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, la quale potrà porre a loro carico una parte o tutto il valore perduto”.
La cognizione del giudice contabile era originariamente limitata quasi esclusivamente alla parte esecutiva della gestione finanziaria, riguardando solo i soggetti le cui responsabilità fossero connesse con quelle contabili, sotto lo specifico profilo del concorso soggettivo nella produzione dell’evento dannoso individuato nella perdita di valori dello Stato.
Le responsabilità di questi pubblici ufficiali erano quindi sempre collegate alla gestione finanziaria formalizzata e perciò risultavano connesse alle gestioni contabili, così che potevano essere giudicate non soltanto con i giudizi speciali, ma ancora essenzialmente con i giudizi di conto, considerati nella loro possibile estensione soggettiva e oggettiva.
Solo con l’art. 82 del r.d. n. 1224/1923, attraverso il testuale superamento di ogni diretto riferimento ai valori perduti e del collegamento con le gestioni finanziarie contabili, la responsabilità amministrativa era resa completamente autonoma da quella prettamente contabile, prevedendo che “l’impiegato che per azione o omissione anche solo colposa nell’esercizio delle sue funzioni cagioni danno allo Stato è tenuto a risarcirlo”; tale orientamento legislativo fu successivamente confermato dall’art. 52 del r.d. n. 1214/1934 e dall’art. 18 del d.p.r. n. 3/1957.
In tal modo era stata sostanzialmente introdotta una norma in bianco, che sanciva l’obbligo del funzionario di rispondere del danno cagionato allo Stato nell’esercizio o in occasione delle pubbliche funzioni.
Così, gradualmente e quasi inconsapevolmente, la responsabilità c.d. amministrativa, nella prima fase dell’applicazione giurisprudenziale, assorbiva le ipotesi di responsabilità di cui all’art. 81 della legge di contabilità, che secondo la tradizione storica erano assimilate alle responsabilità contabili propriamente dette, portando ad un progressivo rigetto del giudizio di conto, rispetto al quale veniva preferito il più plasmabile giudizio di responsabilità; in tale quadro non era più la responsabilità contabile ad assorbire altre ipotesi, ma la responsabilità amministrativa ad assimilare a sé quella contabile.
L’inserimento di problematiche tanto complesse sull’illecito e sulla responsabilità patrimoniale nel diritto amministrativo rappresenta se non un’anomalia, almeno una particolarità del sistema di origine francese (1), anche se costituisce invero un caso unico nel quadro europeo.
Questa ambiguità concettuale ha portato un’autorevole dottrina all’inizio del secolo corrente ad affermare che per tali vicende si può parlare “di una responsabilità civile se vuolsi per il tipo di sanzione (risarcimento) ma amministrativa per l’indole del diritto violato che ne determina la condizione e gli effetti” (2). Sin dai primi del Novecento si era notato (3) come la responsabilità de qua rappresentava un’eccezione ai principi propri della responsabilità civile, derivante proprio dal fatto che essa era stata affidata ad una giurisdizione speciale sulla base di norme di contabilità, dando luogo in pratica a conseguenze importanti.
Non mancò chi, comunque, faceva rientrare pienamente la responsabilità contabile in quella civile, con l’unica variante del suo affidamento ad un giudice speciale in ragione della particolarità della materia (4)
Per la verità in gran parte della dottrina del secolo precedente già erano insorte non poche perplessità in ordine a questa particolare e potenzialmente pericolosa figura dagli ampi contorni di responsabilità civile organicamente inserita nel tessuto amministrativo nel 1869 (dalla legge sull’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale) su cui già allora gravava una legislazione imprecisa (5).
Si notava così che “se le leggi speciali sono fatte male, si abbia pure una legge perfettissima sulle responsabilità; siccome le colpe dei funzionari bisognerebbe sempre misurarle e giudicarle in relazione alle leggi da essi violate, se quelle si prestano agli abusi ed agli arbitri (o sono scure e confuse) questa non potrebbe ad onta delle sue punizioni rigorose che lasciarli impuniti” (6).
Ma tali giuste e fondate preoccupazioni furono superate, sulla base della considerazione formulata da un illustre studioso, poi divenuto procuratore generale della Corte dei conti, secondo cui “la saviezza ed il criterio pratico dal supremo magistrato funzionario ha saputo restringere l’applicazione della legge a pochi casi ben definiti […] con serenità di coscienza, senza perturbazione dei pubblici servizi ed angheria a quelli che vi attendono”(7).
Orbene, questo è il quadro dei dubbi che già aleggiavano all’inizio dell’avventura, ma che venivano superati sulla base della circostanza che la Corte dei conti, con la sua autorevolezza e “serenità di coscienza”, avrebbe garantito un’equa applicazione del regime di responsabilità erariale a carattere amministrativo solo “a pochi casi ben definiti […] senza perturbazione dei pubblici servizi ed angheria a quelli che vi attendono”.
E tali originarie perplessità sarebbero certamente aumentate a dismisura se all’epoca si fosse potuta prevedere l’espansione generalizzata dell’istituto della responsabilità erariale a tutti i settori e livelli dell’amministrazione e finanche dell’economia pubblica, nonché la diffusione capillare sul territorio degli organi legittimati ad attivarla e accertarla e l’ampliamento della magistratura contabile, passata da pochi magistrati ben vagliati operanti nell’unica sede centrale a circa cinquecento distribuiti sul territorio.
Ai dubbi originari si possono aggiungere altri sulla compatibilità della responsabilità erariale con il nostro sistema di Stato di diritto, democratico e sociale, in ragione di un’evidente incertezza ermeneutica e applicativa dovuta ad una legislazione incalzante e permeante ogni aspetto della vita sociale, che pone in reale difficoltà chi è deputato ad attuarla, in un sistema di rilevanti contrasti giurisprudenziali tra le stesse supreme giurisdizioni, con l’aggravante della mancanza di una nomofilachia tendenzialmente armonizzatrice, con l’ordinario sistema civile, dei diversi orientamenti in materia di responsabilità in tutti i settori applicativi dell’ordinamento amministrativo (art. 111, c. 8, Cost.).
Tale eccezionalità della responsabilità erariale era tollerabile per il sistema amministrativo allorquando aveva un ambito limitato oggettivamente, cioè quando riguardava settori determinati di commistione tra amministrazione e contabilità, e soggettivamente, cioè quando aveva come soggetti passivi essenzialmente gli agenti contabili e i collegati amministrativi.
Una responsabilità erariale di tipo amministrativo così generalizzata e diffusa territorialmente, peraltro affidata all’iniziativa di organi di pubblico ministero dotati di ampi poteri istruttori anche di polizia economico-finanziaria nonché al giudizio di magistrati contabili non più esponenti di un’élite particolarmente formata in un’equilibrata cultura di governo (bensì sempre più assimilati ai colleghi del settore penale), rende estremamente pericolosa l’azione amministrativa a carattere “obbligatorio” per funzionari pubblici, sia di estrazione burocratica che politico-elettiva, condizionandone le scelte; infatti non solo è scoraggiata ogni azione che può spesso presentare aspetti dannosi, ma la stessa partecipazione alla vita pubblica, specie quella politico-amministrativa, da parte di esponenti qualificati delle professioni, del lavoro e dell’economia, che non intendono rischiare la propria reputazione e le proprie finanze per cimentarsi nell’agone politico e politico-amministrativo.
La stessa giurisprudenza del supremo giudice delle giurisdizioni continua a definire la responsabilità amministrativa come “volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della pubblica amministrazione, e al corretto impiego delle risorse con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatorie”(8).
Ma a questo punto va verificato se la tutela risarcitoria possa essere accordata ad un danno a prescindere dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva rilevante previamente riconosciuta dall’ordinamento, lesione che si risolva semplicemente nella violazione di norme che proteggono l’interesse di un soggetto (collettività, corpo sociale) senza l’attribuzione di una specifica situazione giuridica soggettiva in suo favore.
