di Antonino Ripepi** e Armando Pellegrino***
1. La fiducia: un concetto complesso
Non esiste, com’è facile intuire, un’accezione univoca del concetto di “fiducia”, la cui elaborazione è resa ancor più complessa dalla necessità di integrare più discipline.
A seconda dei casi, la fiducia è stata definita alla stregua di un’aspettativa[1], di un atteggiamento[2], di una volontà o intenzione[3].
Uno dei principali studiosi della fiducia, Niklas Luhmann, la definisce alla stregua di un atteggiamento di base delle persone, cioè una disposizione valutativa positiva indispensabile per affrontare le sfide della quotidianità[4], senza la quale la gente “non potrebbe nemmeno alzarsi dal letto la mattina. Verrebbe assalita da una paura indeterminata, da un panico paralizzante”[5]. Infatti, “senza la fiducia generalizzata che le persone nutrono vicendevolmente, la società stessa si disintegrerebbe”[6].
Altro autorevole studioso la definisce in termini di aspettativa in relazione a un probabile accadimento futuro: la fiducia nasce dall’attesa che l’altro si comporti nel modo che desideriamo o prevediamo, e, dunque, dalla “aspettativa (…) che le affermazioni scritte e orali degli altri siano rispettate”[7]. In chiave economica, tali premesse conducono ad affermare che “la fiducia è il lubrificante del sistema sociale (…) il fatto di potersi fidare risparmia una enorme quantità di problemi”[8].
Altri autori definiscono la fiducia quale convinzione o credenza: colui che ripone fiducia prevede determinati comportamenti dell’altro alla luce dei propri modelli di comportamento e del proprio sistema di valori e di interpretazione della realtà[9].
La fiducia, inoltre, rappresenta un concetto che si può studiare in chiave cognitiva, emozionale o comportamentale.
La prima prospettiva muove dal presupposto della valutazione razionale della decisione di fidarsi; meglio si conosce l’altro, più ci si potrà fidare dello stesso. La fiducia, dunque, si basa su una componente cognitiva, in quanto la scelta di fidarsi deriva da determinate buone ragioni, da una forma di certezza interna che serve a colmare l’inevitabile asimmetria informativa che caratterizza le relazioni umane[10].
Un esempio di come la fiducia possa fondarsi su calcoli strategici è il trust game, definito da un insieme di giocatori, dalla descrizione delle scelte che questi possono compiere, da un insieme di conseguenze prodotte da tali scelte e, infine, da una valutazione soggettiva di ogni giocatore della preferibilità di tali conseguenze.
I giocatori sono due, il fiduciante e il fiduciario; anche le mosse sono due, “fidarsi” e “non fidarsi” per il fiduciante, e “tradire” e “ripagare” per il fiduciario. Le conseguenze possibili associate alle combinazioni di tali scelte sono tre: lo status quo, ove il fiduciario decide di non fidarsi; un esito cooperativo, nel quale il fiduciante si fida e il fiduciario ripaga la fiducia; infine, un esito opportunistico, nel quale il fiduciante si fida, ma il fiduciario tradisce tale fiducia[11].
Ebbene, se il giocatore A decide di fidarsi e B sceglie di ripagare la sua fiducia, potremmo spiegare tale comportamento affermando che il giocatore B ha “reciprocato” la gentilezza del giocatore A, il quale, fidandosi, lo aveva messo nelle condizioni di guadagnare di più[12]. Tale gentilezza viene ricompensata dal giocatore B attraverso la rinuncia alla scelta opportunistica, che consente al giocatore A di guadagnare di più rispetto all’iniziale status quo.
Nell’esempio prospettato, dunque, la fiducia di A si fonda sull’aspettativa di un comportamento reciprocante da parte di B, nell’ambito di un modello di stampo cognitivo[13].
Si pensi anche, attingendo agli istituti giuridici, al pactum fiduciae, nato nel diritto romano[14], in cui il mancipio dans si affidava al mancipio accipiens, trasferendogli un bene affinché quest’ultimo lo amministrasse in vista delle finalità imposte dal primo; l’essenza fiduciaria del negozio si risolveva (e si risolve tutt’oggi) nell’assenza di una tutela reale in capo al primo, che, in caso di lesione dell’affidamento, può soltanto agire per il risarcimento del danno[15].
Non si tratta, tuttavia, dell’unico approccio disponibile.
In chiave emozionale, infatti, la fiducia viene studiata e considerata nella relazione che si instaura tra le parti della relazione, in cui ciascuno riversa il proprio vissuto; in questa impostazione, non si può investire sull’altro senza avere fiducia in se stessi[16].
Pertanto, risulta indispensabile l’autostima, che, a sua volta, deriva dalla sicurezza trasmessa dalla madre nelle prime fasi di vita del bambino e, poi, consolidata dalla qualità delle relazioni infantili[17].
Secondo autorevoli ricerche psicologiche e psicodinamiche, il processo di costruzione della fiducia consiste in un apprendimento progressivo e continuo, in cui dapprima si fa affidamento sulle figure familiari e, successivamente, ci si avvale di tale base per affrontare l’incertezza e aprirsi ai rischi del mondo esterno[18].
Dal modo di costruzione di tali relazioni nelle prime fasi di vita del bambino deriva un atteggiamento di fondo – che perdura e che da alcuni è considerato un vero e proprio tratto della personalità[19] – propenso a fidarsi dall’altro: si tratta della c.d. fiducia di base o aspecifica, funzione di una generale disponibilità a fidarsi (general willingness).
Infine, in ottica comportamentale, la fiducia conduce alla manifestazione di un’azione coerente con quanto elaborato a livello emotivo e cognitivo[20].
In tutte le prospettive esaminate, comunque, si rinviene un tratto comune.
La fiducia, infatti, indipendentemente dalla prospettiva da cui venga osservata, implica sempre una componente di rischio, inteso come disponibilità a rendersi vulnerabili[21]; nessuno, infatti, si fida se ha già, al momento della decisione, la certezza di venire tradito.
