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Responsabilità e Performance: Analisi della Sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Campania, n. 247/2025

di Giovanni Gambino

La sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Campania, n. 247/2025, offre un paradigma di notevole interesse per l’analisi della responsabilità amministrativa per danno erariale derivante da condotta omissiva. La pronuncia, tuttavia, trascende la mera qualificazione di un illecito contabile, assurgendo a caso di studio sull’interruzione patologica del ciclo di gestione della performance e sulla conseguente distruzione di valore pubblico, concetti cardine nell’evoluzione del diritto amministrativo contemporaneo¹.

1. La configurazione del danno erariale quale scostamento negativo dagli obiettivi di performance

l’azione amministrativa, secondo i principi codificati, deve essere orientata al conseguimento di risultati programmati, misurabili in termini di efficacia, efficienza ed economicità. L’obiettivo strategico sotteso alla vicenda in esame era la chiusura della partita contabile relativa a un’opera pubblica mediante l’impiego di provvista finanziaria esterna già assegnata all’ente.

Il risultato atteso, in un’ottica di corretta gestione, consisteva nell’estinzione dell’obbligazione verso il creditore senza aggravi per l’erario comunale. Il risultato effettivo, per contro, si è sostanziato in un contenzioso e in un esborso aggiuntivo di € 45.000,00 a titolo di interessi moratori e spese legali. Tale importo non costituisce una mera passività patrimoniale, ma la precisa quantificazione dello scostamento negativo tra l’obiettivo di performance programmato e il risultato gestionale conseguito. Il danno erariale, pertanto, si qualifica non solo come nocumento patrimoniale ex art. 1 L. 20/1994, ma anche come indicatore oggettivo del deficit di performance dell’apparato amministrativo, rappresentando la metrica della dispersione di valore pubblico.

2. La destrutturazione del ciclo di gestione della performance

L’analisi dell’iter decennale di inerzia consente di apprezzare la destrutturazione di ogni singola fase del ciclo di gestione della performance, come disciplinato dal D.Lgs. 150/2009 e successivi interventi normativi².

  • Fase di Programmazione (PLAN): Si palesa un’omessa trasposizione dell’obiettivo strategico (acquisizione del saldo del finanziamento) in un obiettivo operativo all’interno degli strumenti di programmazione dell’ente (es. Piano Esecutivo di Gestione, confluito poi nel PIAO). L’assenza di assegnazione formale, di tempistiche e di indicatori ha determinato l’uscita dell’attività dal perimetro del controllo gestionale.
  • Fase di Esecuzione (DO): La condotta omissiva si manifesta su due piani di responsabilità giuridicamente distinti:
    • Responsabilità Dirigenziale: In capo al Responsabile dell’Area Tecnica si configura una palese violazione dei doveri di gestione, che l’ordinamento degli enti locali (art. 107 TUEL) gli attribuisce in via esclusiva. La sua inerzia integra una malpractice manageriale che incide direttamente sulla sua responsabilità per il mancato raggiungimento dei risultati³.
    • Responsabilità dell’Organo di Governo: La condotta del Sindaco si qualifica come violazione dei doveri di indirizzo e, soprattutto, di controllo politico-amministrativo. Tale funzione non si esaurisce nell’atto di nomina del dirigente, ma implica un’attività di verifica costante sulla coerenza tra gestione e indirizzi, la cui omissione fonda una autonoma colpa in vigilando.
  • Fase di Controllo (CHECK): L’inerzia protratta per un decennio attesta la totale inefficacia, se non l’inesistenza, dei controlli interni, in particolare del controllo di gestione, deputato a rilevare gli scostamenti tra obiettivi e risultati e a segnalarli tempestivamente agli organi competenti per le necessarie azioni correttive.
  • Fase di Responsabilizzazione (ACT): La giurisdizione contabile interviene in via surrogatoria rispetto a un sistema di valutazione e responsabilizzazione interna manifestamente fallito. La sentenza, dunque, non si limita a sanzionare, ma svolge una funzione correttiva, ripristinando coattivamente il principio di responsabilità sui risultati che il sistema interno non è stato in grado di far valere.