La responsabilità erariale di tipo amministrativo si basa ancora, essenzialmente, su una c.d. clausola generale, introdotta originariamente, come su illustrato, poco più di un secolo fa, dall’art. 82 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, connessa a doveri e obblighi a contenuto più o meno generico, che rimette al giudice l’individuazione delle ipotesi di illecito, in mancanza di specifiche previsioni legislative.
Orbene, in tal modo le singole regole di condotta sono modellate dal giudice contabile, allo stesso modo in cui il legislatore opera al momento della normazione, sulla base di una valutazione comparativa degli interessi in conflitto, che riguardano da un lato la pubblica amministrazione e dall’altro gli agenti pubblici; tali interessi contrapposti vanno comparati sulla base del criterio del pubblico interesse, che costituisce il fine dell’azione amministrativa.
Ma a tale criterio se ne aggiungono altri di rilievo funzionale, come la necessità di evitare ogni compressione della sfera di autonomia e di discrezionalità dei corpi amministrativi e di creare remore eccessive in capo ai funzionari.
Più ampia è la discrezionalità del giudice in tale ambito, maggiore è l’incertezza per gli operatori, i quali non ritrovano nella legislazione precise regole di comportamento, esponendoli a valutazioni potenzialmente sofistiche con ricorrenti revirements interpretativi o overrulings giurisprudenziali.
Per onestà intellettuale non può negarsi – ancorché la tipicità dell’illecito sia indispensabile all’affermazione del principio di legalità per il vincolo del giudice nella definizione del conflitto di interessi prestabilito a livello normativo – come il tumultuoso sviluppo della vita sociale faccia emergere sempre nuove situazioni non facilmente inquadrabili nei tipi legislativi, con la conseguente necessità per il giudice – se non vuole lasciare ampie aree di “impunità” – di effettuare uno sforzo di una loro riconduzione formale alle ipotesi tipiche preesistenti.
D’altronde anche nel sistema dell’atipicità l’adeguamento alle modificazioni della realtà incontra un limite non meno difficile a superarsi, costituito dal bagaglio culturale del giudice, che tende a rifiutare nuove ipotesi, ma a forzare i fatti negli schemi logico-giuridici ampiamente accettati(9).
È come minimo necessaria – specie dopo la modifica dell’art. 111 della Costituzione – un’individuazione a livello legislativo, se non dei singoli “tipi”, almeno di categorie generali “tipizzate”, in cui possano confluire le singole ipotesi di responsabilità erariale amministrativa, in modo tale da guidare l’attività del giudice contabile, senza limitarla eccessivamente, dando così certezza agli operatori della pubblica amministrazione(10).
2. La natura ambigua della responsabilità erariale
La precisa definizione funzionale di questa forma di responsabilità rende difficile il suo inquadramento nelle categorie logico-giuridiche proprie del diritto civile.
Si discute infatti ancora oggi sulla natura di questa forma di responsabilità, che per la dottrina maggioritaria sarebbe risarcitoria(11), tendendo alla reintegrazione delle risorse finanziarie e patrimoniali della pubblica amministrazione, senza però negare l’aspetto sanzionatorio abbondantemente presente in essa, caratterizzandola nella sua specialità(12).
Tuttavia, non è possibile rendere assorbente il ruolo di tale ultimo aspetto e ridurre quello patrimoniale ad accessorio (13), in quanto sussiste pur sempre il collegamento necessario con un danno effettivo da risarcire, non essendo assolutamente sufficiente la violazione di una disposizione normativa. Va infatti osservato come il danno funzioni non semplicemente come condizione dell’azione, ma come presupposto indefettibile, tanto che, ove esso venga successivamente meno, si estinguerebbe ogni responsabilità erariale; parimenti, la sanatoria di una situazione giuridica sorta in violazione alla legge fa venir meno, con l’ingiustizia del danno, la responsabilità, senza che abbia rilievo l’esigenza punitiva connessa al pregresso comportamento certamente illecito.
Va osservato, per completezza, che non manca nella responsabilità erariale amministrativa anche la c.d. prevenzione generale, in ragione dell’efficacia deterrente che essa esplica, come un monito per chi gestisce la cosa pubblica(14); funzione questa ultima accentuata dalla recente attribuzione alla Corte dei conti di applicare sanzioni vere e proprie, quali la condanna a pene pecuniarie (art. 30, c. 15, l. 27 dicembre 2002, n. 89, e art. 1, c. 593, legge finanziaria 2007), e la sospensione temporanea dalle funzioni di amministrazione e revisione (art. 8, c. 4-bis, d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342).
La tendenza che si manifesta nella giurisprudenza contabile, nell’anzidetta “confusione” funzionale, è di costruire una forma di responsabilità che rasenta invero l’eccezionalità, piuttosto che la specialità, nel senso che si viene sempre più a deviare dai principi di diritto civile, costituente il diritto comune nella materia de qua.
Tale orientamento è agevolato dalla sottrazione delle pronunce della Corte dei conti dalla verifica di legittimità, con funzione nomofilattica, della Corte Suprema di cassazione, prevista dall’art. 111, c. 8, della Costituzione solo per motivi di giurisdizione.
Il pericolo è che la progressiva intensificazione della “particolarità” della responsabilità erariale determini un sistema deviato, non riconducibile al diritto comune, quasi un “monstruum”.
E una siffatta confusione risulta accentuata dalla difficoltà di accertare la natura stessa della responsabilità erariale nell’ambito delle categorie del diritto civile.
Essa è costruita invero come una responsabilità sui generis, la quale, pur non contrapponendosi a quella disciplinata dal diritto civile(15), è sorta e si è sviluppata al di fuori del diritto comune, sul piano dei rapporti pubblicistici, per soddisfare bisogni propri dell’organizzazione amministrativa, e non rientra pienamente in alcuna delle due categorie civilistiche della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Sotto il profilo strutturale essa sembra infatti accostarsi alla responsabilità contrattuale, in quanto è provocata proprio dal mancato rispetto dei doveri afferenti al rapporto di servizio instaurato tra il soggetto e l’amministrazione, differenziandosi nettamente dalla responsabilità extracontrattuale, che deriva dalla violazione del dovere generico e residuale del “neminem ledere” gravante su tutti i soggetti dell’ordinamento generale. Ma se si approfondisce la nozione ci si rende conto che i doveri imposti ai pubblici funzionari solo raramente presentano la caratteristica della individuazione e tanto meno della determinatezza della prestazione richiesta. Limitatamente al caso della responsabilità contabile in senso stretto e ad alcune marginali ipotesi di responsabilità amministrativa, il dovere generico di buona fede oggettiva, di fedeltà e di lealtà si viene a concretare in aggiuntivi obblighi specifici a contenuto normativamente determinato.
Nella stragrande maggioranza delle situazioni che danno adito a questa forma di responsabilità patrimoniale non è ben chiara la portata effettiva della prestazione richiesta al funzionario, di tal che la sua c.d. “contrattualità” lascia perplessi. È vero che anche la responsabilità contrattuale conosce il dovere di buona fede e correttezza nello sviluppo del rapporto obbligatorio, ma esso ha certamente carattere residuale rispetto alle prestazioni specificamente richieste, e comunque non si presenta dissimile nel suo funzionamento dalla violazione del dovere generico di cui alla responsabilità extracontrattuale. Al contrario, nella responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari la situazione è capovolta, nel senso che quasi sempre ci si trova di fronte ad ipotesi del genere in ultimo considerato e solo in limitate situazioni a vere e proprie ipotesi di responsabilità per violazione di specifiche disposizioni “contrattuali”.