Tuttavia, tale apertura alla vulnerabilità non dovrebbe essere intesa in chiave di mero calcolo delle probabilità[22], in quanto tale riduttiva, bensì alla stregua di scelta cui viene attribuito un valore da parte di chi la effettua; la fiducia, dunque, non è semplicemente l’assunzione di un rischio, ma la volontà deliberata di assumerlo[23].
Tale considerazione ha consentito agli autori di raffinate analisi economiche di superare la concezione basata sulla reciprocità, insita nel già richiamato trust game, per pervenire al concetto di “rispondenza fiduciaria”[24], che serve a spiegare situazioni in cui non soltanto il destinatario della fiducia non guadagna nulla, ma rischia addirittura di perdere qualcosa[25].
Questi contesti possono essere spiegati osservando che il comportamento fiducioso del fiduciante, proprio perché segnala al fiduciario la sua aspettativa di affidabilità, suscita e giustifica una risposta affidabile da parte del fiduciario. Volendo utilizzare espressioni efficaci, la logica tradizionale secondo cui “io mi fido perché tu sei affidabile” viene completamente ribaltata, fino a prendere la forma del “tu sei affidabile perché io mi sono fidato”[26].
Tra fiducia e rischio, dunque, si crea una relazione circolare, in cui la sussistenza del rischio crea i presupposti per concedere fiducia e, al contempo, la fiducia consente di affrontare le situazioni di incertezza attraverso comportamenti che, diversamente, non si manifesterebbero[27].
L’essere umano, infatti, opera in una condizione di razionalità limitata[28], connotata dalla non completezza delle informazioni che possiede, dai limiti cognitivi della sua mente, dalla quantità finita di tempo di cui dispone per decidere, coordinate che rendono non pienamente soddisfacente il modello teorico della calculus-based trust.
In tale contesto, la fiducia diviene una risorsa fondamentale sia a fronte di poche informazioni[29], sia in presenza di un overbooking delle stesse[30], in cui occorre sintetizzare i dati disponibili e avvalersi di quel “carico” cognitivo-emotivo[31] che consente di affrontare l’incertezza affidandosi all’altro.
Si consideri, infine, che la fiducia e la confidenza, per comune acquisizione sociologica, non sono espressioni equiparabili. La fiducia, come visto, è un processo attivo, che implica delle scelte in un contesto di rischio e indeterminatezza; il confidare, viceversa, si caratterizza per la non considerazione di alternative per l’azione, in cui si assegna ad aspettative “esterne” all’attore la possibilità che si adempiano, in un contesto di sostanziale impotenza[32].
2. La fiducia nell’organizzazione e tra le organizzazioni. Il trust management
È ormai noto che la fiducia, oltre a costituire un elemento meritevole di considerazione nell’ambito delle relazioni interpersonali, rappresenta una componente fondamentale delle organizzazioni complesse, oggetto di studio nell’ambito del filone noto come trust management.
La fiducia, infatti, consente di controllare e regolare le interazioni sociali, ed è raffigurata alla stregua di un elemento di gestione delle relazioni che fluidifica i rapporti, costituendo pre-condizione per lo sviluppo di competenze superiori di carattere cooperativo e negoziale[33].
In tale quadro, la “fiducia organizzativa” è definibile alla stregua di credenza personale o condivisa con i membri di un gruppo, avente a oggetto le seguenti circostanze: che un altro individuo o gruppo sia fedele alla lettera e allo spirito degli impegni presi; sia onesto nelle trattative; eviti di trarre eccessivi vantaggi a scapito della controparte, pur avendone la possibilità[34]. Tale precondizione, in virtù di intuibili ragioni, agevola il lavoro di gruppo e la collaborazione tra i membri dell’organizzazione[35].
La fiducia organizzativa appare un vero e proprio valore aggiunto in un’epoca di regolamentazione confusa e ipertrofica, in cui le strutture tradizionali, lunghe e burocratiche, si dimostrano inadatte a fronteggiare la complessità, che impone processi decisionali accelerati in un contesto di cambiamento continuo, che genera scenari difficilmente prevedibili e, comunque, non interpretabili unicamente attraverso leggi di tipo causale e lineare[36].
Le organizzazioni, infatti, si sono evolute dall’iniziale modello meccanicistico-tayloristico[37] verso un contesto in cui l’ambiente esterno viene rivalutato in quanto “generatore di mutamenti e turbolenze che esse devono imparare a fronteggiare”[38]. La moderna organizzazione, infatti, è un organismo chiamato a confrontarsi continuamente con l’ambiente circostante, tanto da indurre a richiamare la famosa metafora dell’arcipelago, uno dei molteplici elementi che compongono il network socio-economico di riferimento[39].
In questo contesto, connotato da non-linearità, discontinuità e mutevolezza[40], la fiducia si presta a essere valorizzata quale meccanismo di controllo di tipo alternativo, per le ragioni accennate, alle formalizzazioni legali e alle strutture gerarchiche. Infatti, nelle strutture a rete, i tradizionali strumenti di monitoraggio si rivelano inefficaci; la fiducia, per converso, può aumentare la capacità dei networks di realizzare prestazioni efficaci e accrescere le alternative perseguibili dai soggetti appartenenti alla rete, accrescendo così le strade percorribili[41].
La fiducia organizzativa agevola la condivisione delle conoscenze e i processi di learning by doing; l’apprendimento diviene attivo e i problemi vengono affrontati come opportunità di sviluppo.
I fattori che possono agevolare la fiducia consistono, innanzitutto, nell’esperienza, ossia nella condivisione di storie comuni, ciò che determina un certo grado di “familiarità” con l’altro[42]; sul punto, si osserva che la fiducia ha una sua dimensione temporale, atteso che proprio l’assenza di vincoli organizzativi forti impone, nelle strutture moderne, la capacità di preservare il legame fiduciario nel tempo. Questo, però, non significa che la fiducia sia proiettata esclusivamente al futuro, in quanto essa presuppone una considerazione positiva del modo di agire che, in passato, ha contraddistinto il fiduciario[43].