3. La qualificazione dell’elemento soggettivo e il riparto della responsabilità

La Corte qualifica la condotta degli amministratori in termini di colpa grave, definita dalla giurisprudenza contabile come una macroscopica e inescusabile negligenza, un’imperdonabile trascuratezza dei doveri d’ufficio⁴. L’inerzia decennale, unita al silenzio serbato a fronte di una richiesta di chiarimenti del Segretario Comunale, integra pienamente tale nozione.

Di precipuo interesse tecnico è il criterio di riparto dell’addebito:

  • La responsabilità prevalente del Dirigente (€ 35.000) viene ancorata alla sua posizione di titolare esclusivo della competenza gestionale e del relativo potere di spesa, nonché alla violazione dei doveri specifici del rapporto di servizio di natura professionale, che esigono una diligenza qualificata (art. 1176, co. 2, c.c.)⁵.
  • La responsabilità concorrente del Sindaco (€ 10.000) è correttamente imputata non a un’ingerenza nella gestione, ma alla violazione del suo munus pubblico di indirizzo e di alta vigilanza, finalizzato ad assicurare il buon andamento complessivo dell’ente, secondo il principio di separazione funzionale delineato dal TUEL⁶.

La Corte, pertanto, applica con rigore il principio secondo cui a distinte sfere di competenza corrispondono differenti profili di responsabilità, commisurati alla natura e al contenuto dei doveri violati.

Conclusioni: la funzione sistemica della giurisdizione contabile

In definitiva, la sentenza n. 247/2025 si qualifica come un intervento giurisdizionale che, oltre a ristorare il danno patrimoniale, assume una funzione sistemica. Essa opera come un meccanismo di chiusura del sistema di accountability, sanzionando le disfunzioni organizzative e le carenze di performance che i controlli interni non hanno saputo prevenire né correggere. La pronuncia riafferma che il corretto esercizio della funzione amministrativa e dirigenziale non può prescindere da una gestione per obiettivi e per risultati, la cui violazione, se produttiva di danno, genera una responsabilità personale, diretta e patrimonialmente sanzionata.

¹ A. Ripepi, A. PellegrinoIl DDL Merito come strumento di riorganizzazione strategica: riflessioni giuridiche sulla valutazione nella PA tra efficienza e imparzialità, p. 1. Gli autori evidenziano come la misurazione della performance sia normativamente orientata «al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche» e alla creazione di valore.

² M. FratiniManuale sistematico di diritto amministrativo, Neldiritto Editore, 2024, p. 310. L’autore descrive il ciclo di gestione della performance come un processo che «si articola in diverse fasi, tra cui la definizione e l’assegnazione degli obiettivi, il collegamento tra gli obiettivi e le risorse, il monitoraggio in corso di esercizio e la valutazione della performance organizzativa e individuale, per poi procedere con l’utilizzo dei sistemi premianti e la rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo e ai cittadini». La vicenda in esame dimostra il fallimento di ogni singola fase di questo ciclo.

³ Ibidem, p. 287. Si evidenzia come ai dirigenti spetti «la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati». La loro responsabilità è dunque diretta conseguenza del potere esclusivo che la legge attribuisce loro.

⁴ R. GarofoliCompendio di Diritto Amministrativo, Neldiritto Editore, 2024, p. 774. L’autore definisce la colpa grave come «un comportamento caratterizzato da una grave e inescusabile negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero da una noncuranza degli interessi pubblici che denota una particolare superficialità». La giurisprudenza la identifica in una condotta che si discosta in modo macroscopico dalle regole di prudenza e diligenza che dovrebbero guidare l’agire amministrativo.

⁵ G. Santoro-PassarelliDiritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, UTET Giuridica, 2024, p. 1024. L’autore chiarisce che i doveri del prestatore di lavoro nel settore pubblico «sono quelli di diligenza, obbedienza e fedeltà (art. 2104 e 2105 c.c.), declinati alla luce dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)». La diligenza richiesta, come specificato dalla Corte, è quella qualificata del professionista e non quella generica del buon padre di famiglia.

⁶ R. Garofoli, G. FerrariManuale superiore di diritto amministrativo, Neldiritto Editore, 2024-2025, p. 453. Gli autori chiariscono che agli organi di governo spetta il compito di definire gli obiettivi e i programmi da attuare, «nonché di verificare la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa agli indirizzi impartiti». Questo potere di verifica non è una mera facoltà, ma un preciso dovere funzionale, la cui omissione, come nel caso di specie, fonda una autonoma responsabilità.

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