Perciò si è proposto, come possibile soluzione, di considerare la responsabilità erariale come un autonomo sistema di responsabilità, che alla pari di quella civile si suddivide in ipotesi contrattuali e ipotesi extracontrattuali(16). Ma invero queste ultime sono senz’altro preponderanti, mentre le prime appaiono marginali, tanto che sarebbe preferibile costruire la responsabilità in discorso come una unitaria forma sui generis di responsabilità civile, che partecipa ai caratteri della “contrattualità” e della “extracontrattualità”, confusi in maniera originale in ragione delle esigenze pubblicistiche che la animano(17). Ciò tanto più che il dovere generico del neminem ledere non è altro che una sintesi di doveri specifici, che possono essere in determinati casi puntualizzati direttamente dalla normativa di settore.
Di recente anche in dottrina sembra affiorare l’esigenza di un approfondimento scevro da pregiudizi culturali e “pratici”. D’altronde, se si esamina l’impostazione concreta data dalla attuale legislazione, specie quella più recente, si avverte comunque la tendenza ad un’assimilazione della responsabilità de qua a quella civile extracontrattuale; essa è stata infatti resa personale e parziaria, con esclusione (salvo che in situazioni di illecito arricchimento) della trasmissibilità agli eredi, prescrivibile in cinque anni, basata sull’accertamento puntuale dell’elemento psicologico.
Va osservato che la giurisprudenza della Corte dei conti, che fino agli anni Quaranta aveva assimilato la responsabilità amministrativa alla responsabilità extracontrattuale e quella contabile alla contrattuale, dagli anni Cinquanta ha modificato l’orientamento intendendo ambedue come ipotesi contrattuali, anche al fine di beneficiare dei vantaggi offerti da questa forma di responsabilità, quali il più lungo termine di prescrizione e la semplificazione probatoria.
Ma l’ambiguità della costruzione de qua si rende ancora più evidente nei rapporti della responsabilità erariale di competenza della Corte dei conti, in ragione di un medesimo evento dannoso, con la analoga responsabilità di competenza del giudice civile, nell’ambito del sistema del c.d. doppio binario. La stessa Corte Suprema regolatrice delle giurisdizioni, seguita dalla Corte costituzionale(18), pur ammettendo tale concorrenza, è costretta a utilizzare, per giustificarla, sofismi di valore metagiuridico, che rendono evidente le difficoltà pratiche, ma anche concettuali, di un medesimo danno con due prospettazioni ontologiche diverse(19).
3. Giudizio contabile, discrezionalità amministrativa ed espansione incontrollata della responsabilità gestoria.
La responsabilità gestionale de qua è astrattamente configurabile solo in ragione di un’azione o omissione illegittima, cioè posta in essere in contrasto con l’ordinamento giuridico.
Invece nel diritto vivente nelle aule della Corte dei conti anche una condotta “legittima” finisce per poter determinare una responsabilità erariale, in quanto – anche se il sindacato sulla condotta tenuta da amministratori o funzionari non può spingersi fino alla valutazione del merito delle scelte discrezionali da questi compiute (art. 1, c. 1, l. n. 20/1994, come novellata dalla l. n. 639/1996) – si ritiene in giurisprudenza che sia sempre ammissibile una valutazione della scelta in sé, secondo i parametri della legalità, della razionalità, della coerenza e della ragionevolezza(20).
Con il che il giudice contabile si attribuisce così il potere di verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, con il flebile e indeterminato limite di non poter scendere all’esame dell’articolazione concreta e minuta dell’iniziativa intrapresa dall’amministrazione, in quanto invaderebbe la sfera riservata alla stessa(21), né ad un apprezzamento di una scelta tra più possibilità lecite(22): appare qui evidente il sofisma utilizzato nell’ammettere una verifica del merito dell’azione amministrativa, affermando il contrario!
La giurisprudenza contabile sostiene infatti che la discrezionalità del potere esercitato dall’amministrazione comporta una limitazione ai poteri cognitivi della Corte dei conti, non certo l’esclusione della stessa giurisdizione contabile, dovendo anzi il giudice contabile accertare l’effettiva sussistenza di tale carattere e l’eventuale superamento dei limiti comunque posti dalla legge, quali la corrispondenza delle scelte ai fini istituzionali dell’ente e il rispetto della coerenza, razionalità e ragionevolezza(23).
Infine, gli argini al sindacato sulla discrezionalità da parte del giudice contabile vengono definitivamente abbattuti attraverso un “sapiente” utilizzo dei criteri di economicità, efficienza ed efficacia, intesi ormai come “precetti” che devono informare di sé l’azione amministrativa discrezionale, con il richiamo dell’art. 97 della Costituzione(24).
Invero la responsabilità erariale é stata in tal modo estesa ad ipotesi di legittimo esercizio del potere amministrativo, determinando un’incertezza ulteriore in capo ad amministratori e funzionari pubblici, allorché si tratti di valutare a priori parametri di difficile determinazione e oggettivamente incerti, quali la convenienza dell’azione amministrativa, la coerenza, ecc.
Ma, ancor più, l’estensione della responsabilità erariale alla realtà dell’economia pubblica, quali gli enti pubblici economici, le partecipazioni pubbliche e la gestione del debito pubblico sui mercati finanziari(25), determina lo sganciamento della giurisdizione contabile dal limite astrattamente “invalicabile” della legittimità, ancorché intesa in ampio senso sostanziale, per richiamare la nozione della “razionalità” delle scelte imprenditoriali. Anche in questa variante si riproduce il medesimo schema di superamento dei limiti formali, laddove si afferma apoditticamente il principio di insindacabilità nel merito delle scelte gestionali compiute dall’amministratore (business judgement rule) per poi negare una sua valenza assoluta, in quanto esse presuppongono, al fine della loro operatività, la ragionevolezza, «da compiersi “ex ante”, secondo i parametri di diligenza di cui all’art. 2392 c.c.(26), tenuto conto in particolare della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per decisioni di quel tipo, oltre che della cura mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione intrapresa»(27).
Ma, in tal modo operando, si rendono estremamente impalpabili i confini della giurisdizione della Corte dei conti, che fuoriesce evidentemente dai limiti della contabilità pubblica per “navigare” a vista nelle acque “turbolente” dei rapporti regolati dal diritto civile.
Si è inoltre assistito parallelamente ad un’espansione dei soggetti passivi della responsabilità erariale, in concomitanza alla tendenza della pubblica amministrazione di intervenire sempre più nell’economia, al di fuori degli schemi della contabilità pubblica, avvalendosi spesso di soggetti non strutturati in essa; si è così data rilevanza a una progressiva valorizzazione del dato oggettivo della provenienza pubblica delle risorse rispetto alla natura del soggetto danneggiante, il quale, sulla base di principi di diritto ormai divenuti ius receptum, può essere – indifferentemente – pubblico o privato, persona fisica o giuridica, nonché interno o esterno all’apparato della pubblica amministrazione(28).
In tal modo viene superato il concetto tradizionale di rapporto di servizio come limite alla giurisdizione contabile, per approdare ad una nozione più ampia, ancorché indefinita, di relazione funzionale, configurabile tutte le volte in cui il soggetto si trovi a essere investito, anche de facto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore del soggetto pubblico, con conseguente inserimento nell’organizzazione di quest’ultimo e assunzione di vincoli e obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l’attività medesima, nel suo complesso, è preordinata (29).
Con la configurazione dell’extraneus quale «“agente dell’amministrazione pubblica”, in ragione del temporaneo rapporto di servizio pubblico», si determina l’assoggettamento dello stesso alla giurisdizione della Corte dei conti, allorché il danno sia riconducibile alla violazione degli obblighi afferenti all’attività di gestione al medesimo demandata (30); un tale atteggiamento comporta evidentemente un’ulteriore incertezza sull’ambito stesso della giurisdizione contabile, che si atteggia a una sorta di “fisarmonica”.