Altro fattore di rilievo è la reputazione[44], che esprime il grado di affidabilità dell’altro garantito da un terzo che trasferisce fiducia, ciò che assume particolare rilievo nelle relazioni spersonalizzate, in quanto virtuali o a distanza[45].
Ancora, la fiducia transita necessariamente attraverso la cooperazione, intesa quale iniziativa comune per il cui buon esito è necessaria l’azione di tutti i collaboranti, in un contesto in cui l’azione di almeno uno di essi non è controllabile dall’altro[46].
La cooperazione, a sua volta, fa il paio con la comunicazione. Infatti, laddove il livello della fiducia è elevato, la comunicazione è connotata da maggiore frequenza, bidirezionalità e informalità; diversamente, negli ambienti contrassegnati da sfiducia, il flusso comunicativo è esiguo e incanalato entro modalità rigidamente formali[47].
Infine, anche l’equità rappresenta pre-condizione e, al contempo, conseguenza della fiducia. Si distingue, al riguardo, tra giustizia distributiva, concernente l’allocazione delle risorse e il modo in cui le valutazioni e le condotte degli individui sono influenzate dalla percezione soggettiva di equità, e giustizia procedurale, collegata alla valutazione soggettiva circa i criteri da adottare nell’attuazione di una certa decisione[48].
Il livello successivo e ulteriore del trust management è rappresentato dallo studio della fiducia tra organizzazioni.
Sul punto, oltre a richiamare i fattori e le analisi già esaminate in chiave endo-organizzativa, si osserva che la fiducia può condurre a strutture complesse, quali alleanze, partnership e joint venture, implementazione di reti organizzative, in cui il flusso informativo consente di abbattere le transazioni interorganizzative e diviene strumento di potenziamento reciproco. Inoltre, la fiducia rafforza i legami tra l’organizzazione e i propri stakeholders, contribuendo a sostenerne credibilità e reputazione.
Infine, la fiducia sistemico-istituzionale è quella che investe le istituzioni e i sistemi sociali, e afferisce all’insieme delle convinzioni e degli atteggiamenti degli individui rispetto all’affidabilità, onestà e integrità delle istituzioni sociali.
Utilizzando le parole di un illustre Autore, la fiducia sistemica è aspettativa di stabilità di un dato ordine naturale e sociale e di riconferma del funzionamento delle sue regole[49], concetto assimilabile a una vera e propria forma di “fede”.
L’individuo, infatti, non può direttamente controllare l’ordine normativo prodotto dal processo di socializzazione, ma può solo aderirvi o meno, richiamando così quel tema della “confidenza”, più che della “fiducia” attiva, su cui ci siamo già soffermati[50].
3. Come costruire fiducia nelle organizzazioni?
Due tra i principali studiosi del tema organizzativo della fiducia, Davenport e Prusak, muovono dal presupposto per cui quest’ultima, all’interno delle strutture, dev’essere visibile, diffusa e oggetto di un impegno reso credibile dal vertice[51].
Più in dettaglio, i membri dell’organizzazione devono vedere premiata l’iniziativa di condividere conoscenza ed esperienza; il mercato della condivisione dev’essere affidabile, non asimmetrico ed efficiente; i livelli superiori di management hanno un ruolo fondamentale nel definire i valori della struttura, tra cui la fiducia, che dev’essere diffusa sino a permeare tutta l’organizzazione.
La fiducia, infatti, è difficilmente misurabile attraverso gli strumenti e gli indicatori tradizionali cui ricorre il management: essa si “respira” ed è oggetto di un vero e proprio trust climate, che può formarsi spontaneamente ma che, senz’altro, dev’essere anche agevolato e mantenuto dai vertici.
L’attuazione del trust management, dunque, dipende da un orientamento culturale coerente, per le ragioni già esaminate, con un sistema di valori di tipo partecipativo, orientato all’altro, aperto alle differenze, tollerante rispetto alle possibilità di errore[52]. Tale orientamento non può che essere impresso dal vertice aziendale, che modella l’organizzazione secondo il proprio sistema di valori.
Strumento per la diffusione dell’orientamento alla fiducia può essere l’adozione di adeguate forme organizzative[53]. Sembra chiaro che l’astratta propensione a tale valore risulta vanificata dall’imposizione di strutture rigide, lunghe, in cui non si comunica o si assiste allo scarto tra una comunicazione formale/istituzionale, debitamente sintetizzata ed edulcorata, e la comunicazione informale, che si attua nei corridoi e che consente di sapere come stanno davvero le cose[54].
Inoltre, in una struttura (pubblica o privata) sempre più caratterizzata, per i motivi esaminati, da legami deboli, in cui i rapporti di dipendenza dati dall’autorità si interrompono o funzionano in modo intermittente, una mentalità per processi può condurre al superamento delle rigidità della burocrazia meccanica, caratterizzata da gerarchia, accentramento decisionale, mansioni molto specializzate, con tutte le consequenziali inefficienze[55] e, soprattutto, può contribuire alla diffusione della fiducia.
La logica di processo, infatti, impone di adottare una lean organization, ossia una struttura piatta e flessibile[56], in cui la catena gerarchica si riduce a un rapporto diretto e fiduciario tra vertice decisionale e operatori e i gruppi di lavoro sono polarizzati intorno a singoli progetti, dei quali occorre garantire la qualità, l’efficienza, l’efficacia e la competitività[57].
In tali strutture, definite in dottrina adhocratiche[58], l’orientamento al prodotto o al servizio finale fa sì che acquisisca rilievo determinante il reticolo di relazioni interpersonali sussistenti tra gli attori coinvolti. Gli attori di processo, infatti, devono scambiarsi informazioni in un contesto di reciproca fiducia e coordinare gli sforzi personali in vista del perseguimento di obiettivi in favore del c.d. cliente di processo[59].
È necessario che si attui nella pratica quotidiana una learning organization, ossia la struttura che “organizza il processo di acquisizione e sviluppo delle competenze, facendolo passare da fatto individuale a fatto collettivo (sistematico) spontaneamente organizzato”[60].
Il dirigente, infatti, riveste un ruolo strategico nel favorire il c.d. apprendimento organizzativo, nel quale le conoscenze non sono gelosamente e rigidamente custodite dai rispettivi detentori, ma circolano in una logica di collaborazione, dialogo e conseguente benessere organizzativo.
Questi, dunque, deve avere la capacità di diagnosticare lo stato dei processi negli Enti in cui opera e, in caso di necessità, reingegnerizzare i medesimi. Il riferimento teorico concerne il Business Process Reengineering (BPR), ossia l’intervento organizzativo sui processi che non rispondono più alle necessità della struttura[61], sul quale si tornerà approfonditamente più avanti.
In questo modo, la fiducia può divenire competenza non solo del singolo, ma dell’organizzazione, un vero e proprio capitale che le strutture possono implementare o di cui possono depauperarsi[62]. Anzi, la fiducia, nell’ambito del BPR, si candida a divenire un vero e proprio processo dotato di proprietà sistemiche, che tende a travalicare i confini tra specifiche unità o soggetti. E, trattandosi di una risorsa immateriale, essa è assoggettata al piacevole paradosso per cui più la si utilizza, più la si incrementa, integrando un modo di pensare le relazioni che può estendersi ad ambiti molto diversi e che può portare benefici altrettanto diversi[63].
4. La fiducia come principio regolativo nell’amministrazione pubblica
Il tema della fiducia, se inizialmente elaborato in termini prevalentemente sociologici ed economici, ha assunto nel corso degli ultimi decenni una crescente rilevanza giuridica, fino a divenire un elemento immanente all’ordinamento amministrativo. Non si tratta più, infatti, di un concetto relegato alla dimensione etica o alle scienze sociali, ma di una categoria che, sebbene non espressamente codificata come principio generale in modo autonomo, si ricava implicitamente dall’assetto costituzionale e legislativo e che permea la stessa azione dei pubblici poteri[64].
Il punto di partenza non può che essere rappresentato dall’art. 97 della Costituzione, il quale, sancendo i principi di imparzialità e buon andamento, individua i cardini attorno ai quali si struttura l’attività amministrativa. È agevole osservare come tanto l’imparzialità quanto il buon andamento presuppongano un vincolo fiduciario tra cittadini e istituzioni: il primo non può essere effettivamente garantito se i cittadini non percepiscono l’amministrazione come equidistante e imparziale; il secondo non può essere realizzato se non si alimenta nei destinatari la convinzione che l’azione pubblica sia orientata a criteri di efficienza e affidabilità. In altri termini, non può esservi buon andamento senza fiducia, né imparzialità senza credibilità: i principi costituzionali non si esauriscono nella mera previsione normativa, ma devono essere vissuti come affidabili dagli amministrati, pena la loro trasformazione in vuote formule[65].
In questo senso, la fiducia non è un concetto estraneo al diritto, bensì rappresenta l’elemento che integra e vivifica i principi generali, costituendo un vero e proprio presupposto di legittimazione. Essa assume una funzione regolativa sia in termini interpretativi sia in termini integrativi, completando il sistema soprattutto negli spazi lasciati aperti dalla discrezionalità amministrativa[66]. Ogni scelta discrezionale, infatti, per essere accettata socialmente e istituzionalmente, deve apparire coerente, trasparente e giustificabile. In assenza di un capitale fiduciario, anche la decisione più corretta sotto il profilo formale rischia di apparire arbitraria; al contrario, se sorretta da fiducia, anche scelte difficili o impopolari possono ottenere un grado elevato di legittimazione sostanziale[67].
L’evoluzione normativa successiva alla Costituzione conferma l’importanza di questo principio. La legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo costituisce la svolta fondamentale nella traduzione giuridica della fiducia. Le norme in materia di trasparenza, partecipazione e motivazione degli atti non hanno solo valore tecnico, ma svolgono una funzione di “garanzia fiduciaria” nei confronti dei cittadini. L’art. 1 della l. 241/1990, richiamando i principi di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza, ha imposto un modello amministrativo non più chiuso e autoreferenziale, ma aperto e verificabile. La trasparenza, in particolare, costituisce la dimensione giuridica della fiducia: un’amministrazione che rende conoscibili i propri processi decisionali e che permette il controllo diffuso da parte dei cittadini accresce la propria credibilità e rafforza il patto fiduciario che la lega alla collettività.
A questo quadro si aggiunge il principio di leale collaborazione, che si rinviene sia nei rapporti interistituzionali sia in quelli tra pubblica amministrazione e cittadino. Molti articoli della Costituzione[68] testimoniano la necessità che i diversi livelli di governo operino in reciproca fiducia e cooperazione, pena l’inefficienza e la frammentazione. Tale principio, pur non essendo mai definito espressamente come fiduciario, costituisce in realtà la traduzione istituzionalizzata del concetto di fiducia reciproca, quale presupposto per un sistema multilivello che funzioni armonicamente. Analogamente, l’art. 54 Cost., imponendo ai cittadini il dovere di fedeltà alla Repubblica, sottintende che sia la stessa Repubblica a dover dimostrare di essere degna di quella fedeltà, operando in conformità ai principi di giustizia, uguaglianza e rispetto della dignità della persona.