Altri dubbi non possono non insorgere per la volatilità della nozione di rapporto di causalità, in quanto la volontà dell’amministrazione non è certo psicologica, bensì formale e procedimentale.
Infatti, una pluralità di soggetti interviene normalmente all’elaborazione del provvedimento da emanare, con la conseguenza che l’organo deputato alla sua emanazione è spesso un mero centro formale di competenza privo di reali poteri decisionali o con poteri astrattamente pieni, ma in concreto limitati dalle indicazioni degli organi qualificati d’ordine tecnico e amministrativo intervenuti nel procedimento esterno e anche interno.
Tra le varie teorie elaborate da dottrina e giurisprudenza per individuare il criterio, è ormai prevalente quella della c.d. causalità adeguata, nel senso che sono imputabili al soggetto gli effetti del comportamento tenuto che si realizzano “normalmente” secondo l’“id quod plerumque accidit”, sempreché cioè fossero stati previsti o prevedibili ex ante nelle condizioni di effettivo svolgimento della vicenda senza l’incidenza di fattori eccezionali(31), secondo cui “l’idoneità della condotta a determinare l’evento va stabilita con giudizio ex ante, così che non possono imputarsi al pubblico dipendente gli effetti straordinari, atipici ed imprevedibili dell’azione medesima”.
Allorché l’evento dannoso si ricolleghi ad una pluralità di condotte succedutesi nel tempo e riferibili a più soggetti, trova però applicazione il principio dell’equivalenza causale, sempreché nella successione degli avvenimenti i suddetti comportamenti abbiano determinato una situazione tale che, senza alcuno di essi, non si sarebbe verificato l’evento dannoso; principio questo che non opera solo ove la condotta posta in essere da uno o più di tali soggetti sia stata di per sé sola sufficiente e idonea a determinare l’evento (32).
Il suddetto meccanismo ricostruttivo su base assiomatica finisce quindi per fondarsi su mere ipotesi, come il classico “non poteva non sapere”, o finanche teoremi astratti privi di riscontri concreti; così si attribuiscono responsabilità, quasi oggettive, a vertici politici o politico-amministrativi che spesso non hanno una formazione specifica nella materia de qua, ancorché abbiano inconsapevolmente adottato comportamenti su indicazione degli uffici o di organi tecnici interpellati ovvero a seguito di pareri specialistici, come quelli legali; solo per comuni e province è infatti correttamente prevista dalla legislazione, in tali casi, ancorché molto limitatamente, una irresponsabilità per gli amministratori locali sul presupposto della loro buona fede.
4. Espansione concettuale del danno erariale
Alle forme tradizionali di danno, sono state aggiunte, con innegabile fantasia e creatività, altre figure dai contorni molto incerti, quali il danno all’ambiente, al paesaggio(33), all’equilibrio della economia nazionale(34), al buon andamento, ad un bene culturale(35); e così anche il danno all’immagine(36), il danno morale, il danno esistenziale, il danno da (generico) disservizio(37), il danno da tangente(38), quello da concorrenza sleale(39), il danno per lesione di interessi diffusi, il danno per turbativa dell’equilibrio di bilancio, il danno imprenditoriale, ecc.
Ma ancor più, in via generale, v’è il danno (formale) per mera illegittimità, che costringe la giurisprudenza contabile a formulare assiomi indimostrati e indimostrabili per giungere all’individuazione di un danno inesistente e comunque indimostrabile secondo i canoni e i riti civili(40).
Un caso emblematico è rappresentato dal teorema di un danno derivante da ritardi ovvero da errori procedimentali nella scelta, ad esempio, per un incarico, peraltro svolto con successo negli anni seguenti, in mancanza di un requisito pur non essenziale (determinata anzianità di servizio, ecc.).
Qualche dubbio, come già precedentemente accennato, non può non sorgere anche per le ipotesi di danno da atto legittimo, allorquando si contesta solamente una generica irrazionalità di una scelta rientrante nel potere attribuito.
Si giunge finanche ad elaborare un concetto “ontologico” di danno erariale autonomo rispetto alle categorie civilistiche, nell’ambito del quale la lesione è costituita dalla “violazione del vincolo di destinazione dei beni pubblici agli scopi determinati e qualificati dal contenuto degli interessi pubblici tutelati dall’ordinamento”(41).
Ma in questo modo, con l’espansione “incontrollata” della nozione di danno, si perde di vista la categoria logico-giuridica di appartenenza della responsabilità patrimoniale, che è stata frutto di un’elaborazione millenaria; rischiando così di trasformare una responsabilità senz’altro “speciale” in “eccezionale” con deviazione dai principi e dalle regole generali dell’istituto base civilistico costituente diritto comune.
5. Nebulosità della colpevolezza.
Desta non poche preoccupazioni l’aspetto soggettivo di questa forma di responsabilità erariale, che, a regime ordinario, comprende il dolo e la colpa grave.
Detta così, tale limitazione sembra accettabile, se non che questi due elementi sono stati definiti nel loro ambito concettuale da una giurisprudenza contabile che ne ha esteso arbitrariamente i confini.
Per il dolo era stata preferita dalla giurisprudenza contabile, in grande prevalenza, alla più garantistica costruzione penalistica, quella c.d. contrattuale, talché non era generalmente ritenuta necessaria la consapevolezza e volontà anche delle conseguenze dannose derivanti da una determinata condotta, essendo sufficiente la consapevolezza e volontarietà della condotta tenuta; ciò determinava un ampliamento a dismisura delle ipotesi dolose, anche se poi nella pratica si preferiva puntare sulla colpa grave per una maggiore semplicità probatoria.
Conscio di tali problematiche, è dovuto intervenire il legislatore, che è stato costretto a definire concettualmente il dolo, tracciandone i confini con precisione, (ri)portandolo nel solco del dolo penale; inoltre richiedendo da un lato l’oggettiva presenza di informazioni da cui ricavare il rischio del verificarsi di un evento pregiudizievole e dall’altro anche una prova della conoscenza effettiva di tali circostanze (art. 21, cc. 1 e 2, d.l. n. 76/2020); infatti, non è sufficiente la conoscibilità che prelude ad un giudizio di colpa, ma è necessaria la conoscenza di tali informazioni(42).
Viene così testualmente esclusa la teoria, dalle ascendenze nordamericane, della c.d. willfull blindness che, per agevolare la prova della sfera volitiva, sancisce un’indebita equazione tra il voler non conoscere ciò che è conoscibile e il voler realizzare l’illecito(43).
Ma è soprattutto la colpa grave a porre problemi teoretici rilevanti sul suo ambito teoretico.
Nell’ambito della responsabilità erariale di tipo amministrativo si risponde esclusivamente per colpa grave, in quanto si è ritenuto di preservare i pubblici funzionari dal rischio di conseguenze risarcitorie per errori in cui facilmente si può incorrere nell’esercizio dei complessi e mutevoli compiti (art. 1 l. n. 20/1994, come novellato dalla l. n. 639/1996).
La criticità qui riguarda la definizione della gravità della colpa, che in mancanza di una qualche indicazione legislativa viene in concreto rimessa alla “libera” valutazione della giurisprudenza, che in tal modo diviene assoluta “domina” dell’ambito della sua stessa giurisdizione nella materia de qua.
Orbene, è ben noto che, secondo la tradizione romanistica, si distingue la colpa in grave, lieve e lievissima(44). Mentre la colpa lievissima (culpa levissima) corrisponde alla violazione della “magna diligentia”, la colpa lieve (culpa levis) consiste nella mancanza della diligenza del buon padre di famiglia.