L’evoluzione più recente del diritto amministrativo dimostra ancora più chiaramente come la fiducia sia divenuta un parametro essenziale. L’introduzione del Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) ad opera del d.l. n. 80 del 2021 segna un passaggio decisivo: non più una programmazione frammentata, bensì un sistema integrato di obiettivi, attività e rendicontazione. La logica sottesa è quella di rafforzare la trasparenza e l’affidabilità, consentendo ai cittadini di verificare direttamente la coerenza tra obiettivi dichiarati e risultati conseguiti[69]. La fiducia diventa, così, non solo un presupposto, ma anche un indicatore sostanziale dell’efficacia amministrativa: un’amministrazione che rispetta gli impegni dichiarati accresce il capitale fiduciario; una che non lo fa lo erode irrimediabilmente.
Non meno rilevante è il piano sovranazionale. L’ordinamento dell’Unione europea attribuisce alla fiducia un ruolo centrale, specie in relazione ai principi di trasparenza, concorrenza e responsabilità finanziaria. La disciplina in materia di fondi europei richiede agli Stati membri di garantire procedure affidabili, controlli rigorosi e accountability: in mancanza di fiducia, non vi è accesso né gestione corretta delle risorse comuni[70]. La fiducia, in tal senso, non è più solo un fatto interno, ma diventa criterio di appartenenza e di credibilità verso la comunità internazionale. Essa diventa parametro per la valutazione dell’affidabilità degli Stati e delle loro istituzioni, incidendo direttamente sulla capacità di attrarre risorse e di partecipare attivamente al processo di integrazione europea.
Ne deriva che la fiducia assume il valore di un principio giuridico sostanziale, capace di orientare l’interpretazione e l’applicazione delle norme. Essa costituisce un parametro implicito di validità e di efficacia dell’azione amministrativa, garantendo che le decisioni pubbliche non siano percepite come atti autoritativi calati dall’alto, ma come scelte giustificate, trasparenti e orientate al bene comune. In mancanza di fiducia, il sistema rischia di degenerare in un formalismo autoreferenziale, che adempie alle regole senza generare legittimazione. Con la fiducia, invece, l’amministrazione realizza pienamente la sua missione costituzionale di servizio alla collettività, rafforzando quel patto di cittadinanza che rappresenta il fondamento stesso dello Stato democratico.
5. Fiducia, responsabilità e valore pubblico
Se la fiducia è il presupposto, la responsabilità ne costituisce il corollario naturale. I due concetti non vanno intesi come poli opposti, ma come elementi inscindibili di un medesimo paradigma: la fiducia senza responsabilità si ridurrebbe a mera aspettativa irrazionale e, per certi versi, ingenua; la responsabilità senza fiducia si trasformerebbe in un controllo arido e in una sanzione priva di legittimazione sociale. È proprio nell’intreccio tra questi due elementi che si realizza l’essenza del moderno diritto amministrativo, chiamato a coniugare legalità, trasparenza, efficienza e valore pubblico[71].
La nostra Costituzione fornisce già il fondamento di questo nesso. L’art. 97, nel sancire i principi di buon andamento e imparzialità, impone che l’amministrazione non si limiti a rispettare la legge in senso formale, ma persegua finalità sostanziali di efficienza, efficacia e coerenza. Un’amministrazione che operi con correttezza, rapidità e prevedibilità suscita fiducia; una che si perda in formalismi, lentezze o contraddizioni la erode. L’art. 98 Cost., inoltre, richiama il dovere dei pubblici dipendenti di servire esclusivamente la Nazione: tale previsione non è solo una regola deontologica, ma una garanzia di responsabilità che alimenta la fiducia collettiva. L’art. 54, nel sancire i doveri di fedeltà e disciplina, consolida ulteriormente questo quadro, sottolineando che il cittadino deve poter confidare che le istituzioni siano a loro volta fedeli alla Costituzione e al mandato di perseguire il bene comune.
Sul piano della legislazione ordinaria, il d.lgs. n. 165 del 2001 ha codificato i principi generali dell’ordinamento del lavoro pubblico che, letti alla luce del paradigma fiduciario, si traducono in obblighi di responsabilità sostanziale: l’amministrazione deve essere in grado di rendere conto, non solo a posteriori, ma in maniera continua e trasparente, della propria azione. In questo senso, la responsabilità amministrativa non coincide con la mera responsabilità contabile o disciplinare, ma assume i contorni di un dovere permanente di giustificazione dell’attività pubblica nei confronti della collettività[72].
Una vera e propria svolta si è avuta con il d.lgs. n. 150 del 2009 (riforma Brunetta), che ha introdotto il ciclo della performance. Attraverso strumenti di programmazione, misurazione e valutazione, il legislatore ha voluto rendere l’azione amministrativa trasparente, comparabile e controllabile. Non si tratta di meri adempimenti burocratici: il ciclo della performance incarna un modello di responsabilità sostanziale, poiché consente ai cittadini di verificare la coerenza tra obiettivi dichiarati e risultati raggiunti. In questa logica, la fiducia non è più un atteggiamento spontaneo e gratuito, ma il frutto di una costante dimostrazione di affidabilità da parte delle istituzioni. Laddove la performance sia visibilmente in linea con gli impegni assunti, la fiducia cresce; laddove si riscontrino scostamenti ingiustificati, la fiducia si riduce, con un effetto diretto sulla legittimazione dell’amministrazione.
Il concetto di valore pubblico si inserisce in questa cornice. Esso rappresenta la misura più avanzata della responsabilità amministrativa, poiché non si limita a chiedere all’amministrazione di rispettare le regole, ma le impone di produrre un impatto tangibile sulla collettività, in termini di equità, benessere e tutela dei diritti. La fiducia, in tale prospettiva, diventa l’indicatore più autentico del valore pubblico: un’amministrazione che produce risultati concreti e percepiti come utili alimenta il capitale fiduciario; un’amministrazione che si limita a produrre atti privi di ricadute sostanziali lo consuma[73].
Particolarmente significativo è l’intervento del d.lgs. n. 36 del 2023, nuovo Codice dei contratti pubblici, che ha sancito espressamente, all’art. 2, il principio della fiducia. Per la prima volta, il legislatore ha positivizzato questa categoria, riconoscendo che il rapporto tra stazioni appaltanti e operatori economici deve fondarsi su reciproca lealtà, trasparenza e correttezza. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, che mira a superare il modello tradizionale basato sulla diffidenza e sul sospetto, per approdare a una concezione cooperativa orientata al risultato. L’art. 1 del Codice, infatti, valorizza il principio del risultato, inteso come effettiva realizzazione dell’opera o del servizio. Fiducia e risultato diventano così tra i pilastri del nuovo diritto dei contratti pubblici: la prima riduce i costi della sfiducia, della conflittualità e della paralisi procedimentale; il secondo fornisce il parametro sostanziale per valutare la bontà dell’azione[74].
È importante sottolineare come questo binomio non riguardi soltanto gli appalti. Il legislatore ha reso esplicito ciò che in realtà vale per tutta l’attività amministrativa: il risultato non è un di più eventuale, ma l’essenza stessa del buon andamento, mentre la fiducia è la condizione per accettare e legittimare le scelte pubbliche. Ne consegue che l’art. 2 del Codice dei contratti deve essere letto non solo come regola speciale, ma come enunciazione di un principio generale dell’azione amministrativa, idoneo a fungere da criterio interpretativo in ogni settore.
A questa evoluzione si affianca la normativa in materia di prevenzione della corruzione. La legge n. 190 del 2012, imponendo obblighi stringenti di trasparenza, integrità e piani di prevenzione, mira non solo a reprimere fenomeni illeciti, ma soprattutto a ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La corruzione, infatti, rappresenta il più grave vulnus al capitale fiduciario, poiché mina la credibilità stessa dello Stato. In tale prospettiva, le norme anticorruzione devono essere lette non soltanto come strumenti di legalità, ma come meccanismi di rigenerazione fiduciaria[75], volti a preservare un bene pubblico immateriale essenziale: la fiducia collettiva.
La fiducia, a ben vedere, assume i tratti di un bene comune. Essa non appartiene al singolo funzionario o alla singola amministrazione, ma all’intera collettività, che ne è al tempo stesso titolare e beneficiaria. La sua erosione produce costi enormi: aumento della litigiosità, paralisi decisionale, inefficienza sistemica, disaffezione politica. La sua presenza, al contrario, riduce i costi di transazione, facilita la cooperazione tra soggetti pubblici e privati, accelera i procedimenti e accresce la legittimazione delle decisioni. Non a caso, gli studi economici hanno dimostrato che il capitale fiduciario è direttamente correlato al grado di sviluppo e alla competitività di un Paese: un ordinamento in cui le istituzioni sono percepite come affidabili è un ordinamento che attrae investimenti, stimola la partecipazione civica e consolida la coesione sociale[76].
La responsabilità amministrativa, in questo contesto, deve essere ripensata come responsabilità integrata: non solo contabile, non solo disciplinare, ma anche politica, etica e sociale. Essa implica la capacità di rendere conto in maniera chiara e accessibile delle proprie scelte, di spiegare le ragioni sottese a determinati indirizzi, di garantire la coerenza tra obiettivi e risultati. È in questa prospettiva che si colloca il concetto di accountability, mutuato dalle esperienze anglosassoni, che ha progressivamente trovato ingresso anche nel diritto italiano[77]. L’amministrazione non è più solo “responsabile” in senso tecnico, ma deve mostrarsi “accountable”, ossia costantemente disposta a rendere conto al pubblico delle proprie azioni.
Fiducia e responsabilità si intrecciano, dunque, nel concetto di valore pubblico. Quest’ultimo non coincide con l’interesse pubblico astratto, ma si concretizza nella percezione collettiva di un’amministrazione capace di generare benessere, equità e tutela dei diritti fondamentali. Un’amministrazione che non goda della fiducia dei cittadini può anche rispettare formalmente la legge, ma difficilmente sarà percepita come legittima e difficilmente produrrà valore. Viceversa, un’amministrazione percepita come affidabile e responsabile riesce a trasformare la legalità formale in legittimazione sostanziale, rafforzando il patto di cittadinanza e consolidando il modello democratico.
In definitiva, la fiducia non è un elemento accessorio, ma costituisce il fondamento stesso della responsabilità e della produzione di valore pubblico. Senza fiducia, il diritto rischia di ridursi a sterile formalismo, privo di capacità generativa; con la fiducia, il diritto diviene strumento di integrazione sociale, di partecipazione attiva e di coesione istituzionale. È questa la sfida più alta dell’amministrazione contemporanea: alimentare e custodire il capitale fiduciario come risorsa immateriale essenziale, senza la quale nessuna riforma, per quanto ambiziosa, può dirsi realmente efficace.
6. Conclusioni
La riflessione sulla fiducia come principio giuridico trasversale e immanente all’ordinamento consente di coglierne la portata non più solo ancillare, ma sistematica. Oggi, infatti, la fiducia non può essere relegata a mero corollario dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza: essa si configura come il vero e proprio criterio di legittimazione sostanziale dell’azione amministrativa, un parametro implicito di validità che orienta tanto l’interpretazione quanto l’applicazione del diritto pubblico.
L’introduzione del principio di fiducia nel nuovo Codice dei contratti pubblici segna un passaggio paradigmatico, poiché istituzionalizza un concetto finora affidato a dottrina e giurisprudenza, proiettandolo nel cuore della legalità amministrativa. È il segno di un mutamento più ampio, che chiama il diritto amministrativo ad abbandonare logiche meramente difensive e formalistiche per aprirsi a modelli cooperativi, responsivi e orientati al risultato.
La sfida futura è duplice. Da un lato, occorre consolidare un’interpretazione giuridica che riconosca la fiducia come bene comune immateriale, oggetto di tutela e di promozione da parte dell’ordinamento al pari di altri valori costituzionali. Dall’altro, è necessario sviluppare meccanismi istituzionali e procedimentali che trasformino la fiducia da aspirazione etica in parametro operativo, misurabile e rendicontabile. In tal senso, la fiducia potrà costituire non solo un presupposto dell’azione amministrativa, ma anche un suo output: l’amministrazione dovrà essere valutata non soltanto per i risultati conseguiti, ma anche per la capacità di generare e alimentare capitale fiduciario nella collettività.