La colpa grave (culpa lata), che rileva ai fini de quibus, corrisponde alla magna neglegentia, ossia a id est non intelligere quod omnes intellegunt, tanto da confondersi con il dolo (culpa lata dolo aequiparatur)(45).
Invece la giurisprudenza contabile, in un esercizio terminologico ambiguo e impreciso, tende ad allargare i confini della gravità, che finisce per comprendere la diligenza del buon padre di famiglia, rientrante chiaramente nella culpa levis.
La colpa grave invero consiste in un grado elevatissimo di negligenza, imperizia o imprudenza, che fa quasi adombrare una dolosità di fondo, come minimo eventuale(46).
Dunque, ad evitare l’arbitrio del giudice e le incertezze difensive, bisogna solo procedere a individuare specifici strumenti logici affinati dall’esperienza, che possano consentire una misurazione della colpa, rendendo inoltre tale operazione riscontrabile e verificabile(47).
La determinazione della gravità della colpa presuppone infatti l’accertamento delle sue effettive dimensioni attraverso due fondamentali criteri, che rappresentano le misure della colpa(48).
Sinteticamente, deve essere stabilita in primo luogo l’esistenza di una condotta tenuta in estrema contraddizione a quella indicata dalla norma di cautela (misura oggettiva), e in secondo luogo il mancato esercizio del necessario, anche se minimo, livello di controllo richiesto dalla norma sui decorsi causali esterni (misura soggettiva), che fa intravedere una dolosità di fondo.
La gravità va determinata, cioè, sulla base della univoca concorrenza, nel grado richiesto, della misura oggettiva e della misura soggettiva della colpa.
In particolare, la misura oggettiva, rappresentando il riflesso interno, “soggettivo”, del rapporto di causalità e dell’antigiuridicità, consiste quindi nel divario tra il comportamento tenuto e quello cui ci si doveva attenere alla stregua della regola di condotta violata; tanto maggiore è il suddetto divario, tanto più la colpa diviene “oggettivamente” grave in una considerazione “soggettiva”(49). Ma, oltre a tale aspetto “quantitativo”, acquista rilievo ancor più la considerazione “qualitativa”, relativa al tipo di regola violata, nettamente distinguendosi regole rigide e regole elastiche(50).
6. Riflessione conclusiva.
A seguito di quanto su esposto occorre valutare la compatibilità con l’attuale sistema amministrativo della responsabilità erariale, almeno così come è stata elaborata in modo estremamente evolutivo dalla giurisprudenza e dalla stessa contraddittoria legislazione, nonché con i fondamentali principi costituzionali della divisione dei poteri e della difesa del cittadino in giudizio (art. 24 Cost.).
È stato posto in evidenza come essa, anche per la sua genericità ed enigmaticità, eserciti ormai un insostenibile impatto disfunzionale sull’amministrazione pubblica, tale da far dubitare sulla sua reale “utilità” e da spingere il legislatore a porre crescenti limiti rigorosi, che presuntivamente non potranno non aumentare con l’approvazione del progetto di legge A.C. 1621.
Tali limiti sono rivolti a superare quel timore di incappare in responsabilità erariale a causa di sempre opinabili scelte operative e di spingere amministratori e funzionari pubblici ad agire, laddove occorre investire fondi nazionali ed europei (vedasi il Pnrr) per la ripresa nel pubblico interesse di un’economia depressa da pandemia e da guerre; timore, invero, non peregrino, ove si osservi con serenità il recente quadro normativo e giurisprudenziale, che ha determinato negli ultimi decenni una pericolosa “sostanziale” attenuazione della tutela del cittadino di fronte all’azione erariale per responsabilità indefinite in conseguenza di danni meramente congetturati. Infatti, nell’esperienza delle aule della giustizia contabile, le ipotesi accusatorie sono molto spesso frutto di teoremi accusatori di scarso fondamento logico-giuridico, basate su valutazioni generiche e presunzioni, prive di reale supporto probatorio, senza alcuna considerazione per le complesse situazioni effettive in cui si sono svolti i fatti; ma, a fronte di ciò, la difficoltà maggiore per il convenuto è di allestire una credibile difesa e di allegare elementi in un quadro di concreta “probatio diabolica” a fronte di uffici giudiziari che finiscono per apparire, senz’altro ingiustamente, come veri e propri “plotoni di esecuzione”.
Il legislatore sembra voler comparare il rischio di pregiudizi finanziari dovuti ad eventuali comportamenti “gravemente” colposi con il rischio di una depressione economica causata da mancati interventi a fronte di enormi fondi a disposizione; quindi, a conclusione di tale ponderazione, sceglie nell’evidenza la seconda opzione, proprio al fine di aumentare la capacità di spesa del sistema amministrativo italiano, finora inferiore ad altri Paesi europei in diretta concorrenza con l’Italia.
Il pericolo maggiore è concretamente che si stabilizzi questa impostazione riduttiva, anche dopo la fase del rilancio economico.
Ne deriva che la difesa ad oltranza della responsabilità erariale, così come è stata impostata attualmente negli “interna corporis” della Corte dei conti (e dintorni), ridondi in un atteggiamento auto-referenziale da parte della magistratura contabile e degli studiosi che roteano tradizionalmente intorno ad essa, senza tenere conto della realtà circostante, quasi riesumando il “mito della caverna” di platoniana memoria.
E certamente nemmeno bisogna peccare, come è stato correttamente raccomandato di recente, “di grave superficialità o addirittura di ignoranza” nel considerare la responsabilità amministrativa “un relitto sclerotizzato del passato”, lamentando “presunte lesioni del diritto di difesa nel processo contabile”(51).
Ciò non toglie che occorre accettare ed elaborare un nuovo modo di essere di tale forma di responsabilità, in superamento di quell’indefinitezza del suo ambito, che la rende disfunzionale, riconducendola invece nell’alveo suo proprio della materia contabile; al riguardo risulta indicativo come tale forma di responsabilità di tipo amministrativo rimessa alla Corte dei conti (o ad analoghi organi) sia sconosciuta all’ordinamento dei restanti Paesi europei, che prevedono solo una responsabilità erariale di tipo contabile in senso stretto.
Il punto di partenza dell’auspicata rivalutazione del ruolo della Corte dei conti non può, quindi, non essere costituito che dalla Costituzione, e in particolare dall’art. 103, che attribuisce alla Corte dei conti la “giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
Orbene nella materia della “contabilità pubblica” la giurisdizione della Corte dei conti «“è solo tendenzialmente generale (tanto che nell’ordinamento pre-costituzionale la si qualificava giurisdizione speciale)”(52), sicché la Corte dei conti non può essere ritenuta il giudice esclusivo della tutela da danni pubblici»(53).
Da tali autorevoli affermazioni di massima derivano, in primo luogo, il riconoscimento di una ampia discrezionalità al legislatore, il quale «potrebbe anche attribuire la cognizione di alcune delle materie ricadenti nella nozione di “contabilità pubblica” alla giurisdizione di un giudice diverso»(54); e, in secondo luogo, la considerazione che l’ambito della giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, «“lungi dall’essere incondizionato”(55), deve contenersi, oltre che all’interno dei confini della materia “contabilità pubblica”, anche entro “i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali”»(56).
Si tratta di sviluppare e quindi di condividere un ripensamento generale sulla giurisdizione costituzionalmente affidata alla Corte dei conti, tendendo ad espanderla a tutte le “possibili” materie “proprie” della contabilità pubblica, in linea con le competenze recentemente rimesse alle Sezioni riunite in composizione mista, prevedendo forme correlate di pareri, di controllo e di responsabilità erariali; queste ultime per l’applicazione delle conseguenze pregiudizievoli eventualmente derivate nell’esercizio di tali competenze amministrativo-contabili, così come avviene in gran parte degli altri Paese europei, che non conoscono la responsabilità amministrativa pura e autonoma.
In tale rinnovato quadro, indubbiamente idoneo a rilanciare e accentuare le specificità della Corte dei conti, deve essere ricondotta la responsabilità erariale, come supremo momento di garanzia del rispetto di equilibri economico- finanziari del settore pubblico.
Essa va ancorata saldamente alla materia contabile in senso proprio, senza comodi ripiegamenti su ipotesi, spesso peraltro di scarso rilievo, a carattere eminentemente “amministrativo” dei c.d. ordinatori di spesa, spesso di medio- basso rilievo burocratico o politico, non correlati alla contabilità, per quanto considerata in maniera estensiva.
Se si vuole attribuire, come si attribuisce, un carattere risarcitorio-sanzionatorio(57) alla responsabilità erariale, occorre, poi, richiamare alcuni fondamentali aspetti elaborati nel tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza penale, quali la previsione di ipotesi tipiche, eventualmente per categorie nominate, a garanzia degli operatori pubblici, sia relative alla condotta e al rapporto eziologico che alla configurazione del danno ingiusto, senza ripercorrere, però, l’antico schema delle c.d. responsabilità formali di cui agli artt. 252 ss. del r.d. n. 383/1934.
Inoltre, la gravità della colpa deve essere ben disciplinata per ridurre il pericolo di indiscriminate espansioni, attraverso la previsione di criteri oggettivi di misurazione(58).
Iniziano a intravedersi alcune illuminate aperture culturali nel mondo della stessa magistratura contabile, allorché ci si auspica di “trovare un sistema ragionevole ed equilibrato per la ripartizione del rischio di gestione tra agenti pubblici e amministrazione”, correttamente affermando che ben “potrebbe essere prevista una perimetrazione della colpa grave il più puntuale possibile”(59).
Parimenti si leggono al riguardo autorevoli e responsabili affermazioni di pregevole sensibilità istituzionale, come “oggi la Corte deve sapere che non è sufficiente adeguarsi, ma bisogna capire che cosa chiede il Paese in questo momento”; inoltre esternandosi una condivisa preoccupazione, secondo cui occorre “evitare un eccessivo uso della discrezionalità nell’interpretazione della legge da parte dei magistrati”, e ancora: “tipizzare la colpa grave […] significherebbe dare una guida ed una rassicurazione ad amministratori e dirigenti pubblici”(60).
Sul punto si colgono anche previsioni nel senso auspicato nella più recente legislazione
In particolare, nella disposizione di cui all’art. 8 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, si prevede: «All’articolo 1 del- la legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1.1. In caso di conclusione di un accordo di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale da parte dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la responsabilità contabile è limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti”».
Ancor più, nella disposizione di cui all’art. 2, c. 3, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in concretizzazione del precedentemente affermato “principio della fiducia” e in attuazione del nuovo codice dei contratti pubblici sulla base dell’art. 1 della l. 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, si codifica: “Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”.
Quest’ultimo periodo della su riportata disposizione legislativa indica una strada, cioè il potenziamento della funzione consultiva e del controllo preventivo della Corte dei conti su talune specifiche fattispecie, “il che esonererebbe, e metterebbe al sicuro, amministratori, dirigenti e funzionari dal pericolo di incappare in ipotesi di responsabilità amministrativa”(61).
In conclusione, gli aspetti più caratterizzanti la responsabilità erariale amministrativa – quali la tipizzazione delle ipotesi di responsabilità erariale afferenti alle sole materie di stretta connessione finanziario-contabile, la precisa delimitazione della gravità della colpa, la previsione delle posizioni soggettive potenzialmente foriere di coinvolgimento nell’ambito dei procedimenti amministrativi, il collegamento vincolante con le funzioni consultive e di controllo della Corte dei conti, una puntuale regolamentazione della prescrizione –, come ipotesi di possibile eccesso di potere giurisdizionale, devono essere resi sindacabili in sede di giudizio sulla giurisdizione rimessa alle Sezioni unite della Corte Suprema di Cassazione (art. 111, c. 8, Cost.) nella loro considerazione come limiti “esterni” della giurisdizione contabile.
Occorre, cioè, riferirsi alla concezione dinamica e funzionale dell’art. 111, c. 8, cit., secondo cui, nel delineare i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, risulta necessario tener conto dello sviluppo del concetto stesso di giurisdizione derivante da molteplici fattori, quali il rilievo costituzionale del principio del giusto processo come novellato dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, nonché un’attenta analisi degli artt. 24, primo comma, 111, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione(62). Ma la concezione statica sembra periodicamente ripresentarsi nella giurisprudenza, con riduzione della piena tutela giurisdizionale proprio nella fase conclusiva(63).
Appare evidente, dalla complessità della situazione, che il lavoro di risistemazione dell’istituto della responsabilità erariale appare arduo e pieno di difficoltà dovute a resistenze di vario genere, ma è l’unica strada credibile per salvaguardarlo e renderlo funzionale allo sviluppo del Paese, evitando così azzardi, invero già in corso nelle sedi legislative, lesivi della piena tutela della Comunità e delle prerogative costituzionali della Corte dei conti a garanzia dello Stato di diritto.
* M. Sciascia è professore di diritto amministrativo presso l’Università telematica “Pegaso”.
NOTE
1. M. Sciascia, Diritto delle gestioni pubbliche, Milano, Giuffrè, 2018.
2. F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, Padova, La Motolitotipo 1911, rist. Cedam, 1960, 511.
3. V.E. Orlando, Principi di diritto amministrativo, Firenze, Barbera, 1908, 120.
4. G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche, vol. I, Firenze, F.lli Cammelli, 1913, 283.
5. M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1981, 512.
6. A. Bonasi, Responsabilità civile dei ministri e degli altri ufficiali pubblici, Bologna, Zanichelli, 1874, 25.
7. V. Tango, Della responsabilità negli ordini costituzionali ed in ispecie di quella degli ufficiali pubblici verso lo Stato e le ammi- nistrazioni per colpa e danno, Roma, Perseveranza, 1889, 149-153.
8. Cass., S.U., 8 luglio 2020, n. 14230.
9. V. M. Occhiena, La fuga dall’atipicità nella responsabilità amministrativa: profili sostanziali e processuali, in Dir. economia, 2017, 919.
10. Sul tema delle responsabilità tipizzate, v. G. Carlino, Le nuove frontiere della giurisdizione contabile, in Atti dell’incontro di studio in tema di contabilità pubblica nell’occasione dei 70 anni della Corte dei conti in Sicilia, Palermo, 11-12 maggio 2018; F. Cerio- ni, I giudizi relativi a fattispecie di responsabilità sanzionatorie, in F. Mastragostino (a cura di), La giustizia contabile. Dal regolamento di procedura al nuovo codice, Bologna, Bononia University Press, 2017, 317; F. Longavita, Il rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria, in A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo (a cura di), Il nuovo processo davanti alla Corte dei conti, Milano, Giuffrè, 2017, 547; S. Pilato, La responsabilità amministrativa dalla clausola generale alla prevenzione alla corruzione, Torino, Giappichelli, 2019, 341 ss.; N. Ruggiero, Le fattispecie tipizzate e la responsabilità sanzionatoria, in E. Schlitzer, C. Mirabelli (a cura di), Trattato sulla nuova configurazione della giustizia contabile, Napoli, Editoriale scientifica, 2018, 387; P. Santoro, L’illecito contabile e la responsabilità amministrativa. Disciplina sostanziale e processuale, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2011, 253 ss.; Id., La responsabilità amministrativa sanzionatoria tra clausola generale e tipizzazione dell’illecito, in Foro amm.-CdS, 2007, 3565; V. Tenore, La responsabilità amministrativo-contabile: profili sostanziali, in Id. (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2018, 70.