Il diritto, dunque, è chiamato a un salto di qualità: costruire una “legalità fiduciaria” che non rinunci al rigore delle regole, ma che ne superi l’autoreferenzialità, fondandole su un continuo processo di giustificazione, responsabilità e apertura verso i cittadini. Non si tratta di un’esigenza astratta: in un contesto caratterizzato da crescente complessità, crisi di rappresentanza e diffusa sfiducia nelle istituzioni, la capacità di rigenerare fiducia diventa condizione di sopravvivenza per lo stesso Stato democratico.
La sfida del futuro, allora, è questa: fare della fiducia non solo un principio, ma un metodo giuridico, capace di guidare l’azione pubblica nella costruzione di valore e nel rafforzamento del patto di cittadinanza. In questo modo, il diritto amministrativo potrà realmente compiere la sua missione: non limitarsi a regolare il potere, ma trasformarlo in strumento credibile di coesione, equità e sviluppo.
[1] J. B. Rotter, A new scale for the measurement of interpersonal trust, in Journal of Personality, 35, 1967, pp. 651-665.
[2] N. Luhmann, Familiarità, confidare e fiducia: problemi e alternative, in D. Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, Einaudi, 1989, pp. 123-140.
[3] R. C. Mayer – J. H. Davis – D. F. Schoorman, An integrative model of organizational trust, Academy of Management Review, 20, 1995, pp. 709-734.
[4] N. Luhmann, op. cit., p. 126.
[5] N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, 2002, p. 5.
[6] G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, 1998, p. 178.
[7] J. B. Rotter, op. cit., p. 651.
[8] K. Arrow, The Limits of Organisations, New York, 1974, p. 23.
[9] J. E. Swan – I. F. Trawick – D. W. Silva, How industrial sales people gain customer trust, in Industrial Marketing Management, 14, 1985, pp. 203-211.
[10] A. Mutti, Fiducia (voce), Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto della Enciclopedia Italiana, pp. 4 ss.
[11] V. Pelligra, Teoria dei Giochi Psicologici e Socialità Umana, in P. L. Sacco – S. Zamagni (a cura di), Teoria economica e relazioni interpersonali, Il Mulino, 2006, pp. 149 ss.
[12] Id., Fiducia e produttività: sulla natura relazionale dell’agire economico, disponibile in https://iris.unica.it/bitstream/11584/26403/1/Fiducia_Sindacalismo_noteOK.pdf, pp. 4 ss.
[13] J. D. Lewis – A. Weigert, Trust an a social reality, Social forces, 63, 1985, pp. 967-985.
[14] Ove la mancipatio fiduciae, e l’eventuale remancipatio in caso di restituzione, avvenivano pubblicamente e con forme solenni per evidenziare alla collettività che il mancipio dans si stava affidando al mancipio accipiens (F. Galgano, La fiducia romanistica, in Atlante di diritto privato comparato, XIII, Zanichelli, 1992, p. 181).
[15] Cass. civ., 15 giugno 2023, n. 17151.
[16] E. H. Erikson, Infanzia e società, Armando, 1966, pp. 232 ss.
[17] D. McKnight – L. L. Cummings – N. Chervany, Initial trust formation in new organizational relationships, The Academy of Management Review, 23, 1998, pp. 473-490.
[18] E. H. Erikson, op. cit., pp. 235 ss.
[19] J. B. Rotter, op. cit., pp. 652 ss.
[20] M. L. Farnese – C. Barberi, Costruire fiducia nelle organizzazioni. Una risorsa che genera valore, FrancoAngeli, 2010, p. 16.
[21] R. C. Mayer – J. H. Davis – D. F. Schoorman, op. cit., p. 711.
[22] Di “calculus-based trust” discorrono M. L. Farnese – C. Barberi, op. cit., p. 23.
[23] R. C. Mayer – J. H. Davis – D. F. Schoorman, op. cit., p. 712.
[24] V. Pelligra, Fiducia e produttività cit., p. 6.
[25] Si pensi al classico esempio dell’amico che vuole confidarci qualcosa, o della vicina che vorrebbe affidarci in custodia l’animale domestico durante le vacanze. Si tratta di soggetti che ripongono fiducia in noi, ma il fiduciario, in questo caso, non guadagna nulla (a meno che non si voglia valorizzare l’aspettativa di vantaggi futuri, che – però – sono solo eventuali) e, anzi, deve patire il costo (immateriale o economico) della custodia del segreto o dell’animale.
[26] Così, esattamente, V. Pelligra, op. loc. ult. cit.
[27] D. Rousseau – S. B. Sitkin – R. S. Burt – C. Camerer, Not so different at all: a cross-discipline view of trust, Academy of Management Review, 23, 1998, pp. 393-404.
[28] H. A. Simon, Il comportamento amministrativo, Il Mulino, 1958.
[29] “Quanto minore è l’informazione, tanto più c’è bisogno di fiducia” (G. Hawthorn, Ironie della fiducia, in D. Gambetta, Le strategie della fiducia cit., p. 147).
[30] A. Mutti, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, 1998, p. 38.
[31] Ibidem.
[32] M. Conte, La fiducia della modernità, la modernità nella fiducia. Riflessioni e ipotesi di ricerca, disponibile in https://econwpa.ub.uni-muenchen.de/econ-wp/ri/papers/0511/0511001.pdf, p. 21.
[33] R. C. Mayer – J. H. Davis – D. F. Schoorman, op. cit., p. 715 ss.
[34] L. L. Cummings – P. Bromiley, The Organizational trust inventory (OTI): development and validation, in K. M. Kramer – T. R. Tyler (a cura di), Trust in organizations: frontiers of theory and research, Sage Publications Inc., pp. 302 ss.
[35] R. C. Mayer – J. H. Davis – D. F. Schoorman, op. cit., p. 717.
[36] M. Granovetter, The strenght of weak ties, American Journal of Sociology, Vol. 78, n. 6, disponibile in https://snap.stanford.edu/class/cs224w-readings/granovetter73weakties.pdf, pp. 1360 ss.
[37] S. Cassese, Lectio magistralis. Problematiche e rimedi per un’amministrazione orientata al risultato, in L. Comper – M. Marcantoni, Un nuovo management pubblico come leva per lo sviluppo. Atti del seminario “Istituzioni norme risultato”, FrancoAngeli, 2016, pp. 40 ss.
[38] M. L. Farnese – C. Barberi, op. cit., p. 73.
[39] Ibidem.
[40] F. D’Egidio, Il capitale umano e il contributo del bilancio dell’intangibile, in R. Panzarani (a cura di), Gestione e sviluppo del capitale umano, FrancoAngeli, 2004, p. 29.
[41] W. E. Creed – R. E. Miles, Trust in organizations: A conceptual framework linking organizational forms, managerial philosophies, and the opportunity costs of controls, in R. M. Kramer – T. R. Tyler (a cura di), Trust in organizations cit., p. 30.
[42] N. Luhmann, Familiarità, confidare e fiducia cit., pp. 123 ss.
[43] H. B. Thorelli, Networks: between markets and hierarchies, Strategic Management Journal, 7, 1986, p. 38.
[44] P. Dasgupta, La fiducia come bene economico, in D. Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia cit.
[45] Divenute sempre più frequenti in epoca post-pandemica.
[46] B. Williams, Strutture formali e realtà sociale, in D. Gambetta (a cura di), Le strategie della fiducia cit., p. 10.
[47] E. M. Whitener – S. E. Brodt – M. A. Korsgaard – J. M. Werner, Managers as initiators of trust: an exchange relationship framework for understanding managerial trustworthy behavior, The Academy of Management Review, Vol. 23, n. 3, 1998, pp. 513-530.
[48] M. L. Farnese – C. Barberi, op. cit., p. 92.
[49] A. Mutti, Capitale sociale e sviluppo cit., p. 38.
[50] N. Luhmann, op. loc. ult. cit.
[51] T. Davenport – L. Prusak, Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e trasferire conoscenza, Etas, 2000, p. 43.
[52] W. E. Creed – R. E. Miles, Trust in organizations cit., pp. 30 ss.
[53] M. L. Farnese – C. Barberi, op. cit., p. 124.
[54] R. Saporito, Public leadership, Cinque modi di fare il dirigente pubblico, Egea, 2023, p. 176.
[55] A. Lippi – M. Morisi, Scienza dell’amministrazione, Il Mulino, 2005, p. 58.
[56] La dottrina discute anche di “azienda corta”: A. Costanzo, Organizzazione e scienza dell’amministrazione negli enti pubblici con approfondimenti per INPS e enti locali, Edizioni EL, 2020, p. 305.
[57] Sono i concetti alla base di Lean management. Cose mai dette, A. Payaro, Esculapio editrice, 2017, pp. 2 ss.
[58] Il termine, coniato da A. Toffler nel suo Future Shock del 1970, è etimologicamente legato all’espressione latina ad hoc e identifica organizzazioni estemporanee, rapsodiche, funzionalizzate a un singolo obiettivo e destinate a sciogliersi dopo il suo raggiungimento.
[59] E. Leonardi, Disegnare i processi. Il metodo Zoom Up. La persona e il gruppo. La comunicazione interna, FrancoAngeli, 2012, p. 12.
[60] Ibidem. Enfasi aggiunta.
[61] S. Frascheri, Business Process Reengineering, Una guida pratica per mappare e reingegnerizzare i processi aziendali, FrancoAngeli, 2020.
[62] W. E. Creed – R. E. Miles, Trust in organizations cit., p. 31.
[63] M. L. Farnese – C. Barberi, op. cit., p. 136.
[64] G. FRAZZICA, Una forza invisibile : riflessioni sulla fiducia tra diritto e mutamento sociale, PM Edizioni, 2025.
[65] BIANCONI A., Una nuova via per l’organizzazione della PA: Fiducia, coraggio, benevolenza, Il Sole24Ore, 2024.
[66] SIMONETTI A., Fiducia e diritto, Rivista Trimestrale di Scienze dell’Amministrazione, 4/2024.
[67] BIANCONI A., Una nuova via per l’organizzazione della PA: Fiducia, coraggio, benevolenza, Il Sole24Ore, 2024.
[68] A titolo di esempio, gli artt. 5, 117 e 118.
[69] RIPEPI A., Dirigenza pubblica e fiducia : un’analisi integrata tra diritto e management, Egea, 2025.
[70] PASTORE P., Trasparenza e accountability per l’Open Government, Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, 2/2024, 117 ss.
[71] TRIMARCHI M., Buona fede e responsabilità della pubblica amministrazione, in P.A. Persona e Amministrazione, V. 11, n. 2, 2022.
[72] MARRA A., L’amministrazione imparziale, Giappichelli, 2018.
[73] BIANCONI A., Una nuova via per l’organizzazione della PA: Fiducia, coraggio, benevolenza, Il Sole24Ore, 2024.
[74] TROPEA G., I principi del risultato, della fiducia, della buona fede e dell’affidamento in alcune interpretazioni recenti, Editoriale Scientifica, 2024, 5 ss.
[75] BETTO A., La tutela della legalità come motore di sviluppo economico e democratico: il sistema di prevenzione della corruzione in tre ordinamenti d’avanguardia, iris.univpm.it, 2020.
[76] NAPOLITANO G., Diritto amministrativo e processo economico, in Dir. Amm., 4/2024.
[77] PASTORE P., Trasparenza e accountability per l’Open Government, Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, 2/2024, 117 ss.