11. L. Schiavello, La nuova conformazione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2001, 133-134, in cui l’A. traccia un quadro ricostruttivo convincente sulla natura risarcitoria civile di carattere contrattuale dell’illecito gestorio.
12. P. Maddalena, Per una nuova configurazione della responsabilità amministrativa, in Cons. Stato, 1976, II, 831; Id., La responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici: rapporti con la responsabilità civile e sue peculiarità, in Foro it., 1979, V, 61; F. Staderini, A. Silveri, La responsabilità nella pubblica amministrazione, Padova, Cedam, 1998, 150, i quali, pur aderendo all’ottica sanzionatoria, ammettono comunque alcune evidenti distonie nell’inquadramento.
13. P. Santoro, La responsabilità civile, penale ed amministrativa negli appalti pubblici, Milano, Giuffrè, 2002, 373, in cui l’A. afferma che, nonostante le recenti riforme, che hanno accentuato gli aspetti punitivi “sarebbe però un errore ritenere che la responsabilità amministrativa abbia assunto un carattere sanzionatorio esclusivo o prevalente, perché l’obbligazione di risarcimento […] non assume mai il significato di pura sanzione, derivante dalla violazione in sé, ma richiede sempre la sussistenza di un effettivo danno pregiudizievole dell’integrità patrimoniale”. Nello stesso senso già R. Alessi, voce Responsabilità amministrativa patrimoniale, in Noviss. dig. it., vol. XV.
14. E.F. Schlitzer (a cura di), L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2002. 54
15.Di diverso avviso M. Ristuccia, Il nuovo sistema della responsabilità e la giurisdizione della Corte dei conti, in questa Rivista, 1997, 3, 245, secondo cui l’istituto è tipico dell’area pubblica, essendo disciplinato da regole particolari non omologabili a quelle di diritto comune; e F.G. Scoca (a cura di), La responsabilità amministrativa e il suo processo, Padova, Cedam, 1977, 61, secondo cui costituisce una responsabilità di diritto speciale e non una responsabilità eccezionale.
16. M. Sciascia, Diritto delle gestioni pubbliche, cit.
17. Ibidem.
18. Corte cost. 28 luglio 2022, n. 203, in questa Rivista, 2022, 4, 198, con nota di E. Tomassini, La Corte costituzionale ribadisce la costituzionalità del divieto di chiamata in giudizio per ordine del giudice nel processo contabile, che ha dato per ammessa la concorrente legittimazione del procuratore contabile e dell’amministrazione creditrice ad agire innanzi a distinte giurisdizioni per la tutela del credito da danno erariale o civile.
19. Cass., S.U., n. 14230/2020, cit., secondo cui: “non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem tra il giudizio civile in- trodotto dalla p.a. avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un obbligazione civile contrattuale legale o della clausola generale di danno aquiliano da parte di un soggetto investito del rapporto di servizio con essa, ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla corte dei conti dal procuratore contabile nell’esercizio dell’azione obbligatoria che gli compete, ed invero la prima causa è finalizzata al pieno ristoro del danno con funzione riparatoria integralmente compensativo a protezione dell’interesse particolare della singola amministrazione attrice, mentre l’altra è invece volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della pubblica amministrazione, e al corretto impiego delle risorse con funzione essenzialmente o prevalentemente sanzionatorie”.
20. Cass., S.U., 24 dicembre 2018, n. 33365, ivi, 2018, 5-6, 254, con nota di D. Morgante: “L’amministrazione, in via generale, de- ve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri, cosicché nel giudizio di responsabilità amministrativa la Corte dei conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, rientrando nel suo ambito cognitivo l’accertamento della responsabilità amministrativa del sindaco che abbia conferito incarichi a soggetti estranei all’amministrazione comunale al di fuori dei casi previsti dalla legge e non a causa di eventi straordinari ai quali non possa farsi fronte con la struttura burocratica esistente, trattandosi di un controllo giurisdizionale fondato sui canoni di razionalità, efficienza ed efficacia che costituiscono corollario del principio costituzionale del buon andamento della p.a. e che assumono, dunque, rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa”. In dottrina, G. Bottino, voce Responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Enc. dir. Annali, vol. X.
21. Cass., S.U., 29 gennaio 2001, n. 33, in questa Rivista, 2001, 1, 252; Corte conti, Sez. giur. reg. Siciliana, 8 luglio 2002, n. 1362, ivi, 2002, 4, 240.
22. Corte conti, Sez. I centr. app., 20 settembre 2010, n. 526.
23. Corte conti, Sez. I centr. app., 19 giugno 2002, n. 203, ibidem, 104; Sez. III centr. app. 15 gennaio 2007, n. 16, ivi, 2007, 1.
24. Cass., S.U., 29 settembre 2003, n. 14488.
25. Cass., S.U., 5 aprile 2019, n. 9680, in materia di contratti derivati, ivi, 2019, 2, 287, con nota di R. Ristuccia, A. Castorino, L’estensione del sindacato giurisdizionale del giudice contabile in merito alla responsabilità del funzionario e dell’amministratore per operazioni di finanza derivata (interest rate swap, con clausole floor e cap).
26. In altri termini, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato “non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica”: così Cass., Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3409. Conformi, ex multis, Cass., Sez. I, 28 aprile 1997, n. 3652; 2 febbraio 2015, n. 1783.
27. Cass., Sez. III, 22 giugno 2020, n. 12108. 56
28. Cass., S.U., 1 marzo 2006, n. 4511; 22 settembre 2014, n. 19891, ivi, 2014, 5-6, 361; 27 dicembre 2017, n. 30978, ivi, 2018, 1-2, 472.
29. Cass., S.U., 3 luglio 2009, n. 3165; 30 agosto 2019, n. 21871; 12 aprile 2019, n. 10376; 1 aprile 2020, n. 7640; 14 settembre 2020, n. 19086.
30. Cass., S.U., 10 gennaio 2019, n. 486, ivi, 2019, 1, 257, con nota di G. Natali, La violazione dei doveri del contraente generale fra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile.
31. Corte conti, Sez. giur. reg. Toscana, 9 ottobre 1996, n. 492, ivi, 1997, 1, 93
32. Corte conti, Sez. I centr. app., 24 luglio 1997, n. 159, ibidem, 6, 141, che conferma orientamenti già precedentemente affermati da Corte conti, Sez. riun., decr. n. 142/1973 e n. 458/1986. In tal senso anche Corte conti, Sez. II centr. app., 4 giugno 1996, n. 25, ivi, 1996, 4, 101; Sez. giur. reg. Toscana n. 492/1996, cit.
33. Cass., S.U., 8 maggio 2001 n. 179, secondo cui «Quando viene denunciato il pregiudizio al “fascino paesaggistico” per la sua incidenza, economicamente valutabile, sull’afflusso turistico, la giurisdizione di questo danno appartiene alla Corte dei conti trattandosi di danno conseguente alla perdita di prestigio e al detrimento della personalità e credibilità dell’ente territoriale che, se pure non comporta una menomazione patrimoniale diretta, è tuttavia anch’esso suscettibile di valutazione economica sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso (Cass. sez. un. 25 giugno 1997 n. 5668)».
34. Cass., S.U., 4 gennaio 1980, n. 2; n. 21/1983
35. A. Ciaramella, Alcune attuali figure di danno risarcibile innanzi al giudice contabile, ivi, 2004, 2, 359.
36. M.T. D’Urso, Il danno all’immagine della p.a. e gli orientamenti della giurisprudenza del giudice contabile successivi ai recenti interventi della Corte Costituzionale, ivi, 2023, 5, 54.
37. Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 13 giugno 2011, n. 382; 18 novembre 2015, n. 176.
38. Corte conti, Sez. I centr. app., 26 ottobre 2017, n. 428.
39. A. Vetro, Il c.d. danno alla concorrenza alla luce della più recente giurisprudenza della Corte dei conti pubblica.it>, 25 novembre 2011. In giurisprudenza, Corte conti, Sez. centr. app., 20 aprile 2011, n. 198.
40. Cass., S.U., n. 14488/2003, cit. Lombardia 3 maggio 2012, n. 348; Sez. giur. reg. 11 dicembre 2012, n. 364.
41. Cass., S.U., n. 2/1980 e n. 21/1983, cit. In dottrina, v. M. Smiroldo, La dimensione di lesività del danno erariale nell’attuale di- battito sulla responsabilità amministrativa, in Incontro di studi in memoria di Francesco Garri (Atti del convegno, Roma, 16 aprile 2021), in <www.corteconti.it>; 19.
42. G. Albo, Le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge: profili sostanziali e processuali, ivi, 51, secondo cui: «È dal proce- dimento, allora, che si possono trarre quegli elementi probatori di fatto che – alla stregua delle regole probatorie in materia elaborate dalla giurisprudenza penalistica – vanno valutati in base alle regole di esperienza (come, per esempio, il fatto che la predisposizione del contenuto di un provvedimento e la sua sottoscrizione sono fatti consapevoli che l’agente pubblico compie, volendo proprio la produzione degli effetti giuridici, che derivano dall’efficacia del provvedimento stesso), la conformità alle quali è sufficiente a far ritenere dimostrati il fatto psicologico da provare in mancanza di dati da cui sia possibile inferire che, nel caso concreto, i fatti si sono svolti in difformità da quanto le regole di esperienza insegnano (in tal senso v. la teorica penalistica dei “segnali d’allarme” fondata sulla dogmatica della Will- full blindness)».
43. M. Caputo, La mossa dello struzzo: i segnali di allarme tra willful blindness e dolo come volontà, in Giur. it., 2016, 2252.
44. Per un approfondimento delle tematiche afferenti alla colpa grave, v. M. Sciascia, La nozione di colpa grave tra principi di diritto comune e configurazione autonoma, in Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un decennio dalle riforme) (Atti del Convegno, Varenna, 15-17 settembre 2005), Milano, Giuffrè, 2006; Id., Diritto delle gestioni pubbliche, cit., 698 ss.
45. B. Tridico, Colpa grave e gradualità della condanna, in questa Rivista, 2000, 5, 68.
46. Corte conti, Sez. giur. reg. Veneto, 10 febbraio 1997, n. 71, ivi, 1997, 3, 101, secondo cui il requisito della colpa grave non sussiste in presenza di una mera violazione di norma, ma va individuato nell’atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti, nonché nell’agire senza le opportune cautele, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento e senza osservare quel grado minimo di diligenza che tutti, comprese le persone al di sotto della media sociale, quanto a cautela e diligenza, sono in grado di usare. Corte conti, Sez. giur. reg. Puglia, 3 aprile 1997, n. 16, ibidem, 149, secondo cui l’incertezza interpretativa di una norma esclude la colpa grave, specie se è risultata necessaria una successiva legge interpretativa cui peraltro seguì una giurisprudenza contraddittoria del Consiglio di Stato.
47. A. Ciaramella, La sopravvivenza normativa della colpa grave nella responsabilità erariale, in <www.dirittoeconti.it>, 24 giugno 2020.
48. C. Fiore, S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, vol. I, Torino, Utet, 2004, 2a ed., 262. Nello stesso senso, G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, Bologna, Zanichelli, 2019, 254; M. Sciascia, Diritto delle gestioni pubbliche, cit.; Id., La Corte dei conti: organizzazione, funzioni e procedimenti, Napoli, Giapeto, 2020, 192 ss.
49. M. Sciascia, La Corte dei conti: organizzazione, funzioni e procedimenti, cit., 192 ss.
50. F. Garri, I vari aspetti della responsabilità derivante dall’esercizio della funzione dirigenziale nella pubblica amministrazione, in Legge in sostituzione di atto amministrativo, atti preparatori e attuativi di atto legislativo, responsabilità del legislatore e responsabilità dell’amministrazione e verso l’amministrazione (Atti del convegno Varenna, 21-23 settembre 2000), Milano, Giuffrè, 2001.
51. A. Canale, Il ruolo del pubblico ministero contabile tra continuità e contributo al cambiamento, in Riv. Corte conti. Quaderni, 2023, 2, 22.
52. Corte cost. n. 641/1987.
53. Corte cost. n. 169/2018.
54. Corte cost. n. 169/2018, cit.
55. Corte cost. n. 129/1981.
56. Corte cost. n. 773/1988, n. 129/1981, cit., n. 110/197 e n. 169/2018, cit. Con riferimento alla nozione di “materie di contabilità pubblica” i giudici contabili hanno chiarito che le dette materie «possono ora correttamente e positivamente individuarsi in un organico corpo normativo, inteso alla tutela dell’integrità dei bilanci pubblici, dotato di copertura costituzionale e presidiato da un giudice naturale, che è la Corte dei conti nelle sue varie attribuzioni costituzionali, similmente a quanto, del resto, avviene per i cosiddetti “blocchi di materie” riservati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» (Corte conti, Sez. riun. giur. spec. in questa Rivista, 2018, 5-6, 278, con nota di richiami). P. Santoro, Manuale di contabilità e finanza pubblica, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013, 6a ed., 699, osserva che «[l’]uso al plurale (“le materie di contabilità”) sembrerebbe tuttavia presupporre una nozione non unitaria ma, comunque, soggettivamente più ampia di quella riferibile alla sola contabilità di Stato, inteso come sistema di regole per prevenire abusi e far emergere la responsabilità».
57. Così si è orientata la stessa Corte costituzionale, che, pur considerando la responsabilità erariale amministrativa una “combinazione di elementi restitutori e di deterrenza secondo linee volte, tra l’altro, ad accentuarne i profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori di responsabilità (Corte cost. 20 novembre 1998, n. 371), non manca di osservare la previsione di fattispecie ” (Corte cost. n. 453/1998).
58. M. Sciascia, La nozione di colpa grave tra principi di diritto comune e configurazione autonoma, cit.; Id., Diritto delle gestioni pubbliche, cit.; Id., La Corte dei conti: organizzazione, funzioni e procedimenti, cit., 192 ss.
59. V. Lo Presti, Responsabilità amministrativa: assetto attuale, prospettive evolutive e “paura della firma”, in Riv. Corte conti. Quaderni, 2023, 2, 25.
60. T. Miele, Intervento, ibidem, 37.
61. Ibidem.
62. Cass., S.U., ord.13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; 20 dicembre 2008, n. 30254, con la quale si stabiliva che: “sarebbe norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca”. In questo modo il sindacato della Suprema Corte era esteso alle norme sostanziali e processuali interne alla giurisdizione, in precedenza sempre escluso. Un’ulteriore conferma di tale concezione si è avuta da Cass., S.U., 6 febbraio 2015, n. 2242, che ha affermato testualmente come “alla regola della non estensione agli errori in iudicando o in procedendo del sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del giudice amministrativo, può derogarsi nei casi eccezionali o estremi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, tale da ridondare in manifesta denegata giustizia”. Nello stesso senso Cass., S.U., 29 dicembre 2017, n. 31226.
63. Cass., S.U., ord. 27 settembre 2023, n. 27433, in questa Rivista, 2023, 5, 275, con S. Miriello, Il sindacato della Corte di cassazione sulle sentenze del Consiglio di Stato o della Corte dei conti ai sensi dell’art. 111, c. 8, Cost., che richiama Corte cost. 24 gennaio 2018, n. 6.
* M. Sciascia è professore di diritto amministrativo presso l’Università telematica “Pegaso”.